Claude Monet, Impressione, levar del sole, 1872, Musée Marmottan Monet, Parigi
Introduzione
A mente del can. 1057 § 1 il consenso delle parti è “l’atto che costituisce il matrimonio” e, così come esplicato al can. 1055 § 1, il vincolo coniugale è il consorzio di tutta la vita, tra l’uomo e la donna, che si realizza con la reciproca, integrale donazione dei nubenti.
Evidentemente, il consenso nuziale, quale causa efficiente del matrimonio, nasce, come ben noto, dall’armonica cooperazione tra l’intelletto e la volontà, così che l’intelletto rappresenta alla volontà quegli elementi minimi, attinenti sia all’istituzione matrimoniale che alla persona dell’altro nubente, affinché la scelta nuziale sia piena e consapevole. È ben noto infatti il principio per cui nihil volitum quin praecognitum: qualsiasi atto volitivo, infatti, deve necessariamente presupporre un processo di cognizione dell’oggetto su cui la volontà stessa si dirige, non solo in punto di diritto, ma anche in punto di fatto. Al riguardo, i cann. 1096 e 1097 § 1 si occupano di individuare rispettivamente gli elementi minimi essenziali, di diritto, relativi al patto coniugale, e di fatto, attinenti alla identità fisica del coniuge, che le parti non possono ignorare per prestare un valido consenso.
Ciò premesso, è comunque innegabile che la scelta di unirsi in matrimonio poggi il suo fondamento su plurime circostanze concomitanti, che spesso presuppongono un discernimento attento circa la personalità della comparte e di una o più qualità peculiari e determinate che la contraddistinguono. Ciò, in sostanza, coincide con il cd. giudizio “pratico-pratico”, per cui l’intenzione di contrarre matrimonio, per essere effettivamente tale, non può restare circoscritta entro i generali e astratti confini dell’intelletto, ma deve declinarsi nella volontà attiva di unirsi ad una persona determinata, nei cui confronti soltanto il consenso nuziale si dirige.
Il principio della generale irrilevanza dell’errore sulla qualità per la validità del consenso nuziale
Tanto premesso, occorre comprendere che peso abbia ai fini della validità del consenso nuziale l’errore, ossia il falso giudizio dell’intelletto, relativo a una qualità determinata della comparte. Invero, la chiara esposizione della prima parte del can. 1097 § 2 non lascia spazio a dubbi interpretativi, per cui: “L’errore circa una qualità della persona, quantunque sia causa del contratto, non rende nullo il matrimonio […]”. Infatti, la qualità di cui si discute rappresenta un mero elemento accidentale, che senz’altro non coincide con l’oggetto del patto coniugale, e quindi è di per sé inidonea a influire sulla sostanza del matrimonio. Si tratta dell’errore sulla qualità causam dans – o concomitante – che può accompagnare, o al più corroborare, la scelta nuziale, ma di certo non la determina.
La fattispecie in questione, per altro verso, si ridurrebbe a una mera indagine sulla volontà interpretativa della parte che, caduta in errore, dichiarerebbe soltanto all’esito di una ricostruzione postuma che non avrebbe contratto matrimonio, qualora fosse stata al corrente del difetto di qualità. L’errore, in sostanza, in quanto giudizio fallace dell’intelletto, non ha di per sé una portata tale da influire sulla volontà nuziale, che resta, pertanto, libera di esprimersi in una valida intentio contrahendi.
L’errore sulla qualità irritante il matrimonio
Non sono tuttavia infrequenti i casi in cui l’errore del nubente circa la qualità della comparte renda irrito il consenso prestato, ciò in quanto, in tali ipotesi, il falso giudizio dell’intelletto ha un influsso diretto sul processo di formazione della volontà di contrarre. L’ipotesi in questione è quella dell’errore soggettivamente sostanziale, disciplinata dalla seconda parte del can. 1097 § 2, per cui l’errore circa una qualità della persona rende nullo il matrimonio qualora tale qualità sia “intesa direttamente e principalmente”.
Volendo riservare, per ragioni di sistematicità, ad un momento successivo la trattazione dell’excursus che ha portato alla attuale disciplina della materia, basti ora dire che il Codice del 1983 ha per la prima volta normato l’ipotesi dell’errore su qualità comune – quindi non più solo individuante – della comparte, sebbene tale fattispecie avesse trovato comunque già un ingresso nell’ordinamento canonico con l’intervento della Giurisprudenza Rotale. A titolo esemplificativo, è possibile menzionare le due note pronunce coram Heard del 1941 e coram Canals del 1970, in cui si riconosceva la nullità del matrimonio per errore rispettivamente sulla verginità della donna e circa lo stato libero dell’uomo, già unito ad altra donna da vincolo civile.
