Il Favor veritatis nell’Ordinamento canonico. Dal concetto teologico al concetto giuridico (1 Pt.)

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Lucas Cranach detto il vecchio, la bocca della verità, collezione privata

La tematica della verità è senza ombra di dubbio la più pregnante per il Diritto canonico, diremmo la tematica fondamentale assieme alla suprema lex della salus animarum. Vorremmo dunque avviare una riflessione proprio sul principio di verità e sulla sua applicazione all’ambito giuridico: sul favor veritatis all’interno dell’Ordinamento canonico.

Relatio teologica e relazionalità della prassi processuale

Considerando la verità in termini filosofici, del suo essere relazione tra individui – mezzo e tramite della verità per la sua espressione – si può evidenziare un primo paragone tra la specificità di una relazionalità e la relazionalità processuale, nel contenzioso giuridico, quale risoluzione di un problema storico: in questo caso ci si riferisce al diritto in termini di alveo privilegiato della giustizia, frutto delle verità, nella storicità. Allo stesso tempo con Tommaso si introduce il concetto di verità della giustizia, in relazione a Dio, definendola come agire dell’uomo che rispetta, nell’agire verso il prossimo, l’ordine previsto dalla legge.

In un certo senso questo “rispetto” dell’ordine della legge – che è poi frutto del verbum umano – può ben accostarsi ad una certa fedeltà alla legge, quella stessa che in Agostino si può dire essere il significato da attribuire al termine verità in riferimento a Dio; dall’ebraico Emet [אמת], ossia veracità/fedeltà. Sintetizzando, poi, il concetto di verbo proferito che è costituito dal veicolo della parola che assurge a signum del verbo interiore tramite cui si innesca il sistema della comunicazione, la dialogicità, ovvero la relazionalità dialogica, vediamo che la parola interiore, così non rimane semplicemente auto-possesso della persona, ma venga partecipata anche dall’altro da sé.

Prima di tirare le somme di quanto ricordato fin ora, tuttavia, è necessario introdurre un ulteriore elemento, ossia la nozione di rapporto giuridico che potremo poi trasporre nella prassi processuale. In via generale, quando parliamo di natura giuridica intendiamo la categoria a cui le diverse realtà giuridiche appartengono; in questa indagine non sono trascurabili le realtà storiche in quanto il diritto è manifestazione nella storia della giustizia intrisa di verità, che trascende dalla storicità, pur riferendosi al grado di corrispondenza con la comprensione umana [1]; nel nostro caso lo sforzo verterà nell’individuare una determinata categoria maggiormente conforme ai criteri di rationabilitas.

L’unità di azione come punto di incontro

Prendiamo in considerazione la nozione di verità della giustizia intesa come rapporto con l’altro da sé in relazione all’ordine dettato dalla legge. L’insieme delle leggi – sappiamo – forma l’ordinamento giuridico e da quest’ultimo partiamo, definendo solo quei rapporti, quelle relazioni tra soggetti, persone, maggiormente meritevoli di tutela in relazione all’ordine dettato dalle leggi nell’ordinamento stesso. Il punto di incontro cercheremo di ricavarlo in quella che è considerata la teoria accreditata per la definizione del rapporto giuridico. Per comprendere al meglio come dalla relazionalità – fine sociale – si possa giungere all’ambito processuale bisogna analizzare i fini del processo quale istituzione sorta per la composizione pacifica delle controversie, rispondente a giustizia e verità [2].

Unità di azione

Questa impostazione rispecchia la natura comunicativa della persona umana, quella stessa da cui deriva l’esigenza di agire lealmente nel processo, ma non solo, è anche la modalità maggiormente rispondente alla legge canonica. Dunque, cerchiamo di inquadrare il passaggio dalla riflessione teologica a quella giuridica, in relazione al nostro tema. Possiamo inquadrare una connessione tra i due ambiti che – seppur differenti – paiono incontrarsi nella nozione di unità di azione. In generale è da premettere che l’unità dell’azione umana risulta e deriva dai seguenti elementi: unico scopo, comune indirizzo di tutti verso questo scopo unico, obbligo giuridico-morale di prendere e di conservare un tale indirizzo. Di questi elementi il fine unico costituisce il principio e il termine formale, tanto dal lato oggettivo, quanto dal lato soggettivo.

Poiché, come ogni moto riceve la sua determinazione dal fine, verso cui tende, così anche la cosciente attività umana si specifica dallo scopo a cui mira [3]. Tre elementi che convergono verso un unico fine, il quale d’altro canto è anche il motore per così dire immobile che dà impulso. Dei tre ciò che dà senso e moto è l’unico fine da cui tutto scaturisce e a cui tutto ritorna. Dunque, con i dovuti accorgimenti e consapevoli della non identificazione totale, ma solamente analogica dei concetti, accostando lo schema dettato dal Pontefice Pio XII a quello delle missioni divine, possiamo pacificamente dire: nel caso della relazionalità processuale vi è un fine specifico da cui promana uno scopo e un indirizzo preciso che sfociano nell’obbligo giuridico-morale.

