Biagio D’Antonio, la Giustizia, olio su tavola, 1474 circa, Galleria degli Uffizi, Firenze.
La presenza di un organismo penale «potrebbe sembrare in contrasto con quell’atteggiamento cristiano di misericordia e di comprensione»[1], continuamente rivolto al perdono del fratello[2], tuttavia è anche vero che la Chiesa, come qualsiasi altra organizzazione, ha delle necessità di disciplinamento istituzionale al proprio interno.
Essa è chiamata anche a disciplinare particolari situazioni «che possono incidere in senso fortemente negativo sull’armonico svolgimento della vita comunitaria»[3]. Peraltro, le prime comunità cristiane elaborarono un complesso di regole aventi ad oggetto «la gerarchia, la liturgia e la catechesi»[4], ma formularono anche norme per punire le condotte ritenute deplorevoli, commesse sia da chierici che da laici[5]. In tal senso, le sanzioni non erano considerate in contraddizione con il messaggio evangelico[6], ma erano compenetrate nella missione redentrice propria della Chiesa nella prospettiva escatologica della salvezza.
Il potere della chiesa nella charitas
La dimensione pastorale del diritto penale canonico, che emerge dal vigente codex[7], è il frutto di una relazione specifica e diretta con l’ecclesiologia emersa dal Concilio Vaticano II[8]. Quest’ultima non ha rimosso lo ius coactivum della Chiesa[9], ma anzi ha tentato di assorbirlo nella più ampia e profonda cornice della carità cristiana. Oggi, il potere coercitivo della Chiesa non ha, dunque, fondamento nel carattere giuridico «di societas perfecta né nell’esigenza di realizzare una giustizia retributiva»[10], ma nella visione più alta della charitas.
D’altronde, come è stato osservato in letteratura, la «compenetrazione della giustizia con la caritas e la misericordia»[11] non deve essere percepita come una sorta di «applicazione edulcorata della legge»[12], che possa regredire in «sentimentalismo o in malintesa compassione»[13]: non pronta semplicemente a perdonare, ma attenta, all’occorrenza, a ricorrere alla medicinalis severitas. La sanzione canonica è dunque un «mezzo (pastorale) di carattere residuale, extrema ratio, da utilizzare là (e solo là) ove tutti gli altri mezzi (pastorali) utilizzabili abbiano fallito nel guidare il fedele sul sentiero della riconciliazione»[14].
L’intervento penale quale criterio riparativo della giustizia
Nondimeno, è importante sottolineare che, sebbene il peccato e il delitto producano due effetti dell’inosservanza di una norma penale, il delitto presuppone sempre un peccato, ma il peccato non configura necessariamente un delitto. È proprio in questo contesto di carità pastorale, al fine di reintegrare il reo nel corpo mistico della Chiesa che nell’ambito penale nasce l’esigenza del superamento di una logica retributiva tipica delle realtà statuali come una ritorsione del male posto in essere, verso una logica riparativa che favorisce il riconoscimento della responsabilità da parte del reo verso se stesso e verso la vittima, perché è solo «il volto dell’altro a chiamarmi alla responsabilità»[15].
Il nucleo della questione ruota intorno al giudizio negativo di una visione della pena, concepita come riscontro paritario al male commesso[16]. Andare oltre la logica retributiva determina la rimodulazione del sistema penale tradizionale con il conseguente apparato sanzionatorio[17]. Una parte degli studiosi ha approfondito la questione sviluppando questa tesi sulla funzione della pena ricorrendo al concetto di giustizia riparativa: essa si basa su una scelta fondativa diversa rispetto alle altre, in quanto pone l’intervento penale in una logica di alterità radicale al male[18]. Il criterio della potestà punitiva è l’opzione di reagire al reato, pertanto, nell’orientamento della giustizia riparativa, la centralità dell’intervento penale viene posta nel rapporto tra reato e pena, ma intendendo questa come risposta al negativo subito dalla vittima[19].
