Vittima e risarcimento nel processo canonico: il vuoto normativo del can. 1720 e possibili soluzioni

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L’obbligo del risarcimento del danno nel diritto canonico (can. 128 CIC)

Il canone 128 CIC dispone che chiunque illegittimamente con un atto giuridico, anzi con qualsiasi altro atto posto con dolo o con colpa, arreca un danno ad un altro, è tenuto all’obbligo di riparare il danno arrecato. Dall’analisi della norma emergono alcuni elementi fondamentali: il soggetto che cagiona il danno (danneggiatore), il soggetto che lo subisce (danneggiato), la tipologia di atti e danni rilevanti, nonché le modalità di riparazione e il loro criterio di determinazione.

L’espressione chiunque implica che il danneggiatore possa essere sia una persona fisica sia una persona giuridica. Il principio generale sancisce l’obbligo di astenersi da atti suscettibili di arrecare danno a terzi. Tuttavia, non tutti i soggetti sono automaticamente responsabili, perché infatti al danneggiatore si richiede la capacità soggettiva, di intendere e volere, e quindi di comprendere concretamente gli eventi e gli atti posti in essere. Il danneggiato, (altro) alio, può essere qualsiasi soggetto titolare di diritti e doveri, sia persona fisica sia persona giuridica, e gode del diritto di azione per la riparazione del danno. Tale diritto include anche la facoltà di adire i tribunali ecclesiastici ai sensi del can. 221 §1, al fine di ottenere tutela giuridica.

Tipologia di danni

In merito alla tipologia di atti e danni, il can. 128 utilizza il termine illegitime, riferendosi alla violazione della legge canonica. Ne deriva che l’atto in questione deve essere qualificato come illegittimo ai sensi dell’ordinamento canonico, includendo fattispecie, a titolo puramente esemplificativo e non esaustivo, come le lesioni personali o determinati delitti. Il CIC non specifica la natura del danno, che può essere di carattere patrimoniale, morale, fisico o spirituale, come confermato dalla Lettera Apostolica “Come una madre amorevole“, art. 1, §1. La norma richiede altresì che il soggetto agente abbia operato con dolo o colpa, vale a dire con piena consapevolezza e volontà dell’atto dannoso, ovvero per negligenza, imprudenza o imperizia. Ne consegue l’esclusione di qualsiasi forma di responsabilità oggettiva, non riconosciuta nell’ordinamento canonico.

L’adempimento dell’obbligo risarcitorio si concretizza, di norma, nella restituzione del diritto leso e nel suo ripristino. Qualora ciò non sia possibile, si procede con forme compensative. La tipologia di riparazione varia a seconda del danno subito: in caso di danno materiale, si predilige la restitutio in natura o il risarcimento economico; per il danno non materiale, si ricorre alla soddisfazione, che può assumere varie forme, tra cui la pubblicazione della sentenza o un atto di correzione. Nei casi di delictum contra sextum cum minore, la riparazione del danno avviene generalmente mediante risarcimento pecuniario e soddisfazione, che può includere atti riparatori specifici.

Il contenuto del risarcimento deve essere determinato in base al rapporto tra il delitto e il danno subito. In particolare, negli abusi su minori, il danno è intrinseco alla consumazione del delitto e si estende agli aspetti psichici e morali della vittima. Il reo, pertanto, non è tenuto solo a riparare l’ordine giuridico violato, ma anche a risarcire i danni subiti dal danneggiato, indipendentemente dalla presenza di eventuali circostanze attenuanti. In sintesi, l’obbligo risarcitorio viene meno unicamente nel caso in cui, a seguito del processo, risulti accertato che l’imputato non ha commesso il delitto contestato.

