Il Dicastero per la Dottrina della Fede, in data 8 novembre 2023 ha emanato una Nota, ovvero un parere ex Audientia Sanctissimi del 31 ottobre 2023, nel quale si affrontano questioni relative al rapporto tra Sacramenti, persone transessuali ed omoaffettive. QUI il testo integrale.
Status Quaestionis
Il Dicastero prende le mosse da una lettera dello scorso 14 luglio, nella quale il Vescovo di Santo Amaro – in Brasile – poneva alcuni quesiti relativi a persone transessuali ed omoaffettive relativamente ai Sacramenti del battesimo e del Matrimonio. Nello specifico, se una persona transessuale potesse ricevere il Battesimo, oppure se potesse essere padrino o testimone in un Matrimonio, ed in secondo luogo se una persona omoaffettiva possa considerarsi genitore del bambino per cui si domanda il battesimo, se possa – da convivente – essere padrino o madrina in un Battesimo, oppure testimone di nozze.
Nella fattispecie, per ricondurre la questione all’ambito del Diritto canonico, stiamo facendo riferimento ai cann. 849 – 878 CIC relativamente al Sacramento del Battesimo e al can. 1108 CIC, relativo alla forma del Matrimonio, prescritto come valido solo alla presenza di un valido assistente e dei testimoni, in conformità alle norme del Codice.
La questione tuttavia non è nuova all’esame della Dottrina della Fede e tantomeno all’esame del Romano Pontefice che nell’udienza concessa al Prefetto del Dicastero, ha controfirmato la Nota in questione, basti pensare che sin dal 2018 l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede rifletteva sulla questione del transessualismo in una Nota riservata inerente a questioni di rilevanza canonistica in materia, posta Sub Secreto Pontificio.
In relazione al Sacramento del Battesimo
Il primo dei sette Sacramenti, che conferisce alla persona il diritto di poter accedere a tutti gli altri segni della Grazia, conferisce – sul piano del Diritto – la personalità canonica al soggetto, come storicamente ricorda il testo del can. 87 del Codice piano-benedettino. E così molta parte della canonistica intende questo Sacramento in rapporto alla personalità canonica del soggetto interessato, tuttavia non bisogna dimenticare che anche i non battezzati, nell’Ordinamento della Chiesa, sono soggetti di rapporti giuridici con essa [1].
Infatti, bisogna tenere in grande considerazione che la questione rimanda, in vero, ad una questione fondamentale nell’Ordinamento canonico, quello cioè concernente i rapporti tra Diritto divino – non escluso il diritto naturale – e Diritto positivo. Il vero fondamento della personalità giuridica canonica dei non battezzati non va cercato nelle norme umane che regolamentano determinate situazioni in cui essi intervengono, ma nella personalità giuridica di ogni essere umano che, essendogli attribuita dal diritto naturale e riconosciuta dal diritto divino-positivo, altro non può essere se non rispettata dal Diritto positivo della Chiesa [2].
Una analogia per facilitarne la comprensione
La situazione del non battezzato o dell’acattolico all’interno dell’Ordinamento della Chiesa potrebbe essere meglio delineata per analogia rispetto alla situazione giuridica di uno straniero all’interno dell’Ordinamento di uno Stato [3], ovvero con la distinzione tra i diritti e doveri legati alla cittadinanza ed i diritti e doveri legati allo status di persona; questi ultimi vanno sempre riconosciuti e tutelati tanto in ambito civilistico, quanto in ambito canonistico.
Certamente, tale analogia, aiuta ma non esaurisce la spiegazione, dovendo necessariamente incontrarsi con lo specifico vincolo giuridico oggettivo che unisce ogni persona con la Chiesa, quale conseguenza della destinazione universale della salvezza cristiana, da cui deriva il diritto ad essere battezzato. L’esercizio di questo diritto è di tale rilievo che esso non può essere condizionato da altri fattori se non quelli riguardanti il possesso dei requisiti personali necessari per la valida e fruttuosa amministrazione del Battesimo.
Ecco dunque perché la Nota del Dicastero per la Dottrina della Fede, giunge ad affermare che un transessuale – che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso – può ricevere il Battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il Battesimo.
Ovviamente la Nota non tralascia – e non potrebbe essere altrimenti – il prescritto della Dottrina, ovvero la considerazione che laddove il sacramento viene ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale. Il Catechismo afferma: «Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa» [4].
