La potestà del Romano Pontefice: natura e limiti

A seguito della nomina del nuovo Prefetto del Dicastero per la Vita Consacrata e le Società di Vita apostolica, nonché di talune altre decisioni assunte dal Pontefice nel governo della Chiesa universale, hanno acceso una discussione che ha come tematica la potestà del Romano Pontefice stesso, la sua natura e i suoi limiti. Nella riflessione che segue cercheremo di chiarire appunto queste fattispecie.

La potestà piena diretta ed immediata

Il can. 331 CIC descrive chiaramente l’origine della potestà del Romano Pontefice, ovvero specifica che in lui permane l’ufficio affidato direttamente dal Divino Fondatore all’Apostolo Pietro di presiedere il Collegio dei Vescovi, di pascere come Pastore supremo – in terra – la Chiesa universale, in quanto Vicario di Cristo. In forza di tale ufficio ha una potestà suprema, piena, diretta ed immediata che deve esercitare liberamente. La definizione (dogmatica) del primato di giurisdizione del Romano Pontefice, caratterizzato da una potestà piena e suprema, universale, veramente episcopale, ordinaria ed immediata, su tutti e ognuno dei fedeli e su tutti e ognuno dei pastori, comporta la subordinazione gerarchica della potestà ordinaria ed immediata che i Vescovi esercitano come veri successori degli Apostoli nelle loro Chiese. Questa subordinazione gerarchica, che è strutturale per diritto divino nell’episcopato, implica una dipendenza del Vescovo rispetto alla potestà di giurisdizione ordinaria ed immediata del Romano Pontefice [1].

La dipendenza giuridica dei Vescovi rispetto al Romano Pontefice non significa che la potestà ordinaria nelle loro Chiese particolari venga annullata, poiché essi sono veri pastores nelle Chiese loro assegnate [2]; al contrario, significa che questa potestà viene rinvigorita e difesa – roboratur atque vindicatur – dalla potestà ordinaria del Romano Pontefice [3] sia nei confronti delle autorità civili sia nei confronti dei loro propri fedeli, essendo principio e fondamento dell’unità dell’episcopato e dell’unità di fede e di comunione di tutta la Chiesa come un elemento interiore dell’ecclesialità della stessa Chiesa particolare, a causa della mutua interiorità che esiste fra la Chiesa universale e le Chiese particolari. Questa mutua interiorità trova un’altra espressione adeguata in quella esistente fra il Collegio episcopale inteso come soggetto unico ed indivisibile e ogni singolo Vescovo, per la priorità ontologica dell’appartenenza al Collegio nei confronti dell’attribuzione concreta di un ufficio ecclesiastico [4].

Vicario di Cristo

Nella Costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II la qualifica di Vicarius Christi viene ricondotta all’ufficio episcopale di ogni vescovo residenziale; così si legge nel n. 22 della stessa Lumen Gentium che il Romano Pontefice, in forza del suo ufficio, cioè di Vicario di Cristo e Pastore di tutta la Chiesa, ha su questa una potestà piena, suprema e universale, che può sempre esercitare liberamente. Ma si dice anche, al n. 27, che I vescovi reggono le Chiese particolari a loro affidate come vicari e legati di Cristo, col consiglio, la persuasione, l’esempio, ma anche con l’autorità e la sacra potestà [5].

In vero possiamo considerare il can. 331 CIC come una chiave di volta per comprendere pienamente la struttura costituzionale ecclesiastica: si precisa che il vescovo di Roma come successore di Pietro, primo degli Apostoli, ha una potestà fondata sul diritto divino e aggiunge che il nucleo originario del potere di Pietro nella Chiesa, trasmesso ai suoi successori, si è sviluppato nel corso della storia attraverso la crescita della Chiesa nella comprensione dei principi di diritto divino positivo, non necessariamente proposti come dogmi. Tesi questa inaccettabile per parte ortodossa, ma suscita anche perplessità da parte cattolica nel timore che s’introducano innovazioni contrarie alla dottrina tradizionale. In sostanza si può dire che ogni vescovo diocesano regge la sua chiesa particolare come vicario di Cristo con le potestà che il diritto gli conferisce; il vescovo di Roma ha i poteri superiori che il diritto gli attribuisce.

