Il concetto di processo, – ne abbiamo già parlato dal punto di vista della sua evoluzione storica in un altro contributo QUI – in senso stretto e giuridico indica generalmente il complesso degli atti con i quali gli organi giurisdizionali attuano la tutela dei diritti, oppure l’insieme degli atti legittimi, coi quali si compie il giudizio e si definisce qualche questione o situazione, secondo le prescrizioni della legge.
Bisogna tuttavia fare una differenza importante. Processo è diverso da procedura. Il processo – giudizio, con l’insieme dei suoi atti, propriamente tende a cercare le ragioni di definizione della controversia; la procedura, invece, è l’insieme delle norme che regolano il giudizio, e come tale riguarda piuttosto l’evoluzione esterna e pratica di tale ricerca. Ma si può trovare anche procedura al posto di processo o di giudizio.
Nel giudizio si perseguono i diritti verso le persone e si rivendicano i diritti verso le cose. Non sono oggetto di giudizio né quindi possono essere oggetto di sentenza giudiziale esortazioni, ammonimenti, inviti o altro di questo genere, ma solo «diritti» ed, eventualmente, i corrispettivi doveri. Il processo può essere contenzioso, penale e amministrativo.
Il processo contenzioso
Parlando del processo contenzioso, oggetto di questo tipo di processo sono i diritti delle persone fisiche o giuridiche da perseguire o rivendicare e i fatti giuridici da dichiarare (can. 1400 § 1, 1°). I diritti a cui qui ci si riferisce sono i diritti soggettivi. In ossequio alla tutela prevista dal can. 221 § 1, secondo il quale tutti i fedeli hanno il diritto di rivendicare e difendere, presso il foro competente i diritti di cui godono, sono diritti soggettivi quei beni che, protetti dall’ordinamento giuridico-canonico, si riferiscono alla sfera dell’autonomia inviolabile di ciascuna persona nell’uso dei beni e dei mezzi necessari per soddisfare le proprie esigenze, per realizzarsi cioè come persona.
Il processo penale
Oggetto di questo tipo di processo sono i delitti per quanto concerne l’irrogazione o la dichiarazione della pena (can. 1400 § 1, 2°). Di per sé il processo penale è regolato da una normativa propria (cann. 1717-1731). Il delitto invece è la violazione esterna di una legge o di un precetto penale della Chiesa, gravemente imputabile per dolo o per colpa.
Dolo e colpa
Pur non trovandosi nel CIC la definizione di dolo e di colpa, se ne possono ricavare gli elementi determinanti dal dettato del can. 1321 § 2 che recita:
«È tenuto alla pena stabilita da una legge o da un precetto chi deliberatamente violò la legge o il precetto; chi poi lo fece per omissione della debita diligenza non è punito, salvo che la legge o il precetto non dispongano altrimenti».
Pertanto, alla luce del citato canone, si dice dolo la deliberata volontà di violare la legge o il precetto. Tale deliberata violazione dolosa propriamente si ha quando il soggetto, avvertendo il nesso di causalità tra la sua azione o omissione e l’effetto antigiuridico e criminoso, positivamente vuole tale effetto vietato dalla legge. Si richiedono congiuntamente due elementi: conoscenza da parte dell’intelletto e deliberazione da parte della volontà. Si dice colpa l’omissione della debita diligenza; essa si ha quando l’evento delittuoso è causato indirettamente, in quanto né voluto né previsto.
Pene medicinali ed espiatorie
Le pene sono di due tipi: medicinali ed espiatorie:
– le pene medicinali o censure sono quelle per cui si priva il battezzato delinquente e contumace di certi beni spirituali o annessi ai medesimi fino a che, una volta abbandonata la sua contumacia, sia assolto. Hanno lo scopo di correggere il delinquente e di reintegrarlo nella comunione ecclesiale. Le pene medicinali comprendono la scomunica, l’interdetto e la sospensione.
– le pene espiatorie sono quelle la cui finalità diretta è l’espiazione del delitto, in modo che la sua remissione non dipenda dalla cessazione della contumacia del delinquente. Hanno lo scopo di riparare l’ordine infranto.
Pene latae e ferendae sententiae
Per capire la differenza tra irrogazione e dichiarazione di una pena, è necessario considerare la differenza tra pene latae sententiae e pene ferendae sententiae:
– sono pene latae sententiae quelle stabilite ipso iure e si incorre in esse non appena si sia commessa una qualche azione delittuosa, senza che sia necessario l’intervento dell’autorità; questa si limiterà solo a dichiarare la pena già stabilita dalla legge;
– sono pene ferendae sententiae quelle in cui non si incorre automaticamente, ma devono essere inflitte dall’Ordinario o dal giudice, a seguito rispettivamente di un decreto amministrativo o di un processo giudiziale.
Le pene latae sententiae sono una peculiarità del diritto canonico. Gli ordinamenti civili conoscono solo pene ferendae sententiae.
Il processo amministrativo
Oggetto di questo tipo di processo sono le controversie insorte da un atto della potestà amministrativa; esse possono essere deferite solo al Superiore o al tribunale amministrativo (can. 1400 § 2). Il can. 1400 § 2, insieme al can. 149 § 2, sono gli unici due canoni rimasti nel vigente CIC che parlano espressamente di tribunali amministrativi (locali). Secondo alcuni, il fatto che questi due canoni siano rimasti nel testo definitivo del CIC risponde alla mens del Legislatore di sancire la possibilità del ricorso contenzioso amministrativo contro gli atti singolari illegittimi dell’amministrazione ecclesiastica.
La Segnatura Apostolica è competente a giudicare i ricorsi che legittimamente le vengono deferiti, esaurendo prima la via gerarchica attraverso il ricorso. Il ricorso gerarchico si può introdurre quando un fedele si ritiene gravemente danneggiato da un atto di governo che considera illegittimo, richiedendo il ministero di un superiore gerarchico, ricorrendo appunto a tale superiore gerarchico, a quello cioè a cui è immediatamente sottomessa l’autorità che ha emanato l’atto controverso.
Bibliografia
L. Sabbarese, Manuale di Diritto Canonico. Analisi di Principi generali, Istituti e Problematiche dottrinali e giurisprudenziali, ed. NelDiritto Editore, Lecce 2021.
C. Papale, I processi. Commento ai canoni 1400-1670 del codice di diritto canonico, UUP, Roma 2007.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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