Nel corso dei secoli, si sono susseguite quattro distinte tipologie di processo penale canonico. Andiamo dunque ad esaminarle in maniera più dettagliata.
Gli Atti degli Apostoli[1] e le Lettere paoline[2], mostrano che nei primi secoli dopo Cristo la giurisdizione veniva esercitata nei confronti dei gruppi di fedeli laici su una base personalistica: le Chiese particolari erano intese come comunità di fedeli, originariamente nomadi, legate ad un Pastore; erano nient’altro che «portiones Populi Dei», mentre il territorio veniva eventualmente considerato solo uno dei meccanismi per l’individuazione concreta di una determinata Chiesa particolare[3].
Tuttavia, quando la struttura della Chiesa cominciò ad essere stabile e si verificò un considerevole aumento dei battezzati, sorse la necessità di organizzare la cura spirituale delle varie comunità di fedeli laici in maniera più rigorosa, motivata dalle concrete esigenze di ciascun luogo[4].
Prima tipologia (accusatorio privato)
Nel campo penale, tanto le corti episcopali, quanto le magistrature secolari, continuarono a basare, fondamentalmente, le loro procedure sui principi tradizionali del diritto romano, e cioè sul sistema accusatorio privato. Questo rappresenta il primo sistema di processo penale che venne utilizzato dalla Chiesa per svariati secoli e che si caratterizzava per il fatto che il ruolo dell’accusa non veniva svolto da un magistrato ordinario rivestito da autorità pubblica, bensì da una persona privata che assumeva le vesti dell’accusatore. Ad essa spettava svolgere le indagini, ricercare le prove e sostenere l’accusa per la durata dell’intero giudizio.
L’autorità pubblica non assumeva quindi, alcuna iniziativa al riguardo[5]. L’accusa poteva essere esercitata infatti da un qualsiasi cittadino a prescindere dall’essere stato offeso dal delitto perseguito: non vi era dunque alcun nesso tra la legittimazione ad accusare e l’essere offeso dal delitto[6]. Successivamente tuttavia, onde evitare abusi che potevano facilmente verificarsi (ad esempio, accuse sostenute per motivi di lucro, di vendetta, di ambizione, ecc.), furono stabilite pene severe, in particolare la pena del taglione, per l’accusatore che non fosse stato in grado di sostenere l’accusa con prove: in tal caso egli incorreva nella stessa pena che avrebbe subito l’accusato in caso di condanna[7].
L’accusatore doveva anche prestare giuramento di sostenere la verità, ed a volte, se l’accusato era prigioniero, costituirsi anch’egli in carcere, o comunque fornire determinate cauzioni e garanzie. Tale particolare, apparentemente anomalo, si spiegava con il principio, tipico del processo accusatorio, di stabilire un’assoluta uguaglianza tra le parti[8]. Il processo, in tale ottica, era un’arma a doppio taglio che colpiva necessariamente uno dei due avversari[9]. Solo in rari casi si permetteva, infatti, all’attore di desistere dall’accusa, concorrendo in tale ipotesi l’accordo dell’accusato ed il consenso del giudice, ma se le parti si conciliavano dovevano pagare una somma al fisco, come avviene oggi con l’istituto della remissione di querela[10].
Seconda tipologia, l’impianto inquisitorio
Il secondo sistema, quello inquisitorio, sorse come rimedio per i casi in cui l’accusa privata fosse mancata. Esso sostanzialmente costituì dapprima un rimedio di ordine straordinario e, successivamente ordinario, all’inerzia dell’accusa privata, sì da impedire che il colpevole sfuggisse alla giustizia[11].
I Vescovi, già investiti di poteri disciplinari[12], cominciarono ad essere normalmente scelti come arbitri ed autorevoli compositori di qualunque dissidio tra i chierici. Dato che essi ispiravano più fiducia ai litiganti che non i giudici ordinari, spesso corrotti e poco istruiti, anche i laici presero a servirsi senza esitazioni della loro opera[13]. Il sistema inquisitorio fu caratterizzato dalla figura del giudice-dominus, cioè di un organo pubblico, cui competeva sia la funzione di inquisitore che quella di giudicare: egli infatti aveva il compito di ricercare le prove, valutarle, acquisirle ed emettere il provvedimento finale. Tale sistema, che difficilmente consentiva di realizzare una situazione di parità tra accusa e difesa e che era caratterizzata dalla segretezza del procedimento, fu adottato dalla Chiesa durante la lotta contro l’eresia[14].