Le persone omoaffettive
La seconda questione rilevante riguarda le persone omoaffettive. La prima risposta del Dicastero riguarda l’opportunità di accogliere la richiesta di battesimo di un bambino avanzata da genitori omoaffettivi. Non risulta complesso comprendere la risposta, salda sul disposto dei cann. 868 §1, n. 2 CIC e 681, § 1, n. 1 CCEO, ovvero la fondata certezza che quel bambino sarà educato nella fede cattolica. La risposta appare evidentemente fondata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove afferma che nessuno stigma deve essere associato a persone con tendenza omosessuale [5]. Non solo, anche giuridicamente si potrebbe rinvenire una traccia fondamentale nel n. 1 del can. 868 §1 CIC, ove si afferma che una condizione imprescindibile al Battesimo è che sia domandato da almeno uno dei due genitori, «o da chi tiene legittimamente il loro posto».
L’unica condizione dinanzi alla quale il Battesimo possa essere – non vietato – differito, è la certezza che il bambino non sia educato nella fede cattolica. Ovviamente, il compito di discernimento del parroco è senz’altro arduo perché deve valutare se esiste la seria garanzia che al bambino sarà assicurata l’educazione cattolica e che la speranza non manchi del tutto; tuttavia il differimento configura – in una corretta analisi della norma canonica – l’extrema ratio quando non sia possibile trovare nessun’altra soluzione.
In relazione all’essere padrini o testimoni di nozze
Alla questione del Battesimo è direttamente connessa quella dei padrini nel Sacramento medesimo, ma anche quella dell’essere testimoni di nozze, sempre in relazione a persone transessuali od omoaffettive. Tolta la risposta ben chiara relativa ai transessuali, ovvero la possibilità di accesso laddove la prudenza pastorale lo ritenga opportuno, ovvero se effettivamente ciò non dovesse destare scandalo nella comunità e nella coscienza che tale compito non costituisce un diritto per il soggetto che lo richiede; ben diversa è la questione per gli omosessuali conviventi.
A norma del can. 874 § 1, nn. 1 e 3 CIC, può essere padrino in un Battesimo chi ne possiede l’attitudine, ovvero chi «conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume» [6]. La vera questione si pone laddove la convivenza abbia un carattere di permanente stabilità more uxorio e ciò sia in palese conoscenza di tutta la comunità. I canoni di riferimento sono dal can. 872 al ca. 874 CIC e fanno riferimento ad una antichissima usanza della Chiesa, ovvero un vetustissime Ecclesiae mos, come affermava il can. 762 §2 del Codex.
Padrino e Madrina nella storia della Chiesa
L’istituzione tradizionale dei padrini sorse nella Chiesa primitiva quando venne imposto l’obbligo di battezzare i bambini. Già Tertulliano parla di sponsores o garanti, che assistono al Battesimo dei bambini [7] Un’altra fonte di tale istituzione può essere, probabilmente, il costume vigente, soprattutto in tempo di persecuzione, secondo il quale il catecumeno veniva presentato al Battesimo da un membro della comunità cristiana, che garantiva la sua sincera intenzione di farsi cristiano. Di questa istituzione del padrino si ha una prima indicazione esplicita in Oriente da parte di Teodoro di Mopsuestia [8]. Essa era stata già introdotta nel VI secolo, com’è dimostrato da una disposizione del Codice di Giustiniano, secondo la quale esiste impedimento matrimoniale tra il padrino e la sua figlia spirituale [9].
Solo sul finire del sec. VII furono ammesse anche le madrine, come dimostra la loro assenza nei divieti al matrimonio, per i periodi precedenti, esse non erano contemplate in precedenza. Nel corso dei secoli XIII e XIV fu introdotto il costume di stabilire per il Battesimo tre padrini: due uomini e una donna per i bambini, e due donne e un uomo per le bambine. Tale usanza si protrasse fino al Concilio di Trento. Al di là dell’excursus storico, comunque, Il compito essenziale dei padrini è quello di aver cura dell’educazione cristiana del loro figlioccio: di cooperare – prescrive il Diritto – perché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al Battesimo e adempia fedelmente gli obblighi annessi.
