Un’analisi comparativa del principio del giusto processo negli ordinamenti secolari e nell’ordinamento canonico
Potrebbe sembrare un gioco di parole parlare di giusto processo o di processo giusto, ma tale non è, soprattutto se alla tematica alquanto delicata non si sappia offrire una corretta risposta che metta in rilievo distinzioni doverose e puntuali da fare in proposito.
E dal momento che nell’epoca attuale risulta alquanto appropriata l’inversione di alcuni concetti anche giuridici per fondare convincimenti che vanno al di là del semplice sentire comune e far vibrare le corde anche più sensibili e richiamare l’attenzione su categorie dalle quali che si voglia o no, non si potrà prescindere, allora in una prospettiva del genere bisognerà parlare di giusto processo ma più ancora di processo giusto.
Per fondare quanto affermato ed ancor di più in una prospettiva canonistica, corre l’obbligo anzitutto partire da una comparazione con gli ordinamenti secolari, in modo particolare con l’ordinamento giuridico italiano, per dimostrare ancora una volta che il diritto canonico, che secondo alcuni può sembrare scarno o intriso di concetti residuali del passato, invece è ricco e denso di tanta umanità al punto da essere strumento pregnante anche per un processo giusto qualora lo si voglia celebrare.
Negli ordinamenti secolari
Entrando nel vivo della questione sul giusto processo una prima considerazione che viene in risalto è che esso, in qualunque ordinamento lo collochiamo, risponde ed è normato dalle norme costituzionali dell’ordinamento giuridico di riferimento.
Proprio perché una garanzia di giustizia quale è la tutela giudiziaria, non può che trovare accoglimento soltanto a livello di principi insindacabili che devono essere cristallizzati ed elevati al rango di norme costituzionali.
Infatti basta considerare l’articolo 111 della Costituzione italiana per capire quanto fin qui premesso, è cioè che il giusto processo è un principio non negoziabile che diventa anche un valore di riferimento ogni qualvolta la persona si trovi coinvolta in ambito giudiziario.
Il giusto processo attiene sia ai procedimenti civili sia con più rigore ai processi penali, proprio perché in quest’ultimo ambito si ha a che fare principalmente con la libertà stessa della persona che il più delle volte viene ristretta o compressa sempre nell’ottica però che una limitazione è da intendersi come estrema ratio procedendi.
Fanno poi da corollario al giusto processo, altrettanti principi non meno importanti e peculiari quali il principio dell’imparzialità e della terzietà del giudice, il principio del contraddittorio tra le parti, il principio fondamentale del diritto di difesa, e per il processo penale italiano anche rileva il principio dell’oralità, a fronte di una più ingente cartolarizzazione invece del processo civile.
Anche se il principio dell’oralità purtroppo è stato colpito da un vulnus inferto dalla Corte Costituzionale che in una pronuncia del 2019 ha stabilito che detto principio deve essere bilanciato con il principio di ragionevole durata del processo. Sembra una forzatura in realtà osservare come un valore da sempre ritenuto non negoziabile (cioè oralità e diritto di difesa) oggi possa essere addirittura sottoposto ad un vaglio di bilanciamento. Invero tutto ciò cozza e si scontra con il repentino cambiamento della società cui anche il diritto secolare stesso fa fatica a stare dietro, ahimè paventando di trascinare nel baratro valori altamente antropologici che rischiano di essere avvertiti ormai in un’ottica economica se non addirittura finanziaria.
Nel diritto canonico
E nel diritto della Chiesa? In che modo o in quale misura viene ricompresa la forza di un processo giusto?
Quando parliamo di tale categoria in ambito canonico, è sempre opportuno ricorrere anzitutto proprio a quel ribaltamento concettuale di cui si accennava all’inizio, cioè nella Chiesa è preferibile parlare di processo giusto.
“Giusto” in relazione al bene tutelato; “giusto” in relazione della giustezza dell’itinerario seguito, cioè il cammino verso la verità; “giusto” in relazione al principio sotteso nella ricerca della verità, cioè il principio della “scelta per il diritto”; ed infine “giusto” in rapporto al momento finale, cioè il raggiungimento della certezza morale.
In tema di processo giusto, è da notare altresì come la Chiesa, la quale giustamente pur essendo interpellata dalla evoluzione positiva dei sistemi giuridici secolari, tuttavia possiede e difende alcune categorie processuali altamente superiori al cammino procedurale che invece possa essere proposto in altri ordinamenti. Queste categorie processuali sono più autentiche perché, volendo mutuare i concetti dell’essenzialità e della sostanzialità che si ritrovano in Dio secondo San Tommaso d’Aquino, per cui Dio è un Essere Semplice proprio perché in lui essenza e sostanza coincidono, allo stesso modo nella Chiesa le dinamiche processuali sono più pure e più autentiche perché sono dinamiche semplici, in quanto non si sono lasciate in determinati aspetti contaminare dalla evoluzione processuale che invece hanno subito gli ordinamenti secolari.
Beni giuridici tutelati
Alla luce di ciò, invero diventa molto più chiaro l’elemento fondativo del processo giusto, giacché esso mira esclusivamente alla tutela dei beni giuridici della dignità della persona e della salvezza delle anime; ancor di più esso è capace di far riconoscere come contenuto condiviso a livello di diritto internazionale, il principio del rispetto della pluralità delle culture; ed ancora il processo giusto rafforza la tutela della scelta per il diritto in ragione della ricerca della verità vera, infatti al processo canonico non interessa la verità processuale di cui si fanno baluardo gli ordinamenti secolari e che di fatto si risolve il più delle volte in una verità “comoda”, se non accomodante per lo stesso giudice o per un fine di giustizia.
Al processo canonico attiene solo la ricerca della verità vera, proprio perché in un’ottica di giustezza dei mezzi utilizzati nell’itinerario processuale, viene in rilievo la stessa semplicità che lo guida, cioè cercare la verità per la verità e niente altro.
Ed infine il processo giusto, è giusto anche in rapporto al momento finale, ossia al raggiungimento della certezza morale che farà si che il giudice possa emettere l’atto conclusivo. E si sottolinea pervicacemente tutto questo, laddove a fronte degli ordinamenti secolari che richiedono soltanto il “libero convincimento del giudice”, invece in ambito canonico non è sufficiente un libero convincimento, ma si richiede espressamente la certezza morale, in quanto essa tutela con forza la salvezza delle anime e la verità vera processuale.
Il processo giusto in definitiva raccoglie in sé tutti quei valori che in un’ottica di trasparenza e verità risultano essere fondanti di una applicazione più autentica della giustizia nella estrinsecazione più bella che il diritto possa offrire all’uomo di tutti i tempi, cioè il rispetto della comune dignità umana secondo una verità sostanziale.
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Per un approfondimento sistematico
– Arroba Conde M.J., Diritto processuale canonico, settima edizione, ediurcla 2020.
– Di Bernardo E., Modelli processuali e diritto probatorio civile. Elementi di common law, civil law e di diritto canonico, Lateran University Press, Città del Vaticano 2016.
– Tonini P., Diritto processuale penale, Giuffrè Editore 2018.
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(S. Giovanni Paolo II)
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