Non possiamo inoltre considerare che nella dicitura del titolo ritroviamo un riferimento alla vicarietà della potestà, ma naturalmente si tratta di una potestà vicaria particolare. Se il Papa di Roma nella chiesa universale, come ogni altro vescovo nella sua diocesi, è Vicario di Cristo, con le specifiche potestà d’ordine, di giurisdizione e di magistero, che il diritto gli attribuisce, questo concetto non si può riferire a quella potestà vicaria Christi che consente, a lui solo, di compiere atti che altrimenti alcun altro potrebbe compiere, come ad esempio la facoltà di poter sciogliere matrimoni rati e non consumati. L’esempio appena riportato fa comprendere come il Romano Pontefice, in virtù di una vicarietà del tutto singolare, attribuita in modo esclusivo al successore dell’Apostolo Pietro dallo stesso Divino Fondatore, goda di facoltà che sono negate ad ogni altra umana potestà [6].

Limiti esercitabili dalla Potestà petrina

In forza del primato succitato, la potestà di cui gode il Romano Pontefice, liberamente esercitabile ed esercitata, può porre dei limiti all’esercizio della potestà del Vescovo nella propria Chiesa particolare, senza tuttavia che queste facoltà limitative possano intaccare – in linea generale – la potestà che il Vescovo, in quanto successore degli Apostoli ha dovere e diritto di esercitare nella propria Diocesi. Prima di tutto, la dipendenza giuridica dei Vescovi fa sì che il Pontefice possa intervenire nell’ambito della potestà ordinaria che un Vescovo esercita sui suoi fedeli esercitando la potestà ordinaria ed immediata di cui gode sui suoi fedeli in quanto fedeli di tale diocesi o di tale circoscrizione ecclesiastica.

Questo intervento si aggiunge alla potestà ordinaria che il Romano Pontefice ha su tutti i fedeli in quanto tali, e che esercita abitualmente mediante la legislazione universale, gli atti amministrativi generali e mediante il diritto di ogni fedele di ricorrere alla Sede Apostolica in qualsiasi istanza del giudizio [7]. L’intervento del Vicario di Cristo, immettendosi nella potestà ordinaria che un Vescovo esercita sui fedeli in quanto appartenenti alla porzione di Popolo di Dio affidatagli, conosce un solo limite legale: il diritto divino, che comprende l’esistenza dell’episcopato e dei diritti che ne seguono, ma che non si possono interpretare come dei diritti derivanti da una potestà indipendente né piena né esclusiva nell’ambito della sua giurisdizione, giacché la potestà episcopale è una potestà organicamente subordinata, e dunque ultimatim regitur dall’Autorità suprema della Chiesa. Questo limite legale riguarda, parimenti, le decisioni, prese sia personalmente sia mediante i suoi organi vicari, sui fedeli in quanto fedeli, decisioni espresse tramite leggi universali, decreti generali e le cause, contenziose oppure penali [8].

In ragione del fatto che la cura esercitata dal Romano Pontefice sulla Chiesa è quella di Cristo Pastore, che sempre deve provvedere al suo gregge, per ragioni specifiche e utilità valutata, è nella facoltà della Suprema Autorità limitare in tutto o in parte la potestà di un Vescovo diocesano all’interno della diocesi ad esso assegnata. La potestà ordinaria del Vescovo può essere limitata fino al punto che essa non sia più effettiva all’interno di quella Chiesa particolare. In tali circostanze è dovere del Romano Pontefice provvedere a che non manchino mai ai fedeli i mezzi necessari che garantiscano la presenza di Cristo Pastore supremo. La potestà del Vicario di Cristo è esercitabile libere, super omnes Ecclesias particulares.

