L’istituto della dispensa nel delitto contro il sesto comandamento del Decalogo

dispensa

La definizione di dispensa

Istituto tra i più caratteristici dell’ordinamento canonico, la dispensa consiste essenzialmente in un atto di benevolenza da parte del superiore che, mentre conserva operante la legge per il bene generale della comunità, ne sospende l’obbligatorietà per il singolo allo scopo di meglio provvedere al suo specifico bene spirituale (cf. can. 85). Nel vigente Codice l’istituto della dispensa ha visto crescere il proprio spazio di applicazione già in sede di norme generali (cf. cann. 87-88), conformemente alla esigenza conciliare di un servizio pastorale più equo, che significa pure attenzione costante alla salus animarum, suprema legge della Chiesa (cf. can. 1752), anche quando si tratta di provvedere al bene spirituale di ogni singolo fedele.

La richiesta di dispensa in ambito penale canonico

Tra le modalità di risoluzione dei procedimenti penali nei confronti di chierici accusati dei delitti più gravi, tra i quali spicca il delitto contro il sesto comandamento del decalogo, si riscontra in misura crescente proprio la concessione della dispensa dagli obblighi connessi con lo stato clericale. Il chierico che invoca questo provvedimento grazioso perde lo stato clericale, secondo una delle modalità previste dal can. 290: dichiarazione di nullità dell’ordinazione, dimissione imposta, rescritto di dispensa.

Nella maggior parte dei casi, tale dispensa comprende anche l’obbligo del celibato, da cui è necessario essere dispensati esplicitamente, secondo quanto stabilisce il can. 291. I motivi che spingono a chiedere la dispensa possono essere due: la progressiva presa di coscienza della gravità di certi atti da parte degli stessi chierici coinvolti, tale da suggerire una consapevolezza di non idoneità all’esercizio del ministero ordinato; e l’azione maggiormente punitiva della Chiesa in questo ambito, il cui esito non consiste in una esplicita sanzione penale, ma in un atto di grazia concessa al chierico.

 I doveri dell’Ordinario e dell’oratore

Le Normae riservatae non fanno menzione alla possibilità di chiedere la dispensa, che proprio perché tale non può costituire un obbligo, né in capo all’accusato né in capo all’autorità ecclesiastica, ma solo un diritto di richiesta e un diritto di concessione o diniego. I doveri connessi a tale istituto sono in capo invece all’Ordinario, il quale:

  • Deve rappresentare all’accusato tale possibilità;
  • Deve inoltrare al S. Padre tramite il Dicastero per la Dottrina della Fede la domanda del reo una volta ricevuta. Si tratta di un obbligo a volte frainteso, quando per esempio l’ordinando fosse erroneamente convinto che per inoltrare tale domanda sia necessario il proprio consenso;
  • Deve accompagnare la domanda con un vero e proprio voto (favorevole o meno), nel quale rende ragione del perché si tratta di un caso di eccezione rispetto alla norma, tale da suggerire una grazia; o viceversa perché essa deve essere negata;
  • Deve notificare all’oratore l’eventuale rescritto di grazia, che diventerà efficace all’atto della notifica.

La domanda di dispensa deve essere inoltrata dal chierico e in forma scritta, indirizzata al Santo Padre per il tramite del proprio Ordinario e successivamente del Dicastero per la Dottrina della Fede. Non è richiesta obbligatoriamente una forma di pentimento e ammissione di responsabilità. Nella domanda l’oratore può anche indicare la propria inidoneità al ministero, la crisi di fede ecc.

Le conseguenze giuridiche derivanti dalla dispensa

La principale conseguenza del rescritto è la perdita dello stato clericale. Nel fedele resta impresso il carattere del sacramento, ma non è più chierico. A parte viene trattato il celibato, che per perdere il suo carattere di obbligatorietà, deve essere espressamente dispensato dal Romano Pontefice, su richiesta dell’interessato.

Il rifiuto del rescritto di dispensa

Può accadere che l’oratore una volta chiesta la dispensa, per ragioni di carattere personale si rifiuti di accettare il rescritto, impedendone la notifica. Può succedere che la domanda sia stata presentata in un momento di scoraggiamento personale, passato il quale, spesso grazie anche alla presenza della comunità ecclesiale, egli può rivedere le sue decisioni. Ciò tuttavia a condizione che il rigetto avvenga prima o in occasione della notizia del rescritto. Vi è quindi spazio per un ravvedimento, ma non oltre l’atto della notifica. In caso di rigetto, l’Ordinario ne prende nota, possibilmente davanti ad un testimone, e informa il Dicastero per la Dottrina della Fede della situazione.

La concessione della dispensa in casi manifesti

Ai sensi dell’art. 21 §2, 2 SST, ci sono dei casi in cui “consta manifestamente il compimento del delitto”. In tali circostanze, se si tratta di casi gravissimi e dopo che sia stata data al reo la facoltà di difendersi, il Dicastero per la Dottrina della Fede, può deferire direttamente la questione al Papa, in merito alla dimissione o deposizione dallo stato clericale. In questo caso la concessione della dispensa diventa inevitabile, e la volontà da parte del chierico di uscire dallo stato clericale, sarebbe condizionata da una situazione compromessa in cui la colpevolezza sarebbe chiara.

Bisogna infine ricordare che la concessione della dispensa non comporta automaticamente l’interruzione della procedura in corso, sia essa l’indagine previa, sia il processo. Infatti per ragioni di giustizia, di verità, di carità è possibile giungere a una definizione della causa. Il procedimento potrebbe anche concludersi senza una sanzione, ritenendosi la perdita dello stato clericale sufficiente per un’equa riparazione, come potrebbe applicare qualche sanzione al reo per riconoscere le ferite di chi ha subito abusi.

Bibliografia:

M. Visioli, La dispensa per i chierici accusati di delitto contro il sesto comandamento, (a cura di) C. Papale, Il Vademecum sui casi di abuso sessuale di minori commessi da chierici. Profili teorici e pratici, in Quaderni di Ius Missionale, vol. 17, UUP (2022), 19-41.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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