Salvador Dalí, il vescovo, 1974
Indicazioni per il Vescovo nel valutare l’idoneità delle persone idonee all’indagine pregiudiziale
Continuiamo con la seconda parte dell’articolo che abbiamo già trattato QUI. Appare utile evidenziare che sebbene la norma non indichi quale sia il criterio di riferimento per valutare l’idoneità degli operatori lasciando il tutto alla discrezionalità dell’Ordinario del luogo appaiono molto utili le indicazioni presenti nell’Istruzione della CEC concernente gli studi di Diritto canonico (29.04.2018) che possono aiutare l’Ordinario del luogo nel suo oculato discernimento della scelta dei soggetti idonei all’indagine pregiudiziale che sono strutturati in tre livelli, simili a tre cerchi concentrici: «I consulenti coinvolti nei vari ruoli dei processi della dichiarazione di nullità del matrimonio possono essere utilmente raggruppati in tre categorie, secondo una corretta e realistica immagine di cerchi concentrici di successive necessarie consulenze sempre più approfondite:
– i parroci e altri «dotati di competenze anche se non esclusivamente giuridico-canoniche» (art. 3 RP, primo capoverso): si intravedono in questi consulenti coloro che hanno l’occasione qualificata di un primo approccio con persone potenzialmente interessate alla verifica della nullità del loro matrimonio; essi potrebbero essere denominati (le denominazioni hanno una certa importanza) consulenti di primo livello;
– i membri di una «struttura stabile» (art. 3 RP, secondo capoverso): chierici, religiosi o laici, che operano come consulenti familiari. Questo livello di consulenza e di accompagnamento pastorale-psicologico ha anche lo scopo di precisare se in realtà emergano motivi e prove sufficienti per introdurre una causa di nullità per non avviare in modo azzardato una causa di nullità; si tratta di consulenti di secondo livello;
– gli avvocati (art. 4 RP): quest’ultima fase di consulenza, se positiva, si conclude con la presentazione del libello al Tribunale, per la quale l’avvocato aiuta a individuare gli elementi sostanziali e di prova utili, a raccogliere le prove già disponibili, a sentire, se del caso, il parere dell’altra parte e a predisporre tutto per l’introduzione della causa; questi sono i consulenti di terzo livello».
Alla luce di ciò si coglie bene quanto sia importante la scelta oculata ed attenta dell’Ordinario del luogo nell’individuare persone idonee che abbiano una competenza che si basa sulla saggezza, la scienza e l’esperienza, la buona fama, la prudenza, la conoscenza della dottrina, la sollecitudine per la giustizia, la prudenza e la sincerità.
Inoltre, si può dedurre implicitamente che, nell’IPP, possano esservi specialisti in vari campi e la loro attività e caratteristica potrebbe far riferimento a quella dei periti nel processo (cfr. can. 1574) ossia «persone particolarmente qualificate dalla loro esperienza, arte o scienza, in relazione a fatti particolari, la cui percezione, interpretazione o valutazione esigono una capacità particolare che rilevi l’esistenza del fatto, le sue cause e i suoi effetti, le sue relazioni o influenze con altri fatti relativi alla questione controversa in giudizio».
Tuttavia, qualora l’Ordinario del luogo ritenesse «di affidare l’indagine pregiudiziale a persone non dotate di competenze giuridico-canoniche è evidente che l’indagine dovrà limitarsi ad una raccolta di informazioni sommarie sulla vicenda, sul percorso esistenziale e religioso, sulle motivazioni della scelta matrimoniale, sulle condizioni umane e personali al momento della celebrazione, sull’andamento della vita matrimoniale. Ogni successiva valutazione in ordine alla prospettabilità di una causa di nullità matrimoniale andrà affidata ad uno specialista».
Infine, appare importante puntualizzare che nella fase pregiudiziale le persone ritenute idonee, devono essere consapevoli di rappresentare la Chiesa nell’espletare un servizio di consulenza, ma al tempo stesso devono aver chiaro ed essere attenti a non trasformare tale ascolto in un’istruttoria previa alla causa.
Il Vescovo e il suo coinvolgimento nella consulenza: criticità e possibile proposta
Per quanto sin qui esposto appare chiaro che per favorire un’effettiva attuazione della riforma per un efficace servizio giuridico-pastorale nei confronti delle situazioni di fragilità matrimoniale l’Ordinario del luogo deve compiere, con grande responsabilità e discernimento, la scelta di individuare persone idonee per l’indagine affinché, nell’organizzare un’azione pastorale nel solco della giustizia con una struttura stabile, si avvalga di personale formato ed esperto «in diritto matrimoniale canonico, che sia in grado di stabilire se ci siano o meno dei motivi di nullità (…) per non avviare in modo azzardato una causa di nullità» [1].
In questa azione pastorale il Vescovo in funzione del suo munus pastorale potrebbe effettuare personalmente l’IPP compiendo un percorso di ascolto e dialogo ascoltando le parti separatamente, approfondendo con loro la situazione vissuta, anche attraverso un apposito questionario, e verificare l’esistenza di alcune prove giungendo sino ad esprimere un suo parere circa la possibilità di introdurre una eventuale dichiarazione di nullità.
Preme evidenziare che questa modalità di accompagnamento e di prima consulenza che potrebbe verificarsi almeno nelle piccole diocesi, poiché nelle grandi diocesi di solito avviene tramite uffici o servizi deputati a questo tipo di accoglienza, può presentare delle criticità o difficoltà. La prima criticità riguarda la conoscenza e competenza in diritto canonico del Vescovo, e in modo specifico delle questioni canoniche legate alla nullità del matrimonio.
