Paolo De Matteis (attribuito), Cristo consegna le chiavi a San Pietro, 1700 circa
Lo scorso 6 gennaio il Romano Pontefice ha nominato il nuovo Prefetto del Dicastero per gli Istituti di Vita consacrata e le Società di vita apostolica; una suora. Dunque, un fedele battezzato non ordinato che presiede un Dicastero della Curia Romana e che gode di potestà di giurisdizione. La nomina è nel pieno rispetto della Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium, a riforma della Curia Romana.
Status Quaestionis
In parte avevamo già trattato la questione della potestà, quando il Pontefice aveva nominato Abate ed Ordinario un monaco laico, tuttavia, a seguito dell’ordinazione la problematica era stata risolta in radice (QUI). Tralasciando l’impossibilità di poter considerare l’opportunità dell’ordinazione, in quanto il nuovo prefetto è una donna, ci soffermeremo squisitamente sul dibattito circa la complementarietà (o meno) tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Rivalorizzando la tradizione teologica antica, orientale ed occidentale, il Vaticano II ha messo l’accento sull’unità della «sacra potestas» [1], pur senza voler prendere posizione sul valore ecclesiologico della distinzione tra il potere di ordine e quello di giurisdizione introdotta dalla canonistica prima del XII secolo. Sussistono, infatti, elementi teologici che orientano verso una concezione unitaria della potestas sacra, ovvero: il principio della sacramentalità dell’episcopato [2]; di cui al can. 129 §1 C.J.C.
La distinzione tra ordine e giurisdizione, dunque, è il risultato di una riflessione, durata quasi un millennio, tesa a risolvere due problemi fondamentali: quello della validità degli atti sacramentali posti dai ministri, che avessero rotto con la comunione ecclesiale; quello della validità delle ordinazioni assolute, prevalse nella prassi della Chiesa latina malgrado la proibizione del Concilio di Calcedonia [3]. La questione non riguardò tanto la possibilità che un vescovo scomunicato potesse essere posto a capo di una porzione del Popolo di Dio, questo era fuori discussione, quanto piuttosto che potesse continuare ad amministrare i sacramenti [4], fino a quando Graziano e i decretisti non riuscirono progressivamente a distinguere nell’attività dei ministri due poteri: un potere di ordine e un potere di giurisdizione, diversi sia per la modalità di trasmissione che per la loro stabilità e funzione.
E tutto sommato la Costituzione Praedicate Evangelium procede proprio su questo binario della distinzione: assume implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del potere di giurisdizione, ma di attribuirlo esclusivamente alla missio canonica data dal Romano Pontefice, Supremo Legislatore e Capo della Chiesa Universale, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana e nella Chiesa, sia esso ordinato o meno [5].
La problematica
La promulgazione della Costituzione Apostolica ha confermato, dal punto di vista giuridico, le innovazioni già introdotte in precedenza da disposizioni pontificie nell’ottica della conversione missionaria della Chiesa. Essa è funzionale al grande progetto di riforma della Curia romana in corso da nove anni. La riserva di fondo che affiora, riguarda la decisione di integrare dei laici nel governo della Curia e ciò reca con sé una domanda: se il potere di governo sia necessariamente o meno collegato al sacramento dell’Ordine. La Costituzione assumerebbe implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del potere di giurisdizione, ma di attribuirlo esclusivamente alla missio canonica attribuita dal Papa, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana, sia esso un cardinale, un vescovo, un diacono o un laico.
Il nocciolo della problematica sta nel comprendere la derivazione della potestà di giurisdizione: si tratta d’una volontà divina immediata, inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa mediata, conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo?
Una osservazione preliminare
La res di cui si tratta è il rapporto tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo. La natura della Chiesa è sacramentale, questa è l’acquisizione fondamentale del Concilio Vaticano II. Prima di essere una società giuridica immersa nelle culture di questo mondo, essa è un mistero di comunione, una comunità abitata e unificata dalla comunione delle Persone divine [6]. I suoi rapporti giuridici interni sono radicati nella comunione trinitaria, che si dà in partecipazione in Cristo con la Parola e con i Sacramenti, in particolare il Battesimo, l’Ordine e l’Eucaristia.
La gerarchia e la Comunione
Secondo la sua natura sacramentale, la comunione ecclesiale comporta una dimensione gerarchica che corrisponde al mistero trinitario così come ci viene rivelato. Il Padre è la sorgente delle processioni trinitarie, l’una generatrice, l’altra coordinatrice della Communio, entrambe convergenti verso il Padre, l’Arché della Communio trinitaria che si rispecchia nella communio ecclesiale. La dimensione gerarchica della comunione ecclesiale riflette di conseguenza la partecipazione all’identità del Padre e del Figlio che lo Spirito Santo apre ai membri della comunità mediante la fede e il battesimo, così come mediante il sacramento dell’Ordine e dell’Eucaristia.
Quanto detto non implica l’inscindibilità, tuttavia, tra l’ordine e la giurisdizione, ovvero che la potestà di governo possa derivare assolutamente ed esclusivamente dall’Ordine sacro e da null’altra fonte. L’origine del potere di giurisdizione trova derivazione anche dalla “pastoralità” universale conferita dallo stesso Divino Fondatore a Pietro e ai suoi successori, nella pienezza e nella massima espressione dei poteri di ordine e giurisdizione, nonché con la facoltà di poter applicarne gli effetti a tutto campo in ambito sacramentale come in ambiti giuridici o amministrativo. Il Successore di Pietro può anche delegare e così rendere partecipi i membri del popolo di Dio al suo potere di giurisdizione.
