Francisco De Goya, Confessione in carcere
Segretezza e Sacra Scrittura
Nel sentire spirituale e biblico il segreto rimanda a quella intimità che lega il Tu relazionale di Dio con il tu relazionale dell’uomo a sua immagine e somiglianza (cfr. Gen 1, 26–28 e Sal 8), quale luogo santo di questa comunicazione d’amore e di amicizia, dove il Padre ed il Figlio nella forza comunionale dello Spirito Santo, possono abitare e stare: “Se uno mi ama osserverà la mia parola ed il Padre ed io verremo e prenderemo dimora presso di lui” (Gv 14, 23). In questa luce diviene chiaro l’invito di Gesù nel “discorso della Montagna” del Vangelo di Matteo ad accogliere e fare propria da parte del credente la logica operativa del segreto.
Da un punto di vista teologico si ritrovano le stesse ragioni relative all’inviolabilità del sigillo sacramentale: la prima appartiene al diritto naturale in modo che risulta chiaro come il penitente, che confessa i suoi peccati e le sue colpe, sancisce e stipula una sorta di accordo-contratto nel quale è garantito che la sua confessione rimarrà nel segreto; la seconda rientra e permane nella sfera del diritto divino positivo, che è depositato nella stessa costituzione del sacramento della Penitenza.
Nota della Penitenzieria
In particolare, questa seconda ragione, è espressa in maniera chiara nella Nota della Penitenzieria Apostolica sull’importanza del foro interno e l’inviolabilità del sigillo sacramentale, del 29. 06. 2019: «L’inviolabile segretezza della Confessione proviene direttamente dal diritto divino rivelato e affonda le radici nella natura stessa del sacramento, al punto da non ammettere eccezione alcuna nell’ambito ecclesiale, né, tantomeno, in quello civile. Nella celebrazione del sacramento della Riconciliazione è come racchiusa, infatti, l’essenza stessa del cristianesimo e della Chiesa: il Figlio di Dio si è fatto uomo per salvarci e ha deciso di coinvolgere, quale “strumento necessario” in quest’opera di salvezza, la Chiesa e, in essa, quelli che Egli ha scelto, chiamato e costituito quali suoi ministri». Queste premesse di carattere teologico portano ora a comprendere, in maniera, più consapevole la portata canonica del segreto che viene statuita nel can. 983 § 2 CIC 1983:
Originale | Traduzione |
§ 2 Obligatione secretum servandi tenentur quoque interpres, si detur, necnon omnes alii ad quos ex confessione notitia peccatorum quoquo modo pervenerit. | § 2 All’obbligo di osservare il segreto sono tenuti anche l’interprete, se c’è, e tutti gli altri ai quali in qualunque modo sia giunta notizia dei peccati dalla confessione. |
Sigillo e Segreto
La materia del segreto è identica a quella del sigillo, come abbiamo detto QUI; cambia solo il soggetto dell’obbligo: coloro che in qualsiasi modo sono venuti a conoscenza dei peccati della confessione, compreso l’interprete, non sono tenuti al sigillo che è proprio ed esclusivo del confessore, ma al segreto, che non può essere mai, per nessuna ragione, rivelato. Chi viola commette un delitto punito con pena indeterminata obbligatoria; non è esclusa però la stessa scomunica (cfr. cann. 1386 § 2[1] e 1349[2])[3].
Tuttavia per comprendere la portata di questo delitto è bene leggere l’Allocuzione alla Penitenzieria e ai penitenzieri delle Basiliche romane di Giovanni Paolo II il quale diceva: «Direttamente questa totale riservatezza è a beneficio del penitente. Di conseguenza, non sussiste per lui né peccato né pena canonica, se spontaneamente e senza provocare danni a terzi rivela fuori confessione quanto ha accusato. Ma è evidente che, almeno per un patto implicito nelle cose, per un dovere di equità, e, vorrei dire, per un senso di nobiltà verso il Sacerdote confessore, egli deve a sua volta rispettare il silenzio su ciò che il confessore, confidando nella sua discrezione, gli manifesta all’interno della confessione sacramentale.
Gli interventi della Dottrina della Fede
A questo riguardo, è mio dovere richiamare e confermare quanto, mediante Decreto della Congregazione per la Dottrina della Fede, è stato esposto per reprimere ed impedire l’oltraggio alla sacralità della confessione, perpetrato mediante i mezzi di comunicazione sociale. Debbo inoltre deplorare alcuni disdicevoli e dannosi episodi di indiscrezione che, in questa materia, si sono verificati di recente con sconcerto e pena dei fedeli: “Ne transeant in exemplum!”»[4]. Inoltre la CDF il 23 settembre 1988, pubblicò un Decreto con il quale statuisce che incorre automaticamente nella scomunica: «[…] chiunque registra con qualsiasi strumento tecnico ciò che nella confessione sacramentale, vera o simulata, fatta da sé o da un altro, viene detto dal confessore o dal penitente, oppure lo divulga con strumenti della comunicazione sociale»[5].
Delitti riservati
Infine, il 7 dicembre 2021, sono state pubblicate le nuove Norme sui delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede (oggi Dicastero) approvate da Papa Francesco con un Rescriptum ex audientia SS.mi dell’8 ottobre precedente[6]. Il testo disciplina la normativa sostanziale e processuale relativa ai delitti ritenuti più gravi nell’ordinamento canonico commessi contro la fede, i costumi e nella celebrazione dei sacramenti[7]. Questo vuole essere di monito per attenzionare e non trascurare il dovere della segretezza nell’ambito strettamente confessionale e non nel rispetto dell’intimità dei fedeli.
Note
[1] Can. 1386 § 2: «L’interprete e le altre persone di cui nel can. 983 § 2, che violano il segreto, siano puniti con giusta pena, non esclusa la scomunica».
[2] Can. 1349: «Se la pena è indeterminata e la legge non disponga altrimenti, il giudice nel determinare le pene scelga quelle che siano proporzionate allo scandalo arrecato e alla gravità del danno; tuttavia non infligga pene troppo gravi, a meno che non lo richieda assolutamente la gravità del caso; non può tuttavia infliggere pene perpetue».
[3] Cfr. G. Ghirlanda – V. De Paolis – C. Corral Salvador (a cura di), Nuovo dizionario di diritto canonico, San Paolo, Cinisello Balsamo 1993, p. 1135.
[4] Giovanni Paolo II, Allocutio ad Em. P.D. Cardinalem Paenitentiarium necnon minores Urbis basilicarum paenitentiarios coram admissos (12-03-94): AAS 87 (1995), pp. 77-78.
[5] Congregatio Pro Doctrina Fidei, Decretum de sacramenti Paenitentiae dignitate tuenda (23-09-88): AAS 80 (1988), p. 1367.
[6] Congregatio Pro Doctrina Fidei, Rescriptum ex audientia SS.mi con cui si approva le Norme sui delitti riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, 8 ottobre 2021, in L’Osservatore Romano, 7 dicembre 2021, p. 6.
[7] Per un approfondimento complessivo sull’argomento cfr., ex multis, C. Gentile, I delicta graviora contra mores. Normativa sostanziale e procedurale, Aracne, Roma, 2018.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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