La loro responsabilità a tal riguardo è analoga a quella dei genitori, come ammonisce il can. 774 § 2 CIC laddove si trattasse di battezzando adulto, il padrino ha anche il compito di assisterlo durante la fase del suo catecumenato, oltre che durante il rito della iniziazione cristiana. Trattandosi di un battezzando infante, il padrino lo presenterà al Battesimo insieme con i suoi genitori. In virtù di tali prescrizioni, la Nota del Dicastero specifica che occorre considerare il valore reale che la comunità ecclesiale conferisce ai compiti di padrino e madrina, il ruolo che questi hanno nella comunità e la considerazione da loro mostrata nei confronti dell’insegnamento della Chiesa.
Infine, è da tenere in conto anche la possibilità che vi sia un’altra persona della cerchia famigliare a farsi garante della corretta trasmissione al battezzando della fede cattolica, sapendo che si può comunque assistere il battezzando, durante il rito, non solo come padrino o madrina ma, altresì, come testimoni dell’atto battesimale.
I testimoni di nozze
Quanto all’essere testimoni nelle nozze, la Nota specifica che non vi è alcuna restrizione nella Legge canonica. Si rende, dunque doverosa una specifica su tale ruolo. A differenza del padrino o madrina, l’Ordinamento canonico non prescrive alcuna limitazione, salvo che il soggetto sia dotato di sufficiente uso di ragione che lo renda – appunto – capace di testimoniare e che abbia raggiunto la maggiore età. La differenza fondamentale è nel ruolo svolto: il padrino ha un ruolo eminentemente ecclesiale, mentre il testimone assume una funzione canonicamente e civilmente (per il Matrimonio concordatario) pubblica; per questo nulla vieta che anche un civilmente coniugato o divorziato risposato o convivente – al limite anche non battezzato o battezzato acattolico – sia ammesso al ruolo di testimone alle nozze.
Conclusioni
In ragione delle considerazioni effettuate in relazione alla Nota che il Dicastero della Dottrina della Fede ha emesso, dunque, sembra pacifico poter concludere che il Dicastero e con esso il Romano Pontefice che ha controfirmato il testo, abbia voluto null’altro che sottolineare – mettendo nero su bianco sistematicamente – un pensiero che la Chiesa porta avanti già da anni. L’atteggiamento cristiano di accoglienza e di rispetto deve evitare – in assoluto – ogni discriminazione.
In fine, lo si nota anche dalle molteplici citazioni che radicano la Nota nel panorama della Tradizione e del Depositum Fidei, è da sfatare ogni posizione che affermi una contraddizione in termini tra la Nota stessa e la Dottrina vigente, in nulla viene minato il Sacramento del Battesimo, né tantomeno si apre a posizioni che non siano quelle tradizionalmente accolte. Se una innovazione si vuol sottolineare è il rinnovato sentimento di profonda attenzione per la persona e la sua dignità, nell’ottica di quel “personalismo cristiano” largamente discusso e tutelato dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Note
[1] cfr. P. Gismondi, Gli acattolici nel diritto della Chiesa, in Ephemerides iuris canonici, 2 (1946), pp. 237-245.
[2] cfr. Idem, Iglesias y comunidades eclesiales acatólicas en los recientes Decretos conciliares, in Ius Canonicum, 5 (1965), pp. 385-387.
[3] Per meglio comprendere, si veda: C. Magni, Corso di diritto ecclesiastico (Le persone, gli uffici, il matrimonio), Milano 1942, p. 15.
[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1121.
[5] cfr. n. 2358.
[6] Si veda anche il can. 685, § 2 C.C.E.O.
[7] cfr. De Baptismo, 18,11: P.L. 11221.
[8] 350-428 d.C.
[9] cfr. Codice, lib. 5, tit. 4,22.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il “personalismo cristiano”, breve commento alla nota del DDF
Cristian Lanni
Il Dicastero per la Dottrina della Fede, in data 8 novembre 2023 ha emanato una Nota, ovvero un parere ex Audientia Sanctissimi del 31 ottobre 2023, nel quale si affrontano questioni relative al rapporto tra Sacramenti, persone transessuali ed omoaffettive. QUI il testo integrale.