La ministerialità del servizio e la ministerialità ordinata
Ci troviamo dunque, dinanzi alla dimensione carismatica della Chiesa, riconosciuta ampiamente co-essenziale alla gerarchia, seppure ancora soggetta a giusto discernimento [7]. La ministerialità del servizio espressa dalla potestà di giurisdizione, ovvero dal potere di governo nella Chiesa, è co-essenziale e collegata alla ministerialità ordinata della gerarchia, pur se non esercitata da un fedele insignito dell’Ordine sacro. Questo è possibile in virtù della delega elargita dal Supremo Legislatore che fa partecipe quel fedele della potestà di giurisdizione del delegante, in virtù della supremazia di potestas di cui il Successore di Pietro gode, per disposizione divina.
Il carisma petrino, punto di incontro
È dunque nella dimensione carismatica che anche il Diritto può trovare la soluzione al problema. L’autorità di Dio Padre è rappresentata nella Chiesa da Cristo e da esso comunicata tramite il Sacramento dell’Ordine. Orbene, la potestà di ordine incarna – nella Chiesa – l’autorità paterna di Cristo stesso, Divino Fondatore, che genera alla vita sacramentale. Il potere di giurisdizione incarna l’autorità dello Spirito Santo, impegnata a promuovere l’ordine dell’amore nella Chiesa, che suppone la concreta realizzazione del comandamento dell’amore ma anche il diritto, la disciplina, la decisione e la correzione, un’Autorità che agisce con libertà ma secondo l’ordine stabilito dalla Parola incarnata, e che rimanda di per sé al Padre del Figlio unigenito che è la Sorgente di tutto il Progetto divino e della sua condotta sino alla pienezza del Regno.
Generare la vita eterna nelle anime da un lato, e dall’altro accompagnarla, proteggerla e farla fruttificare, sono lo spiegamento delle due missioni divine del Verbo e dello Spirito, che sono al fondamento, duplice ed unico, della Sacra Potestas. L’efficacia salvifica di questa sacra potestà è sempre in primo luogo attribuibile all’Agente divino che agisce personalmente secondo una duplice modalità, cristologica e pneumatologica, come potere d’Ordine che dà e nutre la vita divina o come potere di giurisdizione che assicura l’ordine dell’Amore in tutte le dimensioni estremamente diversificate della comunione ecclesiale coinvolta nella storia umana. Di qui l’importanza del ministero di Pietro, capo del Collegio degli Apostoli, che possiede l’unità di questo duplice potere per l’unità della Chiesa secondo il carisma petrino; di qui anche l’autorità carismatica al servizio della comunione e della missione, sottomessa al discernimento dei vescovi e del Successore di Pietro, pur non procedendo direttamente dal ministero ordinato ma dalla libertà dello Spirito Santo.
Conclusione
Tornando, dunque, al governo della Curia romana, non basta dire che la missione canonica affidata dal Romano Pontefice, pastore universale, è sufficiente per fondare il potere di giurisdizione di ogni autorità esercitata nei Dicasteri. Il Supremo Legislatore affida una missione a seguito del discernimento di un carisma o di una competenza che giustifica la sua scelta; l’autorità delegata dalla missio canonica viene a configurare giuridicamente il servizio del soggetto coinvolto di cui è messo a frutto il carisma personale e non è indifferente che la persona coinvolta sia vescovo, prete, diacono o laico. Diversamente, si perpetuerebbe una mentalità giuridica che pone l’accento sulla sola delega di potere, senza tener conto della dimensione carismatica della Chiesa, cosa che andrebbe direttamente contro l’apertura a un autentico decentramento[8].
È fuori discussione dunque, ogni polemica sterile basata esclusivamente sulla lettera della legge. Quest’ultima infatti, per servire alla salvezza delle anime, dev’essere autenticamente interpretata ed incarnata. Delegare la potestà di giurisdizione sulla base di un retto discernimento del carisma personale non è il venir meno di un fondamento di Jus Divinum, ma al contrario esplicitare la natura comunionale e veramente trinitaria della Chiesa, Corpo mistico di Cristo, Capo e Divino Fondatore che ha istituito, nel ministero petrino, la pienezza di ogni potestà. Certamente anche a lettera della legge andrà correttamente adeguata.
Note
[1] Cfr. A.M. Stickler, La bipartición de la potestad eclesiástica en su perspectiva histórica, in «Ius Canonicum», 15 (1975), 45ss.
[2] Cfr. LG 21.
[3] Can. 6.
[4] Cfr. K. Mörsdorf, Die Entwicklung der Zweigliedrigkeit der kirchlichen Hierarchie, in MThZ, 3 (1951), Iss.
[5] Cfr. G.F. Ghirlanda, La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, in Periodica, 106 (2017), 537-631.
[6] Cfr. LG I-IV.
[7] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa: Iuvenescit Ecclesiae, Roma 2016.
[8] Una trattazione molto più estesa e dettagliata dell’importanza della lettura carismatica è data da: M. Ouellet, La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, in L’Osservatore Romano, CLXII n. 164, 20 luglio 2022.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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