Il risarcimento dei danni nel processo penale canonico (cann. 1718, §4; 1729-1731)

Nel caso in cui un delitto cagioni un danno, la richiesta di riparazione può essere avanzata nel corso del processo penale, tuttavia, l’attuale normativa distingue chiaramente tra l’azione penale, finalizzata all’irrogazione o alla dichiarazione della pena per il delitto commesso, e l’azione contenziosa di natura non penale, volta alla riparazione dei danni derivanti dal reato [1]. La richiesta di risarcimento potrebbe essere avanzata in momenti distinti: durante l’indagine previa (can. 1718, §4), nell’ambito di un’azione contenziosa (can. 1729, §1) o dopo la pronuncia della sentenza definitiva del giudizio penale (can. 1730).

Qualora l’indagine previa fornisca elementi sufficienti a dimostrare la commissione di un delitto, occorre accertare se esso abbia arrecato un danno a una persona fisica o giuridica. In caso affermativo, il reo è tenuto non solo a riparare l’ordine giuridico leso, ma anche a risarcire il danno arrecato. Il can. 1718, §4, prevede che l’Ordinario (o l’investigatore) possa risolvere la questione del risarcimento già in fase di indagine previa, prima della determinazione della modalità processuale giudiziale o amministrativa, se ciò permette di evitare procedimenti inutili e previo consenso di entrambe le parti. In tal senso, potrebbero essere anche le parti coinvolte a proporre all’Ordinario un accordo, a patto che non vi sia un’elevata conflittualità, per questo motivo tale ipotesi è generalmente esclusa nei casi di abusi su minore.

Tuttavia, anche se il codice parla espressamente di parti, occorre fare una precisazione terminologica, infatti, tecnicamente in questa fase preprocessuale non può attribuirsi al ancora al minore-vittima la qualità di parte processuale vera e propria, poiché il concetto di parte implica necessariamente l’inizio del processus. Nel corso del processo, il minore presunta vittima di abusi può assumere due ruoli: semplice soggetto processuale o parte nel procedimento. Nel primo caso, egli assume il ruolo di testimone in merito ai fatti oggetto del processo. Data la natura del delictum contra sextum cum minore, spesso la presunta vittima è l’unico testimone del reato, configurandosi una dinamica processuale complessa tra l’accusatore e l’accusato, il quale nega le imputazioni a suo carico [2].

L’azione per la riparazione dei danni (cann. 1729-1731)

La parte lesa ha una duplice possibilità adire direttamente il tribunale, proponendo in via contenziosa una propria azione (c.d. azione principale), oppure intervenire, ex can. 1596, come terzo in causa nel processo penale iniziato ad opera del promotore di giustizia a carico dell’imputato [3].

Ai sensi del can. 1729, §1, la parte lesa può promuovere, nel corso del giudizio penale, un’azione contenziosa per ottenere la riparazione dei danni subiti a causa del delitto. In tal caso, la presunta vittima assume il ruolo di parte processuale e non solo è legittimata a richiedere una decisione favorevole alla propria istanza, ma diviene altresì titolare dello ius probandi, ossia del diritto di presentare richieste istruttorie a supporto della propria pretesa. Di conseguenza, il giudizio penale non si limiterà soltanto all’accertamento della responsabilità dell’imputato, ma si estenderà anche alla valutazione della domanda risarcitoria.

Il can. 1596 prevede, inoltre, che chiunque abbia interesse possa essere ammesso a intervenire nel processo, sia per tutelare un proprio diritto, sia in via accessoria per sostenere una delle parti contendenti. Tuttavia, qualora la parte lesa scelga di intervenire nel processo penale come terzo, dovrà presentare al giudice, prima della conclusio in causa e a pena di decadenza, un libello nel quale evidenzi il proprio diritto a intervenire (ex can. 1729, §2). Il rispetto dei termini processuali è essenziale: se la parte lesa non agisce per il risarcimento del danno in primo grado, le sarà preclusa la possibilità di proporre tale azione una volta che la sentenza sia divenuta res iudicata.

