Il prossimo 8 dicembre 2025 ricorrerà il decimo anno dall’entrata in vigore della riforma del processo di nullità matrimoniale voluta da Papa Francesco in forma di m.p. Mitis Iudex Dominus Iesus per la Chiesa latina (MIDI). Per meglio comprendere le ragioni e la ricezione della stessa nella Chiesa con le sue ricadute a livello non solo giuridico ma anche pastorale, è apparso opportuno rivolgere un’intervista al prof. Héctor Franceschi, Ordinario presso la Facoltà di Diritto Canonico della Pontificia Università della Santa Croce in Roma e Giudice presso il Tribunale Interdiocesano del Lazio, che dal suo particolare osservatorio ci offre una prospettiva concreta della riforma illustrandoci le novità, le prospettive e l’importante connubio tra diritto e pastorale. Ringraziamo il prof. Franceschi per la sua disponibilità.
Il lavoro dei tribunali ecclesiastici negli ultimi anni è stato senza dubbio segnato dal motu proprio MIDI. Si può dire che sia entrato nella vita ordinaria della Chiesa?
In questi dieci anni tanto è stato fatto, infatti, subito dopo la promulgazione di MIDI, in tanti tribunali di Italia e di tutto il mondo, a cominciare dal Tribunale Apostolico della Rota Romana, si sono susseguiti tanti corsi di aggiornamento per trasmettere le riforme introdotte nel processo matrimoniale canonico tramite anche giornate di studi e convegni. Tuttavia, se si volge lo sguardo a livello internazionale si riscontra che la velocità nell’applicazione della nuova normativa è stata diversa e ci sono ancora oggi tribunali locali che fanno fatica, non tanto ad applicare la riforma, perché non possono esserci dei dubbi sulla vigenza del nuovo diritto, ma proprio sull’applicazione della normativa secondo lo spirito della riforma, vale a dire, quello di rendere più celeri i processi e quello della vicinanza alle parti con uno spiccato senso pastorale – che non può che essere rispettoso della verità delle cose – nel modo di rapportarsi con le diverse parti nel processo.
Come ho affermato in molte altre occasioni, ritengo che la grande sfida per superare questa lentezza sia quella della formazione degli operatori dei tribunali ecclesiastici, perché se ci sono buoni e competenti giuristi si potrà meglio applicare e porre in essere il fine ultimo del processo canonico, che è la conoscenza della verità su ogni singolo matrimonio che viene sottoposto al vaglio dei tribunali.
Nel magistero di Papa Francesco, così come nel testo del MIDI, si fa spesso riferimento al principio della prossimità delle strutture pastorali e giudiziali: come intenderlo questo principio in rapporto al processo di nullità e all’organizzazione dei tribunali ecclesiastici?
Dopo la pubblicazione di MIDI si è aperta una discussione che ha visto da un lato i sostenitori che parlavano di abolire i Tribunali Regionali e dall’altro chi riteneva di mantenerli così come erano stati pensati, visto che funzionavano molto bene. Per l’Italia, ad es., è stata creata una commissione pontificia per valutare la questione, che ha fatto visita a tutti i tribunali regionali e/o diocesani italiani. Ma ad oggi, da parte del Pontefice non c’è stata ancora nessuna decisione o indicazione al riguardo. Comunque, quello che è rimasto chiaro nella riforma e nella sua applicazione è che ogni Vescovo diocesano è totalmente libero, se lo ritiene opportuno ed ha operatori della giustizia preparati e congrui, di distaccarsi dal tribunale e creare il proprio tribunale diocesano.
Ma il MIDI non esclude la possibilità di accedere ad un tribunale interdiocesano o ad un tribunale viciniore (cfr. can. 1673 § 2 e art. 8 RP MIDI). Tuttavia, ritengo giusta e valida la decisione di alcuni vescovi o conferenze episcopali di mantenere i tribunali regionali o interdiocesani, poiché lungo i decenni hanno dimostrato di essere delle strutture giuridicamente e pastoralmente efficaci e ben organizzate e ritengo non abbia senso eliminarli quando funzionano, tenuto anche conto della mancanza di personale sufficiente in non poche diocesi e arcidiocesi per creare il proprio tribunale.
Nelle Regole Procedurali (RP), annesse al m.p. MIDI, negli artt. 2-5 si parla dell’indagine pregiudiziale o pastorale e della redazione di un Vademecum per un adeguato svolgimento del servizio di consulenza. Cosa pensa di questo nuovo istituto canonico previsto dal Legislatore, che richiama anche in AL 244?
Credo che questo nuovo istituto canonico, quale servizio d’informazione, di consiglio e di mediazione, sia quanto mai importante e necessario per favorire una pastorale di prossimità e dell’incontro in cui laici cristiani e pastori si fanno sempre più vicini a quei fedeli che vivono situazioni di fragilità matrimoniali, di crisi o che sentendosi smarriti pensano che la loro situazione sia un vicolo cieco, e così intraprendere insieme a loro un cammino il cui destino è l’amicizia con Dio, la grazia che Dio dona abbondantemente non solo mediante i sacramenti ma per altre infinite strade. L’accompagnamento pastorale di cui parlano gli articoli dal 2 al 5 delle RP non è altro che la concretizzazione di questa urgenza. Agire in modo tale che i fedeli che sono alla ricerca della riconciliazione, dell’amore di Dio e verso Dio, non si sentano fuori dalla Chiesa e, tanto meno, scomunicati, come non pochi pensano erroneamente di essere.