Terza tipologia, accusatorio pubblico
Il terzo sistema, vale a dire quello accusatorio pubblico, si caratterizzava per la netta differenziazione tra il ruolo del giudice e quello della pubblica accusa. A differenza del sistema inquisitorio, quello in esame presentava un soggetto pubblico, distinto dall’organo giudicante, cui faceva capo la ricerca delle prove del delitto. In tale ambito si era quindi innanzi a una figura di pubblico accusatore corrispondente a quella dell’attuale promotore di giustizia[15].
L’accusatore pubblico incominciò ad intervenire sistematicamente quando alla lesione di un diritto privato si fosse accompagnata quella di un diritto pubblico. Il denunciante privato, in questo caso, rimaneva in giudizio essenzialmente per ottenere un risarcimento del danno sofferto. Si ebbe così l’origine della moderna costituzione di parte civile[16].
Quarta tipologia, misto
Il quarto e ultimo sistema, quello misto, consisteva in una sorta di combinazione del sistema inquisitorio e di quello accusatorio pubblico. In sintesi, mentre la fase di ricerca e acquisizione delle prove, condotta da un giudice istruttore, continuava ad essere scritta e segreta, la valutazione delle prove e l’esame dei testimoni, si svolgeva in udienza pubblica. Il processo misto era perciò un processo bifasico, in cui ad una fase inquisitoria succedeva una fase accusatoria.
Note
[1] Cfr., ad esempio, Act 11,19-26; Act 18,24-26.
[2] Nell’organizzazione della Chiesa primitiva, il territorio veniva utilizzato, in particolare, come uno strumento o un parametro per individuare nello spazio etnico-geografico una determinata Chiesa particolare: le espressioni più usate erano, infatti, «la Chiesa che è in Roma; la Chiesa che è in Corinto, ecc.» (cfr., ad esempio, Rom 1,7: «omnibus qui sunt Romae dilectis Dei, vocatis sancti»; 1 Cor 1,2 e 2 Cor 1,1: «Ecclesiae Dei quae est Corinthi»; Eph 1,1: «sanctis qui sunt Ephesi et fidelibus in Christo Iesu»), vedi C. Tammaro, L’atto introduttivo (denuntiatio) e la fase preliminare del processo penale canonico in epoca basso-medievale: rilievi storico-giuridici, in Ius Canonicum, XLVIII, n. 95, 2008, nota 6, p. 239.
[3] Cfr. O. Condorelli, Ordinare-Iudicare. Ricerche sulla potestà dei Vescovi nella Chiesa antica e altomedievale (secoli II-IX), Roma 1997, pp. 31-32.
[4] C. Tammaro, L’atto introduttivo (denuntiatio), pp. 229-230.
[5] C. Papale, Il processo penale canonico. Commento al Codice di Diritto Canonico Libro VII, Parte IV, UUP, Città del Vaticano 2007, p. 107.
[6] Cfr. G. Conso, Accusa e sistema accusatorio (diritto romano e intermedio), in Enciclopedia del diritto, vol. I, Giuffrè, Miano 1958, p. 311.
[7] P. Torquebiau, De le procédure criminelle, in R Naz (ed.), Dictionnaire de droit canonique 4, Parigi 1954 p. 400
[8] Cfr. C. Douais, Documents pour servir à l’histoire de l’Inquisition, Parigi 1900, pp. 60-64.
[9] C. Tammaro, L’atto introduttivo (denuntiatio), p. 231.
[10] K. Helm, Geschichte der Ketzer, Stoccarda 1845, pp. 143-146.
[11] C. Papale, Il processo penale canonico, p. 107.
[12] In merito alla potestà disciplinare episcopale, vagliata nella sua struttura e caratteristiche in epoca antecedente alla nascita del processo inquisitorio, cfr. H. Maisonneuve, Études sur les origines de l’Inquisition, Parigi 1942, pp. 81-83.
[13] E. Burman, The Inquisition: hammer of heresy, Aquarian Press, Wellingborough 1984, pp. 155-156.
[14] C. Papale, Il processo penale canonico, p. 107.
[15] Ivi.
[16] C. Tammaro, L’atto introduttivo (denuntiatio), p. 238.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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