La questione del risarcimento può anche essere trattata successivamente alla pronuncia della sentenza definitiva nel giudizio penale. Il can. 1730, §1, prevede infatti che il giudice di primo grado possa differire il giudizio sui danni sino alla pronuncia della sentenza penale definitiva, qualora ritenga che il simultaneo esame delle due questioni possa comportare un ritardo significativo nella definizione del giudizio penale. In ogni caso, il giudice sarà tenuto a statuire in merito ai danni dopo aver emesso la sentenza penale, anche laddove il processo penale sia ancora pendente a seguito di impugnazione o l’imputato sia stato assolto per motivi che non escludano l’obbligo risarcitorio (ex can. 1730, §2). Pertanto, qualora sussistano i presupposti giuridici, l’imputato potrà essere comunque obbligato a riparare i danni subiti dalla parte lesa.

Il Vulnus

Ci si accorge, tuttavia, che la facoltà della vittima di avanzare un’azione contenziosa risarcitoria è prevista soltanto se viene instaurato un processo penale giudiziale. Ne consegue che la possibilità di avanzare una richiesta risarcitoria non sarebbe attuabile nell’ambito del processo extragiudiziale ex can. 1720, con un evidente pregiudizio per la tutela della presunta vittima.

La mancanza di tale previsione genera un tangibile squilibrio nei diritti delle vittime. Di conseguenza, si raccomanda agli Ordinari di valutare con particolare prudenza, dopo la fase della investigatio praevia, la scelta tra il processo giudiziale e quello amministrativo, poiché in quest’ultimo caso la via risarcitoria sarebbe preclusa alla vittima. L’attuale formulazione del can. 1720, infatti, contempla esclusivamente i diritti dell’imputato, garantendogli la convocazione, l’informazione sulle accuse e sulle prove, nonché il diritto di difesa, senza prevedere alcuna tutela specifica per la parte lesa.

In questi casi, per supplire al vulnus normativo il Dicastero per la Dottrina della Fede, al momento del conferimento all’Ordinario competente del mandato a svolgere un processo penale extra iudicium, ha talvolta sollecitato l’Ordinario a chiedere alla presunta vittima se intendesse presentare una domanda risarcitoria tramite un Patrono, concedendole un termine per presentarla. In tal modo, il Dicastero ha aperto una sorta di “finestra processuale”, non prevista esplicitamente dal dettato codiciale, per consentire alla pars laesa di avanzare la propria richiesta risarcitoria anche nell’ambito di un processo extragiudiziale [4]. Un’ulteriore proposta per colmare questa lacuna è quella di attribuire all’Ordinario – o al Dicastero per la Dottrina della Fede nei casi a esso riservati – la facoltà di richiedere al delegato che conduce il procedimento penale amministrativo di pronunciarsi sulla questione del risarcimento del danno secondo i criteri del diritto civile [5].

Si auspica, in primo luogo, che venga introdotta formalmente una previsione esplicita nel can. 1720, analoga a quella prevista per il processo giudiziale, al fine di garantire alla vittima un equo trattamento anche nel contesto del processo extragiudiziale. Ciò consentirebbe di evitare disparità di tutela tra le vittime e il rischio di un possibile disincentivo alla presentazione delle denunce. In secondo luogo, si auspica un intervento del Dicastero per la Dottrina della Fede volto a formalizzare le attuali prassi, stabilendo regole chiare e uniformi che permettano alla vittima di presentare una richiesta risarcitoria anche nell’ambito del procedimento amministrativo.

Note

[1] F. B. Pighin, Diritto penale canonico, Marcianum Press, Venezia, 2008, p. 577.

[2] C. Papale, Il processo penale canonico nella tutela del minore e della persona vulnerabile, in AA.VV, La tutela del minore e della persona vulnerabile, LEV, Città del Vaticano, p. 58.

[3] Così L. Chiappetta, Il Codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale, III, a cura di F. Catozzella – A. Catta – C. Izzi – L. Sabbarese, EDB, Bologna, 2011, p. 287.

[4] C. Papale, Il processo penale canonico nella tutela del minore e della persona vulnerabile, p. 61.

[5] C. J. Scicluna, Right of victims, in Periodica 109, 2020, p. 501.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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