In particolare, la norma in commento ricalca la cd. terza regola di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori, secondo cui sussiste errore ridondante nel caso in cui il consenso della parte errante si rivolga direttamente e principalmente sulla qualità e meno principalmente sulla persona, così che l’errore sulla qualità, appunto, ridondi nella sostanza. È questo il caso della parte la cui intentio contrahendi si diriga direttamente verso la qualità erroneamente supposta, e che voglia, quindi, unirsi in matrimonio esclusivamente in ragione della qualità stessa, che diviene, allora, l’oggetto primario del consenso nuziale; la persona della comparte, al contrario, residua esclusivamente quale oggetto secondario e puramente accidentale del consenso.
La qualità direttamente e principalmente intesa
Per altro verso, presupposto della fattispecie in esame è la ferma convinzione, in capo alla parte errante, dell’esistenza della qualità voluta; tale stato psicologico non lascia spazio al dubbio, tipico invece della fattispecie della condizione. Nè l’errore è confondibile con l’ignoranza, che presuppone l’inerzia dell’intelletto.
Così come ben compendiato in una coram De Lanversin, la qualità viene “direttamente” ricercata dalla volontà quando essa costituisce l’oggetto immediato dell’atto volitivo stesso, e non un elemento generico o mediato; inoltre, la qualità viene raggiunta “principalmente” dalla volontà quando viene considerata soprattutto in se stessa, più che in riferimento alla persona che ne partecipa, e non in modo accessorio e incidentale, come qualcosa che accompagna la sostanza della persona e che si trasmette insieme ad essa.
Nella nota allocuzione alla Rota Romana, S. Giovanni Paolo II chiariva ulteriormente che l’errore sulla qualità “soltanto allora può inficiare il consenso quando una qualità, né frivola né banale, «directe et principaliter intendatur», cioè, come efficacemente ha affermato la giurisprudenza rotale, «quando qualitas prae persona intendatur»”, ossia quando la qualità sia intesa prima della persona stessa cui riferisce.
La prova dell’errore sulla qualità
Per quanto riguarda il versante probatorio della fattispecie in esame, si richiede una attenta e complessa indagine circa l’intenzionalità della parte asseritamente errante, diretta a dimostrare l’atto della volontà direttamente e principalmente rivolto alla qualità determinata. E ciò avviene attraverso il duplice schema della prova diretta e di quella indiretta.
In particolare, la prova diretta si sostanzierà nella confessione giudiziale ed extragiudiziale delle parti e dei testi degni di fede. La prova indiretta, invece, si raggiungerà con la valutazione dei due noti criteri, aestimationis e reactionis. In particolare, il criterium aestimationis attiene alla valutazione del peso attribuito dal soggetto asseritamente errante alla qualità vagliata, per cui sarà opportuno indagare sulla forma mentis, sull’indole e sull’educazione ricevuta dalla parte caduta in errore, da cui si potrà desumere se egli davvero rivolse il consenso nuziale direttamente e principalmente sulla qualità. A tale indagine si aggiunge, poi, quella circa il criterium reactionis, ossia sulla reazione posta in essere dalla parte nel momento in cui, dopo la celebrazione delle nozze, scoprì l’assenza della qualità voluta: evidentemente, quanto maggiore è l’intensità della reazione stessa, oltre che la sua immediatezza, tanto maggiore sarà la verosimiglianza dell’assunto pro nullitate.
Bibliografia
Bersini F., Il Diritto Canonico matrimoniale. Commento teologico-giuridico-pastorale, Torino, 1994, pp. 103-106;
Alphonsus Maria de Ligorio, Theologia moralis, lib. VI, tract. VI, pp. 178-179;
Coram Heard, sent. diei 21 iunii 1941, RRDec., vol. XXXIII, pp. 528-533;
Coram Canals, sent. diei 21 aprilis 1970, RRDec., vol.LXII, pp. 370-375;
Coram De Lanversin, sent. diei 7 iulii 1993, RRDec., vol. LXXXV, p. 537, n. 11;
Ioannes Paulus II, alloc. diei 29 ianuarii 1993.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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