Status Quaestionis
Il Dicastero prende le mosse da una lettera dello scorso 14 luglio, nella quale il Vescovo di Santo Amaro – in Brasile – poneva alcuni quesiti relativi a persone transessuali ed omoaffettive relativamente ai Sacramenti del battesimo e del Matrimonio. Nello specifico, se una persona transessuale potesse ricevere il Battesimo, oppure se potesse essere padrino o testimone in un Matrimonio, ed in secondo luogo se una persona omoaffettiva possa considerarsi genitore del bambino per cui si domanda il battesimo, se possa – da convivente – essere padrino o madrina in un Battesimo, oppure testimone di nozze.
Nella fattispecie, per ricondurre la questione all’ambito del Diritto canonico, stiamo facendo riferimento ai cann. 849 – 878 CIC relativamente al Sacramento del Battesimo e al can. 1108 CIC, relativo alla forma del Matrimonio, prescritto come valido solo alla presenza di un valido assistente e dei testimoni, in conformità alle norme del Codice.
La questione tuttavia non è nuova all’esame della Dottrina della Fede e tantomeno all’esame del Romano Pontefice che nell’udienza concessa al Prefetto del Dicastero, ha controfirmato la Nota in questione, basti pensare che sin dal 2018 l’allora Congregazione per la Dottrina della Fede rifletteva sulla questione del transessualismo in una Nota riservata inerente a questioni di rilevanza canonistica in materia, posta Sub Secreto Pontificio.
In relazione al Sacramento del Battesimo
Il primo dei sette Sacramenti, che conferisce alla persona il diritto di poter accedere a tutti gli altri segni della Grazia, conferisce – sul piano del Diritto – la personalità canonica al soggetto, come storicamente ricorda il testo del can. 87 del Codice piano-benedettino. E così molta parte della canonistica intende questo Sacramento in rapporto alla personalità canonica del soggetto interessato, tuttavia non bisogna dimenticare che anche i non battezzati, nell’Ordinamento della Chiesa, sono soggetti di rapporti giuridici con essa [1].
Infatti, bisogna tenere in grande considerazione che la questione rimanda, in vero, ad una questione fondamentale nell’Ordinamento canonico, quello cioè concernente i rapporti tra Diritto divino – non escluso il diritto naturale – e Diritto positivo. Il vero fondamento della personalità giuridica canonica dei non battezzati non va cercato nelle norme umane che regolamentano determinate situazioni in cui essi intervengono, ma nella personalità giuridica di ogni essere umano che, essendogli attribuita dal diritto naturale e riconosciuta dal diritto divino-positivo, altro non può essere se non rispettata dal Diritto positivo della Chiesa [2].
Una analogia per facilitarne la comprensione
La situazione del non battezzato o dell’acattolico all’interno dell’Ordinamento della Chiesa potrebbe essere meglio delineata per analogia rispetto alla situazione giuridica di uno straniero all’interno dell’Ordinamento di uno Stato [3], ovvero con la distinzione tra i diritti e doveri legati alla cittadinanza ed i diritti e doveri legati allo status di persona; questi ultimi vanno sempre riconosciuti e tutelati tanto in ambito civilistico, quanto in ambito canonistico.
Certamente, tale analogia, aiuta ma non esaurisce la spiegazione, dovendo necessariamente incontrarsi con lo specifico vincolo giuridico oggettivo che unisce ogni persona con la Chiesa, quale conseguenza della destinazione universale della salvezza cristiana, da cui deriva il diritto ad essere battezzato. L’esercizio di questo diritto è di tale rilievo che esso non può essere condizionato da altri fattori se non quelli riguardanti il possesso dei requisiti personali necessari per la valida e fruttuosa amministrazione del Battesimo.
Ecco dunque perché la Nota del Dicastero per la Dottrina della Fede, giunge ad affermare che un transessuale – che si fosse anche sottoposto a trattamento ormonale e ad intervento chirurgico di riattribuzione di sesso – può ricevere il Battesimo, alle medesime condizioni degli altri fedeli, se non vi sono situazioni in cui c’è il rischio di generare pubblico scandalo o disorientamento nei fedeli. Nel caso di bambini o adolescenti con problematiche di natura transessuale, se ben preparati e disposti, questi possono ricevere il Battesimo.