La parola come strumento

Nelle processioni divine il fine a cui tornare e da cui tutto promana è il Padre, da cui il figlio e lo Spirito procedono per poi ritornare. Ma non basta, perché così fermandoci non avremmo concluso l’analogia e non avremmo spiegato il passaggio. Ritorniamo a quanto dice con Agostino in relazione al Verbo-Verità. Il Figlio è pienezza di verità che dal Padre proviene per manifestare al mondo tramite l’incarnazione il Dio-Verità [4]. Pare, così, di comprendere che il Figlio, volto umano del Padre, è manifestazione – nel mondo e nella contingenza storica – della Verità; ma dunque l’uomo ha conosciuto questa Verità, entrata nel mondo. Ancora, il Figlio è anche definito Verbo (Parola) incarnato del Padre, che allora si manifesta tramite la Parola.

Sant’Agostino

L’Ipponate spiega significativamente il rapporto tramite il summus mous/modus, col quale conclude che con Cristo si fa storicamente attingibile la Verità in quanto parola incarnata di Dio che si rivela agli uomini [5]. Il punto d’incontro è la parola, strumento di dialogicità e relazione tanto teologica quanto processuale, nel caso di specie. Ulteriore passo, lo si compie riprendendo cosa Agostino dice relativamente al linguaggio e verbo umano paragonandolo al verbum divino. L’analogia tra verbo umano e Verbum divino si identifica e qualifica dal fatto che la parola umana è tra quelle realtà che più immediatamente dipendono da Dio, dunque che più immediatamente sono rapportabili allo schema di cui prima. Tacendo, rimango presso di me; parlando – pur senza allontanarmi da me stesso – mi muovo verso l’altro da me. Tornando a tacere, ritorno presso me stesso e allo stesso tempo rimango nel ricordo dell’altro che conserva le mie parole.

Questa descrizione riconducibile alla relazionalità dialogica traccia la differenza tra verbo interiore e verbo esteriore ed ancor più una vera e propria differenza ontologica tra il primo ed il secondo, ma non solo evidenzia anche la somiglianza tra relazione dialogica divina e relazione dialogica umana. Il verbo proferito è costituito dal veicolo della parola che assurge a signum del verbo interiore tramite cui si innesca il sistema della comunicazione, la dialogicità: la relazionalità dialogica, così come il Verbo incarnato è in qualche modo signum del Padre da cui promana [6].

L’idea di veritas dell’Ordinamento canonico

In Dio prima veritas è la Verità per eccellenza che arriva nel mondo tramite la Parola incarnata, allora anche il verbum umano porta in sé un germe verace che si manifesta quando, conformemente a quanto detto, si esprime nella relazione con l’altro da sé. Essendo poi il fine della relazione processuale, secondo lo schema prima dettato, è la Verità, intesa non in senso processuale, ma in senso oggettivo quanto attraverso la parola, nel processo, va perseguito. Il punto d’incontro tra relazionalità teologica e prassi processuale intesa come relazionalità dialogica sta, dunque, nel fine da cui provengono e a cui tendono.

La relatio teologica procede dal Padre e al Padre torna, oppure in altri termini procede dalla Verità e torna alla Verità; nella relazione processuale anche si procede dalla verità – di un fatto accaduto realmente e quindi una verità reale – e tramite un percorso formale si ritorna alla verità, quella stessa da cui promana, perché si rifugge la mera verità processuale. Il punto di incontro è la verità, ma con un importante discrimine. La prima Veritas è in sommo grado, la seconda veritas e tendente alla prima, ma non identificabile con essa.

Continua…

Note

[1] Cfr. M.J. Arroba Conde, Diritto processuale canonico, VI ed., Ediurcla, Roma (2012), 68.

[2] Cfr. Ibidem, 75.

[3] Cfr. PIUS PP. XII, Allocutio: ad Romanam Rotam, diei 2 octobris 1944, in AAS XXXVI (1994), 281-290.

[4] Cfr. R. FERRI, Gesù e la Verità, 66. Per comprendere come dalla dialogicità e relazionalità possa giungersi alla verità è fondamentale capire anche come si esplica e snoda il “meccanismo” delle relazioni trinitarie.

[5] Cfr. L.F. PIZZOLATO, il modus nel primo Agostino, in AA.VV., La langue latine langue de la philosophie. Actes du colloque organisé par l’École française de Rome avec le concours de l’Université de Rome “La Spaienza” (Rome, 17-19 mai 1990), École française de Rome, Roma (1992), 245-261.

[6] Cfr. L. ALICI, Introduzione generale, in SANT’AGOSTINO, La dottrina cristiana, Opere di Sant’Agostino VIII, Nuova Biblioteca Agostiniana, Città Nuova (1992), 30-35.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (Summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui nel dicembre 2024 ha conseguito la Licenza con tesi in mariologia dal Titolo "Θεοτόκος. Factum ex muliere". Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano. Docente coordinatore Scientifico per l'area canonistica in "Forma Ecclesia", è membro dell'Arcisodalizio della Curia Romana.

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