Il sigillo nell’ambito del processo giudiziale canonico

sigillo
Matteo Pugliese, il segreto, marmo bianco di Carrara

Il Codice di diritto canonico fa una distinzione tra l’esonero dell’obbligo di deposizione testimoniale per i chierici per quanto da loro appreso ratione sacri ministeri (ma al di fuori della confessione sacramentale) statuito dal can. 1548 § 2, 1 [1]  e una vera e propria incapacità a testimoniare liberamente per i sacerdoti su quanto appreso dalla confessione sacramentale disposto dal can. 1550 § 2, 2° [2]. Per quanto riguarda la prima norma sopra citata essa concerne nell’esenzione per i ministri sacri dal testimoniare su quanto è stato rivelato in ragione del loro ministero sacro.

Il superamento di questo segreto ministeriale può avvenire in seguito a:

1) Dichiarazione liberatoria del soggetto interessato, sia in forma scritta o verbale, diretta o indiretta; in questo caso il chierico, avuta conoscenza della liberatoria, rimane libero di valutare se deporre su quanto conosciuto in ragione del ministero;

2) Valutazione morale da parte del ministro sacro, che può comparare l’obbligo del segreto con il bene in gioco, rispetto alla sua testimonianza.

È bene precisare che per chierici s’intende una interpretazione stretta di ministri sacri, ovvero: diaconi, presbiteri e vescovi [3], chiaramente per i diaconi si intende solo quello appreso nella direzione spirituale. Per quanto concerne il can. 1550 § 2, 2° consiste nell’incapacità di testimoniare da parte dei sacerdoti su ciò che hanno appreso nella confessione sacramentale. Non si tratta dell’incapacità del sacerdote in sé, ma del sacerdote confessore in relazione alla confessione [4].

 

Originale Traduzione
§ 2. Incapaces: […]

2° sacerdotes, quod attinet ad ea omnia quae ipsis ex confessione sacramentali innotuentur, etsi poenitens eorum manifestationem petierit; immo audita a quovis et quoquo modo occasione confessionis, ne ut iudicium quidem veritatis recipi possunt.

§ 2. Si reputano incapaci: […]

2° i sacerdoti per quanto concerne tutto ciò che fu loro rivelato nella confessione sacramentale, anche se il penitente ne richieda la manifestazione; anzi, tutto ciò che da chiunque ed in qualunque modo fu udito in occasione della confessione non può essere recepito neppure come indizio di verità.

 

Il giudice ecclesiastico non solo non può chiedere al sacerdote di deporre, ma non può ammetterlo come testimone qualora egli intendesse deporre spontaneamente [5]. È del tutto irrilevante che il penitente abbia sciolto il confessore dall’osservanza del segreto confessionale, o gli abbia addirittura chiesto di deporre, in quanto il penitente non può di certo in nessun caso attribuire al confessore siffatta facoltà.

La legge secolare

La legge civile, invece, non stabilisce l’incapacità del sacerdote di testimoniare né impone un divieto di compiere l’atto testimoniale, ma fa salva solo la facoltà del ministro di culto di tacere su quanto appreso in virtù del suo ministero, senza distinguere tra quanto appreso in foro interno e foro sacramentale. Non persiste, dunque, nessun dubbio sull’ammissibilità ai fini processuali della testimonianza prestata spontaneamente dall’ecclesiastico su fatti conosciuti in ragione del suo ministero. Infatti, la sostituzione nell’art 4 n. 4 della locuzione «non sono tenuti a dare», all’altra di tono più perentorio «non possono essere richiesti» (art. 7 Concordato 1929), ha fatto cadere il principale argomento contrario [6].

Note

[1] Can. 1548 § 1: «I testi devono confessare la verità al giudice che legittimamente li interroghi.

[2] Can. 1548 § 2 «Salvo il disposto del can. 1550 § 2, n. 2, sono liberati dal dovere di rispondere:

1) i chierici per quanto fu loro manifestato in ragione del sacro ministero; i pubblici magistrati, i medici, le ostetriche, gli avvocati, i notai e altri che sono tenuti al segreto d’ufficio anche in ragione del consiglio dato, per quanto riguarda le questioni soggette a questo segreto;

2) coloro che dalla propria testimonianza temano per sé o per il coniuge o per i consanguinei o gli affini più vicini infamia, pericolosi maltrattamenti o altri gravi mali».

[3] Cfr. E. Miragoli – D. Tettamanzi (a cura di), Il sacramento della penitenza, cit., p. 198.

[4] Cfr. G. P. Montini, De iudicio contentioso ordinario, de processibus matrimonialibus, Editrice Pontificia Università Gregoriana, Romae 2020Editio quinta, p. 391.

[5] Cfr. ibidem, p. 390.

[6] Cfr. E. Miragoli – D. Tettamanzi (a cura di), Il sacramento della penitenza, cit., p. 198.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Picture of Francesco Siciliano

Francesco Siciliano

Sono nato a Cetraro il 24/01/90. Dopo la maturità scientifica, ho conseguito la Laurea Magistrale in Giurisprudenza presso l'Università della Calabria nel 2015 con una tesi in biogiuridica dal titolo "Il diritto al dolore: sacrificio da sopportare o condanna da non tollerare?", oggetto di prima pubblicazione nel testo "la bioetica come ponte tra società e innovazione", P. B. Helzel - A. Sergio, Aracne editrice 2016. Pochi anni dopo l'ingresso in seminario ho acquisito il titolo per l'esercizio alla professione forense presso il Tribunale della Corte di Appello di Catanzaro. Durante gli anni di studi di filosofia a Cosenza nel 2016 ho scritto sulla rivista Fides Quaerens. Ho in seguito conseguito il Baccalaureato in Teologia presso la Pontificia Università dell'Italia Meridionale, sez. San Tommaso in Napoli con una tesi in teologia del diritto dal titolo "Dal dolore alla guarigione con il sacramento della misericordia". Recentemente sono stato ordinato presbitero il 30 Aprile 2022 e sono studente a Roma in Diritto Canonico presso la Pontificia Facoltà della Santa Croce.

Lascia un commento

Iscriviti alla Newsletter