Ovviamente la Nota non tralascia – e non potrebbe essere altrimenti – il prescritto della Dottrina, ovvero la considerazione che laddove il sacramento viene ricevuto senza il pentimento per i peccati gravi, il soggetto non riceve la grazia santificante, sebbene riceva il carattere sacramentale. Il Catechismo afferma: «Questa configurazione a Cristo e alla Chiesa, realizzata dallo Spirito, è indelebile; essa rimane per sempre nel cristiano come disposizione positiva alla grazia, come promessa e garanzia della protezione divina e come vocazione al culto divino e al servizio della Chiesa» [4].
Le persone omoaffettive
La seconda questione rilevante riguarda le persone omoaffettive. La prima risposta del Dicastero riguarda l’opportunità di accogliere la richiesta di battesimo di un bambino avanzata da genitori omoaffettivi. Non risulta complesso comprendere la risposta, salda sul disposto dei cann. 868 §1, n. 2 CIC e 681, § 1, n. 1 CCEO, ovvero la fondata certezza che quel bambino sarà educato nella fede cattolica. La risposta appare evidentemente fondata nel Catechismo della Chiesa Cattolica, laddove afferma che nessuno stigma deve essere associato a persone con tendenza omosessuale [5]. Non solo, anche giuridicamente si potrebbe rinvenire una traccia fondamentale nel n. 1 del can. 868 §1 CIC, ove si afferma che una condizione imprescindibile al Battesimo è che sia domandato da almeno uno dei due genitori, «o da chi tiene legittimamente il loro posto».
L’unica condizione dinanzi alla quale il Battesimo possa essere – non vietato – differito, è la certezza che il bambino non sia educato nella fede cattolica. Ovviamente, il compito di discernimento del parroco è senz’altro arduo perché deve valutare se esiste la seria garanzia che al bambino sarà assicurata l’educazione cattolica e che la speranza non manchi del tutto; tuttavia il differimento configura – in una corretta analisi della norma canonica – l’extrema ratio quando non sia possibile trovare nessun’altra soluzione.
In relazione all’essere padrini o testimoni di nozze
Alla questione del Battesimo è direttamente connessa quella dei padrini nel Sacramento medesimo, ma anche quella dell’essere testimoni di nozze, sempre in relazione a persone transessuali od omoaffettive. Tolta la risposta ben chiara relativa ai transessuali, ovvero la possibilità di accesso laddove la prudenza pastorale lo ritenga opportuno, ovvero se effettivamente ciò non dovesse destare scandalo nella comunità e nella coscienza che tale compito non costituisce un diritto per il soggetto che lo richiede; ben diversa è la questione per gli omosessuali conviventi.
A norma del can. 874 § 1, nn. 1 e 3 CIC, può essere padrino in un Battesimo chi ne possiede l’attitudine, ovvero chi «conduce una vita conforme alla fede e all’incarico che assume» [6]. La vera questione si pone laddove la convivenza abbia un carattere di permanente stabilità more uxorio e ciò sia in palese conoscenza di tutta la comunità. I canoni di riferimento sono dal can. 872 al ca. 874 CIC e fanno riferimento ad una antichissima usanza della Chiesa, ovvero un vetustissime Ecclesiae mos, come affermava il can. 762 §2 del Codex.
Padrino e Madrina nella storia della Chiesa
L’istituzione tradizionale dei padrini sorse nella Chiesa primitiva quando venne imposto l’obbligo di battezzare i bambini. Già Tertulliano parla di sponsores o garanti, che assistono al Battesimo dei bambini [7] Un’altra fonte di tale istituzione può essere, probabilmente, il costume vigente, soprattutto in tempo di persecuzione, secondo il quale il catecumeno veniva presentato al Battesimo da un membro della comunità cristiana, che garantiva la sua sincera intenzione di farsi cristiano. Di questa istituzione del padrino si ha una prima indicazione esplicita in Oriente da parte di Teodoro di Mopsuestia [8]. Essa era stata già introdotta nel VI secolo, com’è dimostrato da una disposizione del Codice di Giustiniano, secondo la quale esiste impedimento matrimoniale tra il padrino e la sua figlia spirituale [9].
