Papa Francesco all’udienza al termine del corso organizzato dalla Rota Romana: carità e verità nell’amministrazione della giustizia

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Fonte ACI Stampa

Un’occasione di studio e formazione

Sabato 23 novembre si è chiuso il corso di formazione, intitolato Il Tribunale Apostolico della Rota Romana: Ministerium Iustitiae et Caritatis in Veritate. L’evento era rivolto, in modo particolare, agli operatori pastorali impegnati nell’amministrazione della giustizia nella Chiesa.

Sono stati quattro giorni di conferenze, dibattiti, sessioni di domande, dialoghi che hanno toccato molteplici aspetti della giurisdizione, dalle cause di nullità del matrimonio alla dispensa super rato, dal diritto penale all’indagine sulla validità della Sacra Ordinazione, dal magistero pontificio sulla giustizia all’accompagnamento pastorale dei fedeli coinvolti in un processo canonico.

Come da programma, in chiusura delle giornate di studio, il Papa ha dato udienza ai partecipanti, offrendo loro le direttive che devono animare l’esercizio della giustizia, con uno sguardo attento alle sfide che la società odierna pone.

Il richiamo a Benedetto XVI: non c’è giustizia senza carità

Il Pontefice ha aperto il proprio discorso con una citazione dell’enciclica Caritas in Veritate del suo Predecessore, Benedetto XVI: il documento, ritenuto una pietra miliare della dottrina sociale della Chiesa in ascolto della contemporaneità, continua a dare spunti di riflessione non soltanto nell’ambito economico e politico, ma, come ha dimostrato Papa Francesco, anche giuridico.

Il Popolo di Dio, che cammina nella storia, deve illuminare le proprie strutture di governo secondo un criterio di sviluppo umano integrale, che tenga conto contemporaneamente della vocazione alla carità, della ricerca della verità, delle esigenze della giustizia.

Carità, verità e giustizia sono, secondo il Papa, le coordinate che permettono di rendere visibile Cristo anche nell’esercizio della potestà di giudicare: come il suo Divin Fondatore, la Chiesa deve operare con rettitudine e misericordia, riconoscendo a ciascuno il suo senza, però fermarsi alla fredda logica della distribuzione.

Il diritto canonico è infatti strumento della comunione, e la comunione si fonda sulla giustizia, ma aspira a un “di più”, che è l’amore.

Così nell’amore, nella misericordia, nella flessibilità propria dell’ordinamento della Chiesa, nelle relazioni che si intessono, ogni persona che si rivolge a un tribunale deve poter scorgere il Volto materno della comunità dei credenti.

Non c’è carità senza giustizia

Naturalmente, il Papa mette in guardia anche contro l’errore opposto all’applicazione meccanica della giustizia distributiva, ossia credere che possa esistere la carità senza la giustizia.

In questo senso, il rischio è quello di credere che si possa prescindere dalla sensibilità giuridica per “confezionare” soluzioni di buon senso prive di adeguato fondamento nel diritto.

Agire così lederebbe la dignità della persona, che è titolare di diritti e doveri ben definiti, alcuni dei quali radicati nel diritto divino, e l’uguaglianza, poiché non vi sarebbe una parità di trattamento, ma una pluralità di regole del caso concreto non prevedibili né ripetibili.

Per esemplificare l’assunto, il Pontefice esorta con fermezza a non cedere a interpretazioni troppo larghe del nuovo processo matrimoniale, che è finalizzato a mostrare la prossimità del Pastore e non a incrinare la stabilità e l’indissolubilità del vincolo coniugale: la celerità e la semplificazione delle forme non devono essere un lasciapassare per facili dichiarazioni di nullità.

La credibilità della Chiesa, dunque, passa anche attraverso la qualità dell’amministrazione della giustizia, nella quale deve risplendere la tensione verso la Verità incarnata, che è Cristo, l’unico che può illuminare la verità di ciascun individuo.

Le note finali del discorso mostrano la fiducia del Pontefice verso quanti si dedicano all’attività giudiziaria: la loro è una chiamata a testimoniare la speranza in un mondo lacerato da discordie e improntato alla legge del più forte.

Di fronte a tali sfide, l’operatore del diritto, consapevole della sua vocazione cristiana, potrà mostrare che è possibile credere in un futuro nuovo, in un orizzonte di concordia, in un ordine equo.

Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit

(San Giovanni Paolo II)

 

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Andrea Micciché

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