In definitiva
La giustizia riparativa, sorpassando la logica della reciprocità, si offre di riconciliare piuttosto di punire; da qui inizia l’indagine di forme atte a sanare il male cagionato che non si limitano al risarcimento del danno, ma che includano un progetto di bene che favorisca la graduale e matura responsabilizzazione dell’autore[20], senza perdere l’attenzione alle misure preventive ante delictum, alle quali deve rispondere l’intervento sanzionatorio. Anzi, il valore terapeutico dell’intervento penale di genere riparatorio deve essere diretto verso due direzioni: da un lato, all’appagamento dei bisogni e alla promozione di sicurezza delle vittime; dall’altro all’auto-responsabilizzazione dell’artefice del reato sulle sue conseguenze, riconoscibili nel danno alla vittima e all’organismo sociale[21].
Note
[1] P. Moneta, Introduzione al diritto canonico, Giappichelli, Torino 2007, 90.
[2] Sul punto si veda P. Bellini, Denunciatio evangelica e denunciatio iudicialis privata. Un capitolo di storia disciplinare della Chiesa, Giuffrè, Milano 1986.
[3] Moneta, Introduzione al diritto canonico, 93.
[4] Cf. J. I. Arrieta, Proemio, in B. F. Pighin, Diritto penale canonico, Marcianum Press, Venezia 2008, 5.
[5] Cf. C. Vogel, Il peccatore e la penitenza nella Chiesa antica, Elledici, Torino 1967.
[6] Sul punto si veda P. Bellini, Denunciatio evangelica e denunciatio iudicialis privata. Un capitolo di storia disciplinare della Chiesa, Giuffrè, Milano 1986.
[7] Sul punto si veda E. Corecco, I presupposti culturali ed ecclesiologici del nuovo «Codex», in Il nuovo codice di diritto canonico. Aspetti fondamentali della codificazione postconciliare, a cura di S. Ferrari, Il Mulino, Bologna 1983, 56 ss. Cf G. Feliciani, Lineamenti di ricerca sulle origini della codificazione canonica vigente, in Annali di Macerata, 1982, 207-225; R. Bertolino, La tutela dei diritti nella Chiesa. Dal vecchio al nuovo codice di diritto canonico, Giappichelli, Torino, 1983.
[8] Cf. G. Feliciani, Le basi del diritto canonico, Il Mulino, Bologna 2002, 41-46.
[9] In particolare, il can. 1311 del vigente Codex Juris Canonici (CJC) sancisce che: «La Chiesa ha il diritto nativo e proprio di costringere con sanzioni penali i fedeli che hanno commesso delitti». Per un commento di tale disposizione si rimanda più ampiamente a A. Calabrese, Diritto penale canonico, Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1996, 2 ss.; J. Arias, La potestà coattiva nella Chiesa, in Quaderni di diritto e politica ecclesiastica, 1999, 134 ss.
[10] R. Botta, La norma penale nel diritto della Chiesa, Il Mulino, Bologna 2001, 18.
[11] Moneta, Introduzione al diritto canonico, 44.
[12] Ivi.
[13] Ivi.
[14] Botta, La norma penale nel diritto della Chiesa, 24.
[15] Z. Bauman, Una nuova condizione umana, Vita e Pensiero, Milano 2003, 12.
[16] Cf. L. Eusebi, Profili della finalità conciliativa nel diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci. Teoria della pena e teoria del reato, vol. II, Giuffrè, Milano 2006, 1109-1127.
[17] Cf. F. Occhetta, Il sovraffollamento delle carceri italiane, in La Civiltà Cattolica 13 (2008), 69-79; L. Eusebi, Quale prevenzione dei reati? Abbandonare il paradigma della ritorsione e la centralità della pena detentiva, in M. L. De Natale (cur.), Pedagogisti per la giustizia, Vita e Pensiero, Milano 2004, 65-114.
[18] Cf. L. Eusebi, Giustizia e salvezza, in G. Visonà (cur.), La salvezza, Cittadella Assisi, 2008, 168 ss.
[19] Cf. L. Eusebi, Profili della finalità conciliativa nel diritto penale, in Studi in onore di Giorgio Marinucci. Teoria della pena e teoria del reato, 1109-1127.
[20] Cf. M. Bouchard – G. Mireolo, Offesa e riparazione, Per una nuova giustizia attraverso la mediazione, Mondadori, Milano 2005, 191-200.
[21] Cf. Riondino, Giustizia riparativa e mediazione nel diritto penale canonico, 78.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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