Il can. 221 CIC stabilisce il diritto fondamentale dei fedeli alla tutela dei propri diritti, stabilendo nel §1 che «Compete ai fedeli rivendicare e difendere legittimamente i diritti di cui godono nella Chiesa presso il foro ecclesiastico competente a norma del diritto». Si tratta di una previsione generica e poco specifica dal punto di vista tecnico, di indubbia rilevanza assiologica, ma che da sola non costituisce né fonda il diritto alla tutela giudiziaria dei diritti: infatti, non si desume dal disposto alcuna preferenza per la via giurisdizionale.
La tutela giudiziaria dei diritti, benché si appoggi nel can. 221 CIC come presupposto necessario ma non sufficiente, ha bisogno del supporto normativo, che offrono i cann. 1491 (quodlibet ius actione munitur, il che ha una indubbia valenza processuale nell’usare i concetti di azione ed eccezione) e 1400-1401 CIC (che statuisce l’oggetto del contenzioso giudiziario e i limiti della giurisdizione ecclesiastica), precetti che però sistematicamente si trovano staccati dal blocco dedicato ai diritti fondamentali dei fedeli. Sebbene sia innegabile l’importanza del combinato disposto dei citati canoni, l’impianto risulta, globalmente considerato, disarmonico e d’altro lato incompiuto, perché non si prevedono concreti meccanismi di attuazione né si definisce con chiarezza in che cosa dovrebbe consistere siffatta tutela giudiziaria dei diritti.
La scienza processuale secolare e non poche costituzioni statuali, nonché trattati internazionali, sanciscono al più alto livello il diritto alla tutela giudiziaria o al giusto processo. Tale dichiarazione e formalizzazione la si fa a livello fondamentale-costituzionale (quindi non in modo sparso e nell’ambito della legislazione ordinaria), non limitandosi ad una proclamazione ma enunciando concrete garanzie e diritti che compongono o declinano siffatto diritto fondamentale. Il vantaggio – malgrado evidenti possibilità di affinamento e assestamento a seconda degli ordinamenti – è avere un diritto-istituzione complesso di livello fondamentale che funge da nucleo giuridico catalizzatore di un insieme di realtà che assieme compongono e sorreggono la garanzia giurisdizionale come un meccanismo di tutela dei beni e i diritti dei soggetti.
Se si passa in veloce e non esaustiva rassegna l’ordinamento processuale della Chiesa, si scoprono diversi diritti, principi e istituti processuali che, sebbene di per sé costituiscano elementi nucleari della tutela giudiziaria dei diritti, si trovano in modo frammentario sparsi e quasi non comunicanti nella normativa. Si pensi, ad esempio:
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Il diritto alla difesa (cfr. can. 1620, n. 7 CIC, che esplicitamente sancisce la nullità in caso di suo diniego, ma non dice in che cosa esso consista).
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Il principio di legalità procedurale (cfr. can. 221, § 2 CIC) e di legalità penale (cfr. can. 221, § 2 CIC), sebbene parziale, e contemperato dalla previsione del can. 1399 CIC.
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Il principio dell’imparzialità e dell’indipendenza giudiziaria (desumibile quasi per via apofatica dai cann. 1447-1449, 1456 e 1620, n. 3 CIC), anzi il diritto del fedele ad un giudice imparziale e terzo.
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Il diritto ad una pronuncia definitiva e motivata sulla pretesa, che si desume con molta fatica dai cann. 1611, 3o e 1622, 2o CIC, precetto in cui la nullità sanabile scatta soltanto in presenza di difetto di motivazione. A questo si aggiungerebbe la valutazione libera e razionale delle prove, unica via per raggiungere la certezza morale richiesta dal diritto (cfr. can. 1608 CIC). In altre parole, la coscienza del giudice è sempre la coscienza di un essere razionale e libero. Tuttavia, manca una sottolineatura più evidente e più fondamentale dell’apprezzamento razionale delle prove come unico apprezzamento degno di tale nome.
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Il diritto alla difesa tecnica, previsto nel can. 1481 CIC, ma senza una previsione annessa sulla difesa d’ufficio in caso di mancanze economiche (è insufficiente la previsione del can. 1649, 3o CIC, che lascia tra l’altro la questione nella mani dei Vescovi).
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Il diritto al giudice naturale predeterminato dalla legge, con il quale collide la possibilità di delegare la potestà giudiziaria decisoria da parte dei Vescovi (cfr. can. 135, § 3 CIC), questione che, malgrado qualche titubanza dottrinale, pare possibile nel nostro ordinamento. Le norme sulla competenza e il suo trattamento processuale (e in modo evidente l’incompetenza assoluta che provoca la nullità insanabile della sentenza ex can. 1620, n. 1 e il difetto di giurisdizione, ex can. 1620, n. 2 CIC) non permettono di formalizzare direttamente tale diritto, sebbene cerchino alla fine di tutelarlo.
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Diritto all’esecuzione della pronuncia, che sembra scomparso come diritto del fedele nella già di per sé scarna disciplina sull’esecuzione (cfr. cann. 1650-1655)
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L’impossibilità di un sistema nettamente inquisitorio (cfr. cann. 1620, 4o e 1501 CIC, che solo indirettamente e imperfettamente permettono di sorreggere tale impossibilità) e la smentita evidente del can. 1720 CIC.
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Il diritto ad un processo celere, di cui al can. 1453 CIC.
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Il diritto a non dichiarare contro sé stesso, particolarmente nel processo penale (cfr. can. 1728, § 2 CIC), e il diritto ad una partecipazione attiva nel processo e all’informazione.
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Diritto al doppio grado di giurisdizione: sebbene l’appello sia configurabile con certa generosità per il mero gravame e fino alla doppia conforme (cfr. can. 1628 e 1641, 1o CIC), andrebbe evidenziato un diritto al ricorso o alla doglianza in modo generico per le decisioni che riguardino il merito o incidano in qualche modo nelle posizioni giuridicamente rilevanti dei fedeli.
Forse in un futuro, chissà se non troppo lontano, potrebbe puntarsi su una formalizzazione autonoma e più ambiziosa del diritto fondamentale alla tutela giudiziaria dei diritti che menzioni e formalizzi unitariamente e complessivamente queste garanzie, facendole convergere in un livello fondamentale, facendo tesoro della giurisprudenza e dottrina maturata nella prassi forense canonica. Esso potrebbe diventare il cardine dogmatico e concettuale della scienza processuale canonica in una prospettiva costituzionale o, se così si vuole, per un approccio dal paradigma costituzionale alla scienza processuale canonica, superando magari il concetto un po’ anacronistico e parziale del diritto di azione. Il fedele avrebbe diritto alla tutela giudiziaria dei diritti, a impetrare questa tutela declinata in questi diritti e principi, che a sua volta diventerebbero principi ermeneutici per la giurisprudenza, la prassi e la riflessione dottrinale.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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