Questo cammino esige un accompagnamento che è insieme giuridico e pastorale, che in alcuni casi si concretizzerà nell’avvio di un processo di nullità quando ci siano elementi che portino alla possibilità che un’unione precedente sia stata nulla. In questo passaggio, è fondamentale non creare false speranze e aiutare le persone a riscoprire l’importanza e la centralità di conoscere la verità, perché solo in essa vi sarà vera libertà per agire in modo conforme alla coscienza. Tanto si potrebbe dire su questi cammini di conversione, ma dato che non me lo permettono i limiti di un’intervista, vorrei solo raccomandare la collaudata esperienza del Servizio diocesano per l’accoglienza dell’Arcidiocesi di Trani-Barletta-Bisceglie, che ha pubblicato un Regolamento (un unicum dalla pubblicazione del MIDI), e la lettura di un piccolo grande libro appena pubblicato a cura di don Emanuele Tupputi, sacerdote della medesima Arcidiocesi, intitolato Accompagnamento e discernimento pastorale e giuridico. Linee guida circa le situazioni di fragilità matrimoniale, edito da Rotas nel 2024, che va a completare quello del Vademecum per la consulenza nella fragilità matrimoniale del 2019 redatto in conformità a quanto indicato dell’art. 3 RP.
Nel testo delle Linee guida, frutto di anni di lavoro sul campo nell’ambito dell’accompagnamento delle coppie, si offrono dei suggerimenti molto concreti, si informa adeguatamente su particolari molto precisi delle cause di nullità in Italia, si chiariscono degli elementi fondamentali che devono guidare ed illuminare questo accompagnamento. Senz’altro, iniziative come questa aiutano a che quel desiderio manifestato dal Pontefice di creare strutture qualificate non resti un mero desiderata ma diventi una realtà in ogni diocesi e costituisca uno strumento validissimo per avvicinare i fedeli alla Chiesa e ai suoi tribunali, che spesso vengono visti come delle realtà estranee e irraggiungibili, se non a delle persone con mezzi economici o influenze, cosa molto lontana dalla realtà e non veritiera in quanto tutti i fedeli possono accedervi.
Tra le novità del MIDI vi è il can. 1683 in cui si parla del processo più breve, come è stata recepita tale novità dai vescovi in Italia?
Devo confessare che, almeno per quelle ricerche che ho fatto e i colloqui tenuti con molti Vicari giudiziali, la ricezione di questa grande novità è stata molto diversa tra i vescovi, questo tanto per difetto come per eccesso. Mi spiego: alcuni Vescovi si sono mostrati subito favorevoli al processo più breve ritenendo che era molto più pastorale dare una rapida risposta, spesso affermativa alla nullità, soprattutto alle situazioni di divorziati e risposati civilmente, come se questa fosse la soluzione dei loro problemi, non di rado a spese della verità, del senso e delle finalità dei processi, perché il processus brevior, come ha detto chiaramente Papa Francesco, è anch’esso un processo giudiziale (sebbene straordinario) di accertamento della verità, non un mero tramite amministrativo di verifica del fallimento definitivo del rapporto.
Per difetto, invece, dopo una prima fase in cui hanno tentato di fare dei processi più brevi, tantissimi Vescovi poi hanno praticamente rinunciato ai processi più brevi ritenendosi non sufficientemente competenti o mancanti di tempo per aggiungere questo peso ai loro impegni episcopali già molto impegnativi. In questo senso, io incoraggerei, come si fa in molti dei tribunali italiani e non solo, un adeguato coordinamento tra il tribunale e il Vescovo tanto per la decisione, se si può seguire questo processo, quanto per la fase istruttoria che aiuterà il Vescovo al raggiungimento o meno della certezza morale circa la nullità. Tuttavia, a dieci anni dalla pubblicazione del MIDI, nella generalità dei casi dopo una prima ricezione alle volte un po’ confusa, le acque sono tornate serene, ed è ormai consolidato che i Vicari Giudiziali dei singoli tribunali ecclesiastici competenti verifichino se ci siano nel singolo caso le condizioni per seguire il processus brevior, il quale richiede che entrambe le parti siano d’accordo, non solo sul ricorso a questo processo, ma anche sui motivi della nullità; così come che la nullità di cui si tratta sia manifestamente evidente.
Come ben sappiamo, la decisione non può che essere o affermativa o di rinvio all’esame ordinario. Questo fa sì che la decisione del Vicario giudiziale debba essere una decisione prudenziale, perché un cattivo uso del processus brevior, anziché accorciare i tempi, implicherebbe un ritardo nella durata del processo, perché si dovrebbe quasi ricominciare da capo dinanzi al rinvio all’esame ordinario e questo tradirebbe una delle finalità della riforma, che è quella di accorciare i tempi, spesso troppo lunghi, per arrivare ad una sentenza giusta.
