L’ingerenza statale rispetto al diritto di culto: fin dove lo Stato può spingersi a limitare un diritto inviolabile?

«Ma noi uomini siam in generale fatti così: ci rivoltiamo sdegnati e furiosi contro i mali mezzani, e ci curviamo in silenzio sotto gli estremi; sopportiamo, non rassegnati, ma stupidi, il colmo di ciò che da principio avevamo chiamato insopportabile».

(A. Manzoni, “I Promessi Sposi”, Capitolo 28)

 

La realtà che oggi stiamo vivendo, eravamo stati abituati a vederla solo al cinema o comodamente dal salotto di casa nostra, dopo una serata spensierata, magari dopo aver mangiato la pizza e giocato a monopoli. Invece tutto questo si è trasformato in realtà e la spensieratezza dei giorni si è tramutata in angosciosa attesa. Il virus, partito dalla Repubblica Popolare Cinese, è stato dichiarato dall’Organizzazione mondiale della sanità il 30 gennaio 2020 un’emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale e l’11 marzo 2020 una pandemia, per l’alto numero di morti e contagiati in diversi paesi del mondo. Si è scoperto presto che quella che sembrava una semplice influenza è invece qualcosa di più serio e per la quale è necessario intervenire con forza e determinazione.

 

PRESA DI COSCIENZA

Il Presidente del Consiglio dei Ministri, Avv. Prof. Giuseppe Conte, preso atto della situazione, con diversi decreti legge ha emanato delle misure volte a contenere e prevenire il contagio. Non vogliamo soffermarci a disquisire anche sull’utilizzo della legislazione d’urgenza, che nell’ultima decade è stata usata da tutti i Governi che si sono succeduti con fin troppa facilità e superficialità, ignorando e bai passando del tutto la codificazione in merito (Art. 77 della Carta Costituzionale) e provocando una forzatura del precetto costituzionale, che ha portato i decreti legge (che ricordiamolo, devono avere carattere di: straordinarietà, necessità e urgenza), a diventare uno dei tipi di provvedimenti più discussi e usati in Parlamento.

In questo articolo, cercherò, mettendo a confronto i due ordinamenti; statale ed ecclesiale, di far emergere tutti i punti discordanti che hanno interessato e stanno interessando questo periodo di lock down, analizzando in special modo i provvedimenti adottati dal Governo italiano e che andrebbero a scontrarsi con l’ordinamento canonico, che regola il diritto di culto. 

 

MUTUO ACCORDO

La prima misura restrittiva vera e propria possiamo demandarla al decreto- legge 23 febbraio 2020, n. 6, successivamente convertito in legge (legge 5 marzo 2020, n. 13), recante il seguente titolo: misure urgenti in materia di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-19. In queste misure restrittive, specificamente all’articolo 1 comma 2, capo c si legge:

“sospensione di manifestazioni o iniziative di qualsiasi natura, di eventi e di ogni forma di riunione in luogo pubblico o privato, anche di carattere culturale, ludico, sportivo e religioso, anche se svolti in luoghi chiusi aperti al pubblico”.

Preso atto del decreto-legge che di fatto esercita un’ingerenza sul piano strettamente canonico, limitando in maniera unilaterale la celebrazione della Santa Messa sul territorio nazionale, molti Vescovi hanno a loro volta emanato decreti di sospensione della celebrazione Eucaristica con il popolo o di chiusura preventiva delle chiese, il tutto parrebbe, in pieno accordo con la linea seguita dal Governo, che in tal modo ha incassato il placet del mondo cattolico.

Vi è però un errore di fondo, il decreto-legge dà per scontato che il potere secolare-statale possa intervenire con una legislazione, limitando o addirittura abolendo, certe libertà che sono inviolabili, come quella di culto, sancita dall’articolo 19 della stessa Costituzione Italiana. L’errore che non possiamo far altro che riscontrare, è che il potere secolare si è arrogato il diritto di legiferare su di un aspetto che non è e non può essere -nonostante la pandemia- di sua competenza, come ci ricorda l’Accordo di Villa Madama all’articolo 2,1:

“La Repubblica italiana riconosce alla Chiesa cattolica la piena libertà di svolgere la sua missione pastorale, educativa e caritativa, di evangelizzazione e di santificazione. In particolare è assicurata alla Chiesa la libertà di organizzazione, di pubblico esercizio del culto, di esercizio del magistero e del ministero spirituale nonché della giurisdizione in materia ecclesiastica”.

Non è pertinenza dello Stato normare la partecipazione e la regolamentazione dei riti all’interno dei luoghi di culto, né tantomeno disporre in via autonoma se il Rito debba o no svolgersi ̔con il popolo̕ o ̔senza il popolo̕; tale diritto spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, che esercita in via autonoma e libera la regolamentazione del culto.

Pertanto vi starete chiedendo come mai in Italia le celebrazioni Eucaristiche con il popolo siano state sospese per qualche tempo…
La partecipazione dei fedeli alla celebrazione della Santa Messa è stata sospesa non in virtù del decreto-legge di cui sopra, bensì dopo i decreti che i vari Vescovi diocesani e non, hanno promulgato, ognuno per la sua Diocesi o per la propria competenza pastorale o territoriale, quello è l’atto canonisticamente e legalmente giusto, che ha di fatto decretato come lecite, le sole celebrazioni sine populo. Così il dilagare anche poco accorto delle Sante Messe in streaming sui vari social media.