Un’altra criticità può riguardare una certa compromissione in cui il Vescovo può trovarsi dopo aver compiuto una consulenza, che potrebbe avere come esito la celebrazione del processo più breve dove è il Vescovo stesso a giudicare il caso. Così come «per il fatto che la consulenza, operata dal Vescovo, può influire sulla scelta della via ordinaria o di quella più breve che compete invece al vicario giudiziale, il quale potrebbe non avere la necessaria libertà di valutazione se il Vescovo si è già espresso in merito» [2].
Tuttavia, sebbene il coinvolgimento del Vescovo nella consulenza potrebbe manifestare e realizzare una effettiva prossimità verso le parti, appare opportuno proporre di essere molto attenti e cauti nel compierla, specie se il Vescovo non ha competenza in materia matrimoniale e processuale, rischiando in tal modo di non rendere un valido servizio alla verità processuale. Non si dimentichi che per un corretto servizio di consulenza e per una vera accoglienza non si può prescindere, nemmeno per il Vescovo, di avere una necessaria e basilare, conoscenza delle questioni concernenti le ipotesi di nullità.
In ragione di tanto, in certi casi, appare opportuno, se non doveroso, interrogarsi sull’esatta portata del principio di prossimità alle parti. Infatti, se è innegabile, che il diretto coinvolgimento del Vescovo nella consulenza realizza una concreta prossimità, dall’atro lato, bisognerà valutarsi quando tale prossimità, diventando forse esorbitante, rischia, quantomeno, di non favorire una vera accoglienza. Ciò è di estrema importanza affinché questa promissità non comprometta la ricerca della verità e la libertà delle scelte da compiersi dinnanzi ad un matrimonio in crisi o fallito.
Pertanto, appare sempre opportuno che il Vescovo si mostri attento a non prendere posizioni in un eventuale colloquio previo, rinviando i fedeli al servizio di consulenza e supporto pastorale previsto dagli art. 2-5 RP per una serena valutazione delle varie situazioni che possono presentarsi di volta in volta e che non sempre il Vescovo, per i vari compiti ed impegni che quotidianamente lo possono investire, può essere in grado di compiere con scienza e coscienza.
Quale soluzione?
Una possibile soluzione sarebbe quella che il Vescovo diocesano non compia una consulenza giuridico-pastorale, in modo che, senza rischi o sospetti di violazione dell’imparzialità, possa esercitare il suo compito di giudice, amministrando la giustizia ai suoi fedeli secondo le norme giuridiche, a cui hanno diritto (cfr. can. 221 § 2). A tal riguardo, leggendo con attenzione le Regole Procedurali, queste sembrano non includere il Vescovo diocesano come consulente ma come responsabile dell’istituzione o organizzazione della struttura stabile (cfr. art. 3 RP).
Per cui, nell’ipotesi in cui egli compia la consulenza a qualche coniuge che lo richiede, orientandolo tecnicamente per introdurre la sua causa di dichiarazione di nullità matrimoniale e, successivamente il vicario giudiziale ritenesse che la causa possa essere trattata con il processus brevior (cfr. art. 15 RP), lo stesso Vescovo dovrebbe astenersi volontariamente nell’esercitare il suo ministero di giudice nella causa (come d’altronde non potrà decidere quella causa in un processo ordinario o in un processo documentale) in cui precedentemente ha offerto un consulto tecnico, a norma dell’art. 113 § 2 (cfr. anche can. 1448 § 2; DC art. 67 § 1).
Infine, benché la formulazione «del prescritto dell’art. 113, § 2 DC non distingue né tra i vari uffici svolti dal giudice (istruttore, rogato, decidente, collegiale, unico) né tra le persone che ricoprono l’ufficio di giudice (diacono, presbitero, sacerdote, Vicario giudiziale, ordinario, delegato). Non vi è ragione, pertanto, di ritenere che l’incompatibilità di cui all’art. 113, § 2 DC non attenga anche al Vescovo diocesano» [3]. Possiamo ritenere che la proibizione dell’art. 113 § 2 della DC, la cui causa è connessa al fornire un consiglio tecnico (art. 113 § 1 DC; art. 2 RP), ha come finalità il garantire la trasparenza e la fiducia nell’amministrazione della giustizia e di evitare il pericolo di vedere compromesso il principio dell’imparzialità di cui un Vescovo, come giudice nato, deve sempre garantire e promuovere nella natura dialettica di un processo giudiziale.
In conclusione, alla luce di quanto si qui espresso se da un lato è opportuno che il Vescovo non compia l’Indagine pregiudiziale o pastorale per le ragioni menzionate, tuttavia appare evidente e palese la necessaria responsabilità del Vescovo diocesano nel dover provvedere ad un servizio idoneo che garantisca ad ogni fedele, che dubita della validità del suo coniugio o è convinto della nullità dello stesso, di poter avere un confronto con persone competenti e qualificate.
Note
[1] CEC, Istruzione Per venire incontro, n. 2, 64.
[2] A. Migliavacca, «Il motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus e alcune attese sul processo canonico di nullità matrimoniale (brevità, prossimità, gratuità): un primo confronto dalla prospettiva del Vescovo», in Gruppo Italiano Docenti di Diritto Canonico (a cura di), La riforma del processo canonico per la dichiarazione di nullità del matrimonio, Glossa, Milano 2018, 330.
[3] G.P. Montini, «Astensione e ricusazione del vescovo giudice. Alcune questione sul can. 1449 § 3», in L. Bianchi – G. Eisenring – B.N. Ejeh – A. Stabellini (a cura di), Fides et jus in ecclesia. Scritti in onore di Arturo Cattaneo, Ed. Cantagalli, Siena 2023, 405.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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