Juan de Valdés Leal, Consacrazione episcopale di Sant’Ambrogio
Il breve articolo che seguirà, cercherà di spiegare la ratio che sottende alla necessità di avere il mandato pontificio prima di poter procedere lecitamente all’ordinazione episcopale del candidato.
Il Codice di diritto canonico al can. 1013 dice: “A nessun Vescovo è lecito consacrare un altro Vescovo, se prima non consta del mandato pontificio”. L’analisi del canone richiede una interpretazione stretta, a nessuno è lecito ordinare un altro vescovo senza il mandato pontificio e il divieto vale semper et pro sempre. La ragione è da ricercare nella custodia dell’unità della Chiesa, con il Romano Pontefice che è a capo del collegio apostolico.
La facoltà di autorizzare per mezzo di una bolla la consacrazione episcopale, è riservata al Romano Pontefice, qualunque sia il procedimento di designazione [1], detta riserva incide solamente sulla liceità ma non sulla validità dell’ordinazione. Ciò significa che l’ordinazione anche senza mandato pontificio effettivamente ha valore purché vengano rispettati gli elementi essenziali ex parte ministri (ordinante): che egli sia un vescovo validamente ordinato, che abbia l’intenzione richiesta e che ponga in essere gli elementi essenziali del rito prescritto e puranche gli elementi ex parte subiecti (ordinando): deve essere battezzato, deve essere di sesso maschile e deve non rifiutare con un atto interno di volontà l’ordinazione conferitagli. Di fatto l’ordinato e l’ordinante incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica can. 1387: “Il Vescovo che senza mandato pontificio consacra qualcuno Vescovo e chi da esso ricevette la consacrazione, incorrono nella scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica”.
Il Decreto conciliare Christus Dominus al numero 20 ribadisce che “il diritto di nominare e di costituire i vescovi è proprio, peculiare e per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica”.
Il delitto di ordinazione episcopale senza mandato pontificio e la relativa sanzione
Il già citato canone 1387 prescrive la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica per chi consacra un altro vescovo senza mandato pontificio, anche i coautori del delitto sono puniti con la stessa pena, ovvero coloro i quali “impongono le mani e recitano la preghiera consacratoria nell’ordinazione” [2].
Chi incorre nella suddetta scomunica non può: celebrare i sacramenti, e neppure riceverli; non può partecipare attivamente alle celebrazioni di culto; non può ricoprire uffici, ministeri o incarichi ecclesiastici, né porre in essere atti di governo e nei casi più gravi, se si tratta di un chierico, non è esclusa la dimissione dallo stato clericale. Quando detta censura viene dichiarata pubblicamente attraverso un comunicato della Santa Sede ad esempio, lo status giuridico dello scomunicato si modifica radicalmente, il quale viene privato di molti diritti, a norma del § 2 dello stesso can. 1331. In particolare vengono sanciti con l’invalidità gli atti di governo che fossero posti. Da considerare anche gli effetti negativi correlati, quali l’inabilità ad assistere ai matrimoni (can. 1109), a prendere parte ad elezioni canoniche (can. 171 , § 1, n. 3) e ad essere membro di associazioni pubbliche di fedeli (can. 316 § 1).
Pertanto la dichiarazione di una censura latae sententiae non comporta solo la connotazione pubblica della punizione, cosa che è di competenza della Santa Sede mediante comunicato ufficiale. Essa costituisce un atto giuridico amministrativo singolare che deve essere formalmente promulgato dal competente Dicastero della Curia romana.
La cancellazione della pena
Ogni pena nella Chiesa è volta ad emendare il reo e per quanto possibile a riparare allo scandalo, quando questo avviene allora è possibile cancellare la pena, tuttavia nel caso specifico, la prospettiva della cancellazione della pena, non consente al reo ordinato di cullarsi con l’aspettativa di svolgere funzioni episcopali una volta assolto dal delitto di ordinazione illegittima, come ebbe a ribadire l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede nella Notifica [3] del 12 marzo 1983.
Lo stesso Dicastero precisò, che non sarebbe mai stata riconosciuta giuridicamente un’ordinazione conferita senza mandato pontificio e che il vescovo consacrato illecitamente, anche se validamente, sarebbe rimasto nello stesso stato in cui si trovava prima della consacrazione per tutti gli effetti giuridici, eccezione fatta per le conseguenze penali [4]. Tuttavia ci preme notare come la Notifica che non riconosce le ordinazioni episcopali, non trova accoglimento e/o riscontro nel CIC, pertanto sono da ritenersi valide a tutti gli effetti, anche se inficiate da una illiceità dell’atto che ne ha provocato la scomunica.
Note
[1] Cons. per gli affari pubblici della Chiesa, Normae de promovendis ad Episcoporum in Ecclesia latina, 25 marzo 1972 in AAS 64 (1972) 386-391.
[2] Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi, Declaratio del 6 giugno 2011: «Inoltre, essendo quello della consacrazione episcopale un rito in cui è solita la partecipazione di più ministri, coloro che assumono detto compito di co-consacranti, e cioè impongono le mani e recitano la preghiera consacratoria nell’ordinazione (cfr. Caeremoniale Episcoporum nn. 582 e 584), risultano coautori del reato e quindi ugualmente sottoposti alla sanzione penale. Tale interpretazione risulta anche confermata dalla tradizione della Chiesa e dalla sua recente prassi».
[3] Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Notificatio, 12 marzo 1983 in AAS 75 (1983), 392-393.
[4] Cfr. B. F. Pighin, Le ordinazioni episcopali senza mandato pontificio e le loro conseguenze canoniche, in Ius Ecclesiae XXIV (2012), 413-414.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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