Alla luce della sua esperienza quale operatore della giustizia e studioso, qual è la sua percezione del Vangelo della famiglia oggi nella chiesa? Come collocare il ruolo del canonista, del parroco e della pastorale familiare di fronte alle situazioni di crisi coniugale o di fallimento matrimoniale?
Il Vangelo della famiglia è, a mio parere, l’unica risposta consona con la dignità della persona umana che è e non può che essere maschio e femmina. Si tratta di riscoprire quella che San Giovanni Paolo II chiamò la verità del principio, che è la distinzione maschio/femmina, che non risponde ad una cultura ormai superata e tanto meno a una discriminazione. Come ben sappiamo, la vera giustizia non è dare a tutti lo stesso. Nel caso che ci riguarda, il matrimonio. È totalmente vero che esiste un diritto fondamentale al matrimonio, ma ciò non significa che questo diritto fondamentale sia il diritto di tutti ad una cerimonia che la si chiami matrimonio, perché per sua stessa natura e per la dignità della persona umana, solo l’unione tra un uomo e una donna, fedele, esclusiva e indissolubile, e aperta alla potenziale paternità e maternità mediante il dono totale della propria persona nella sua mascolinità o femminilità, è matrimonio, o non c’è legge umana che lo possa cambiare, checché ne dicano le leggi di quasi tutti i paesi occidentali.
E questo è il Vangelo, la buona nuova, della famiglia, che va indirizzata non ai soli cattolici, né tantomeno ad una nicchia di cattolici di fede provata, ma a tutta l’umanità, ad ogni uomo e ogni donna che hanno un’inclinazione iscritta nel proprio essere di creare una famiglia, che è la vocazione della stragrande maggioranza dell’umanità, usando parole di Giovanni Paolo II. Credo che dobbiamo avere il coraggio della verità, sempre vissuto con la più squisita carità, che significa amore incondizionato per ogni singola persona, amata da Cristo per sé stessa e chiamata alla santità. In questo senso, mi pare che i pastori dovrebbero mettere molto più al centro della pastorale ordinaria il matrimonio e la famiglia. Se ne parla troppo poco, mi pare, nelle omelie domenicali, nelle catechesi, nei corsi di teologia delle parrocchie.
Certamente non si può generalizzare, perché pian piano, ma con una crescita costante, si stanno avviando più iniziative per le famiglie a livello locale e internazionale con il patrocinio del Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, in modo che chi lavora in ogni angolo del mondo in favore della famiglia non si senta isolato, quasi come uno dei pochi “pazzi” che continua a difendere la famiglia. A questo deve unirsi un maggiore investimento per la formazione permanente dei fedeli, degli operatori pastorali e degli stessi pastori.
È possibile conciliare l’applicazione rigorosa della legge con la misericordia e la carità che esige l’azione pastorale?
La domanda, a mio parere, nasconde un tranello: contrapporre la legge come qualcosa di rigoroso con la misericordia e la carità, mentre sappiamo che non c’è carità senza giustizia e che non c’è vera giustizia se essa non è temperata dalla misericordia. A tal riguardo spesso e in modo diverso gli ultimi pontefici hanno chiarito che è nella verità che giustizia e carità si incontrano. Ed è per questo che l’operato dei tribunali verso i fedeli che sottopongono ad una verifica la propria vicenda matrimoniale è non solo giuridico ma anche pastorale.
In tal senso si può cogliere che la finalità di un operatore della giustizia in un processo di nullità matrimoniale è il raggiungimento della verità sulla validità o sulla nullità di un’unione matrimoniale, come passo necessario per discernere quale sia il modo giusto e buono di agire; e la sua finalità pastorale è la salus animarum, la quale deve essere la guida degli operatori di giustizia, dagli avvocati ai giudici: dichiarare la verità, perché solo essa ci renderà liberi. Non vi è dubbio che, dinanzi ad una sentenza negativa alla nullità, il colpo può essere molto duro per coloro che si sono riavvicinati alla fede e sono alla ricerca del cammino per reinserirsi nella comunità cristiana.
Questo non significa escludere queste persone dalla misericordia, ma accompagnarle mediante un percorso pastorale particolare nel comprendere la loro situazione e trovare così le strade possibili per farli sentire parte integrante della comunità cristiana. Pertanto, misericordia e giustizia non si contrappongono ma si richiamano a vicenda nell’azione pastorale e giuridica. Inoltre, appare opportuno ribadire che «in nome dell’amore non si può tralasciare ciò che è dovere di giustizia… la misericordia non cancella la giustizia, al contrario spinge a viverla più delicatamente come frutto della compassione dinanzi alle sofferenze del prossimo» (Francesco, Discorso ai partecipanti del corso giuridico-pastorale promosso dalla Rota Romana, 23 novembre 2024).
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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