Solo sul finire del sec. VII furono ammesse anche le madrine, come dimostra la loro assenza nei divieti al matrimonio, per i periodi precedenti, esse non erano contemplate in precedenza. Nel corso dei secoli XIII e XIV fu introdotto il costume di stabilire per il Battesimo tre padrini: due uomini e una donna per i bambini, e due donne e un uomo per le bambine. Tale usanza si protrasse fino al Concilio di Trento. Al di là dell’excursus storico, comunque, Il compito essenziale dei padrini è quello di aver cura dell’educazione cristiana del loro figlioccio: di cooperare – prescrive il Diritto – perché il battezzato conduca una vita cristiana conforme al Battesimo e adempia fedelmente gli obblighi annessi.
La loro responsabilità a tal riguardo è analoga a quella dei genitori, come ammonisce il can. 774 § 2 CIC laddove si trattasse di battezzando adulto, il padrino ha anche il compito di assisterlo durante la fase del suo catecumenato, oltre che durante il rito della iniziazione cristiana. Trattandosi di un battezzando infante, il padrino lo presenterà al Battesimo insieme con i suoi genitori. In virtù di tali prescrizioni, la Nota del Dicastero specifica che occorre considerare il valore reale che la comunità ecclesiale conferisce ai compiti di padrino e madrina, il ruolo che questi hanno nella comunità e la considerazione da loro mostrata nei confronti dell’insegnamento della Chiesa.
Infine, è da tenere in conto anche la possibilità che vi sia un’altra persona della cerchia famigliare a farsi garante della corretta trasmissione al battezzando della fede cattolica, sapendo che si può comunque assistere il battezzando, durante il rito, non solo come padrino o madrina ma, altresì, come testimoni dell’atto battesimale.
I testimoni di nozze
Quanto all’essere testimoni nelle nozze, la Nota specifica che non vi è alcuna restrizione nella Legge canonica. Si rende, dunque doverosa una specifica su tale ruolo. A differenza del padrino o madrina, l’Ordinamento canonico non prescrive alcuna limitazione, salvo che il soggetto sia dotato di sufficiente uso di ragione che lo renda – appunto – capace di testimoniare e che abbia raggiunto la maggiore età. La differenza fondamentale è nel ruolo svolto: il padrino ha un ruolo eminentemente ecclesiale, mentre il testimone assume una funzione canonicamente e civilmente (per il Matrimonio concordatario) pubblica; per questo nulla vieta che anche un civilmente coniugato o divorziato risposato o convivente – al limite anche non battezzato o battezzato acattolico – sia ammesso al ruolo di testimone alle nozze.
Conclusioni
In ragione delle considerazioni effettuate in relazione alla Nota che il Dicastero della Dottrina della Fede ha emesso, dunque, sembra pacifico poter concludere che il Dicastero e con esso il Romano Pontefice che ha controfirmato il testo, abbia voluto null’altro che sottolineare – mettendo nero su bianco sistematicamente – un pensiero che la Chiesa porta avanti già da anni. L’atteggiamento cristiano di accoglienza e di rispetto deve evitare – in assoluto – ogni discriminazione.
In fine, lo si nota anche dalle molteplici citazioni che radicano la Nota nel panorama della Tradizione e del Depositum Fidei, è da sfatare ogni posizione che affermi una contraddizione in termini tra la Nota stessa e la Dottrina vigente, in nulla viene minato il Sacramento del Battesimo, né tantomeno si apre a posizioni che non siano quelle tradizionalmente accolte. Se una innovazione si vuol sottolineare è il rinnovato sentimento di profonda attenzione per la persona e la sua dignità, nell’ottica di quel “personalismo cristiano” largamente discusso e tutelato dal Concilio Ecumenico Vaticano II.
Note
[1] cfr. P. Gismondi, Gli acattolici nel diritto della Chiesa, in Ephemerides iuris canonici, 2 (1946), pp. 237-245.
[2] cfr. Idem, Iglesias y comunidades eclesiales acatólicas en los recientes Decretos conciliares, in Ius Canonicum, 5 (1965), pp. 385-387.
[3] Per meglio comprendere, si veda: C. Magni, Corso di diritto ecclesiastico (Le persone, gli uffici, il matrimonio), Milano 1942, p. 15.
[4] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 1121.
[5] cfr. n. 2358.
[6] Si veda anche il can. 685, § 2 C.C.E.O.
[7] cfr. De Baptismo, 18,11: P.L. 11221.
[8] 350-428 d.C.
[9] cfr. Codice, lib. 5, tit. 4,22.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Cristian Lanni
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