Con ciò non vogliamo far passare il messaggio che non sia giusto sospendere la celebrazione pubblica delle Sante Messe, ma forse questa situazione si sarebbe potuta risolvere in maniera più semplice, inserendo ad esempio nel decreto-legge la seguente frase che avrebbe evitato errori grossolani, precedenti imbarazzanti oltre che pericolosi: decretiamo, in accordo e comunione con la Santa Sede e la Conferenza Episcopale Italiana…

Vignetta di ©Giovanni Berti, www.gioba.it.

È un esempio ma dà l’idea della giusta linea che il Governo avrebbe dovuto seguire, non sappiamo se ci siano stati accordi o meno o anche solo a parole, ma sappiamo che qualche scambio di informazioni c’è stato, possiamo desumerlo da una nota, questa proveniente dalla Direzione Centrale degli Affari dei Culti del Ministero degli Interni, indirizzata al Sottosegretario della CEI, Mons. Ivan Maffeis e reca come titolo: Quesiti in ordine alle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica da Covid-19. Esigenze determinate dall’esercizio del diritto alla libertà di culto, nel testo si legge chiaramente:

«Con riferimento ai quesiti in oggetto, si forniscono i chiarimenti richiesti».

Parrebbe quindi una risposta ad un parere che la Conferenza Episcopale ha richiesto circa alcuni dubbi in merito allo svolgimento dei Sacramenti, ciò che salta all’occhio è quanto si legge al secondo capoverso:

«Innanzitutto, appare opportuno sottolineare che, salvo eventuale autonoma diversa decisione dell’Autorità Ecclesiastica, non è prevista la chiusura delle chiese» e ancora continua «l’accesso […] deve essere consentito solo a un numero limitato di fedeli […] evitando qualsiasi forma di assembramento o raggruppamento di persone».

La nota chiarisce sebbene impropriamente, che le chiese possano rimanere aperte, e che una eventuale chiusura debba essere stabilita dalla rispettiva autorità, che, aggiungo io, è l’unica in grado di poterlo stabilire.

Tuttavia, l’spetto più grave di questa comunicazione è contenuto in due passaggi, che sono delle vere e proprie aberrazioni giuridiche, si legge:

«è necessario che l’accesso alla chiesa avvenga solo in occasione di spostamenti determinati “da comprovate esigenze lavorative”, ovvero per “situazioni di necessità” e che la chiesa sia situata lungo il percorso, di modo che, in caso di controllo da parte delle Forze di Polizia, possa esibirsi la prescritta autocertificazione o rendere dichiarazione in ordine alla sussistenza di tali specifici motivi».

Tutto ciò è gravemente lesivo del diritto del singolo alla libertà religiosa, che non viene ritenuta più, di fatto, un diritto autonomo bensì accessorio (e subordinato) della libertà di movimento (per andare a lavorare o, peggio, fare la spesa). Oltre il danno la beffa, dobbiamo anche qui, denotare che il solo spostamento per recarsi a pregare appare come una mera possibilità concessa dall’autorità di polizia, che, sotto certi punti di vista si erge a giudice (possibilità di recarti in chiesa solo e se unito all’esercizio della libertà di circolazione), seguendo queste indicazioni sarebbe dunque impossibile recarsi in chiesa nel giorno di Domenica, dato che verrebbe a mancare la ̒comprovata esigenza lavorativa̕.

Ma il documento non si ferma qui, e ha l’ardire di tentare di normare chi possa partecipare alla celebrazione liturgica della Settimana Santa ed alle ̔celebrazioni similari̕, limitando alle seguenti figure questo diritto sacrosanto e inviolabile:

«il numero dei partecipanti […] non potrà che essere limitato ai celebranti, al diacono, al lettore, all’organista, al cantore ed agli operatori per la trasmissione»

il documento ancora una volta continua a sconfinare i margini di competenza statale e si attribuisce il diritto di disporre financo il numero massimo di persone che per ciascuna chiesa possa intervenire ai Riti della Settimana Santa o, peggio ancora, in base ai “servizi” che questi ultimi prestano.

La competenza su chi debba essere presente al Rito o su cosa occorra per lo stesso è solo dell’Autorità Ecclesiastica e nessun potere statale, sia esso il Legislatore o l’Esecutivo, può esercitare una tale ingerenza su questioni di natura strettamente ecclesiale.

Vignetta di ©Giovanni Berti, www.gioba.it.

 

SI È ROTTO QUALCOSA

Alla luce di queste considerazioni, il documento citato è assolutamente irricevibile poiché il suo contenuto confligge con le norme che regolano il rapporto tra Stato e Chiesa, spetta solo all’Autorità Ecclesiastica, nel pieno dell’esercizio del suo dovere primario di rendere culto a Dio, poter regolare la liturgia all’interno dei luoghi sacri e ad essa sola spetta considerare l’opportunità in base a criteri che via via si paleseranno. Lo sconfinamento attuato sinora da parte dello Stato italiano, rischia pertanto, di creare un precedente gravissimo, allorché chiunque in un prossimo futuro per un presunto bene maggiore, possa reiterare le attuali restrizioni, paventando i precedenti che abbiamo finora illustrato ma con ben altre intenzioni, non escluse quelle esclusivamente politiche, come ad esempio e ci teniamo a rimanere nel novero delle supposizioni, soffocando la Chiesa in un sistema statalista, in modo da confinarla una volta e per sempre.

 

“Cum charitate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Rosario Vitale

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