L’Utilitas

Lo abbiamo poc’anzi indicato, le decisioni del Romano Pontefice sono assunte valutandone l’utilità. La valutazione avviene nel discernimento pastorale dello stesso Vicario di Cristo. A tenore del can. 1404 CIC, infatti, non esiste alcuna umana potestà che possa sindacare o giudicare l’operato della Suprema Autorità della Chiesa; è la ragione per la quale sempre si incontrerà una insormontabile difficoltà se si tenta di formulare una qualsivoglia limitazione dell’Autorità del Romano Pontefice, sulla Chiesa universale o sulle Chiese particolari. Nel tentativo di porre dei limiti ci si infrange contro il diritto divino, argine garanzia e tutela incontrovertibile della potestà del Successore di Pietro.

Va sottolineato che l’utilitas è ben distinta dalla opportunità dalla convenienza o peggio dall’arbitrio. Potremmo dunque dire che primariamente l’utilità risponde alla definizione della necessitas, ma deve restare aperta ad altre funzioni proprie del primato di giurisdizione: la funzione di controllo dell’attività episcopale, la funzione di garanzia della legittimità degli atti propri della potestà episcopale, la funzione di coordinamento del l’azione pastorale, la funzione di direzione, la funzione di promozione dell’attività missionaria e perfino la funzione di persuasione, indirizzata ad ottenere un’auspicabile unanimitas dell’episcopato.

Conclusioni

Tornando alla questione di cui all’origine, non basta dire che la missione canonica affidata dal Romano Pontefice, pastore universale, è sufficiente per fondare il potere di giurisdizione di ogni autorità esercitata su sua delega. Il Supremo Legislatore affida una missione a seguito del discernimento di un carisma o di una competenza che giustifica la sua scelta; l’autorità delegata dalla missio canonica viene a configurare giuridicamente il servizio del soggetto coinvolto di cui è messo a frutto il carisma personale e non è indifferente che la persona coinvolta sia vescovo, prete, diacono o laico. Diversamente, si perpetuerebbe una mentalità giuridica che pone l’accento sulla sola delega di potere, senza tener conto della dimensione carismatica della Chiesa, cosa che andrebbe direttamente contro l’apertura a un autentico decentramento [9].

È fuori discussione dunque, come già precedentemente si è detto (QUI) ogni polemica sterile basata esclusivamente sulla lettera della legge. Quest’ultima infatti, per servire alla salvezza delle anime, dev’essere autenticamente interpretata ed incarnata. Delegare la potestà di giurisdizione sulla base di un retto discernimento del carisma personale non è il venir meno di un fondamento di Jus Divinum, ma al contrario esplicitare la natura comunionale e veramente trinitaria della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, Capo e Divino Fondatore che ha istituito, nel ministero petrino, la pienezza di ogni potestà. Certamente anche a lettera della legge andrà correttamente adeguata.

Note

[1] Cfr. H Val Pèrez, La potestà ordinaria del Romano Pontefice e dei vescovi sugli stessi fedeli: dal Concilio Vaticano II fino al CIC 1983, in Periodica, 95 (2006), 608-609.

[2] Cfr. Pastor aeternus, cap. EH, §3; e Lettera collettiva del l’episcopato tedesco del 1875.

[3] Cfr. can. 333 §1 CIC, seguendo a Pastor aeternus e a LG 27b.

[4] Cfr. Apostolos Suos, 12; Pastores Gregis, 8.

[5] Cfr. Benedetto PP. XIV, Breve: Romana Ecclesia, 5 ottobre 1752, § 1, in Bullarium Benedicti XIV, IV, Romae, 1758, 21.

[6] Cfr. per approfondire: V. Parlato, Il Romano Pontefice Vicarius Christi, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale.

[7] Cfr. can. 1417 CIC

[8] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Il primato del successore di Pietro nel mistero della Chiesa, n. 7, in Idem, Il primato del successore di Pietro. Atti del Simposio Teologico (Roma, dicembre 1996), Città del Vaticano 1998, 496.

[9] Una trattazione molto più estesa e dettagliata dell’importanza della lettura carismatica è data da: M. Ouellet, La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, in L’Osservatore Romano, CLXII n. 164, 20 luglio 2022.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (Summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui nel dicembre 2024 ha conseguito la Licenza con tesi in mariologia dal Titolo "Θεοτόκος. Factum ex muliere". Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano. Docente coordinatore Scientifico per l'area canonistica in "Forma Ecclesia", è membro dell'Arcisodalizio della Curia Romana.

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