La condizione nel diritto matrimoniale orientale

Luca Giordano, le nozze di Cana, olio su tela

Introduzione

Come esposto in un precedente articolo, QUI la condizione consiste in una circostanza incerta, da cui si fa dipendere l’accettazione del matrimonio, tanto unilateralmente quanto bilateralmente [1]. Nel CIC latino, è consentito celebrare il matrimonio sotto condizione de praeterito o de praesenti, mentre la condizione di futuro è causa di nullità del matrimonio (cfr. can. 1102 CIC-83).

Al riguardo, è interessante osservare che il consenso condizionato non è stato un istituto sempre presente nella Chiesa latina, tanto che non ve n’è traccia nel primo millennio [2]. È solo dal XII secolo che il diritto latino comincia ad elaborare il concetto di consenso condizionato, in corrispondenza con lo sviluppo delle scienze giuridiche, diversificando la disciplina a seconda del tipo di condizione apposta [3].

Viceversa, ai sensi dell’attuale can. 826 del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, è nullo qualunque matrimonio contratto sotto qualsiasi tipo di condizione, siano essi de praeterito, de praesenti o di qualunque altro genere [4].

Ciò è conforme all’antica tradizione orientale, che non ha mai adottato l’istituto della condizione nel consenso matrimoniale, se non in qualche sparuto caso di epoca post-tridentina [5]. Infatti, ai fini della validità del matrimonio, nelle Chiese Orientali si richiede la benedizione del presbitero, ragion per cui sarebbe «assurdo ed inconcepibile presentarsi in Chiesa, per il rito sacro, sottomettendo alla benedizione di Dio un consenso condizionato o sottoposto ad una riserva limitativa, i cui effetti sono sospesi fino alla realizzazione di un fatto estrinseco futuro, presente o passato» [6].

Tanto premesso, la disciplina orientale si presenta come molto più semplice di quella latina relativamente alla condizione. Ciò nonostante, possono configurarsi profili di complessità nelle ipotesi di matrimoni tra persone appartenenti a diverse Chiese sui iuris, cui occorre volgere l’attenzione.

La condizione nei matrimoni tra fedeli orientali e latini

Qualora venga celebrato un matrimonio tra una parte latina ed una parte orientale ed una di esse abbia apposto una condizione al consenso nuziale, ci si chiede quale sia la normativa applicabile e di conseguenza se il matrimonio sia valido.

Secondo una prima opinione, il matrimonio sarebbe nullo per la parte orientale, tenuta all’osservanza del can. 826 CCEO, e valido per la parte latina, tenuta invece all’osservanza del can. 1102 CIC-83 [7]. Secondo un’altra opinione, il matrimonio sarebbe regolato dal can. 826 CCEO, in forza di un’applicazione analogica del can. 790 § 2 CCEO, il quale dispone che l’impedimento invalida il matrimonio anche quando sussista per una sola delle parti [8].

Tuttavia, entrambi gli orientamenti dottrinali non convincono: da un lato, non può esistere un matrimonio nullo per un contraente e valido per l’altro, atteso che la causa efficiente del matrimonio può solo essere un consenso bilaterale non viziato (cfr. can. 1057 CIC-83 e can. 776 CCEO); dall’altro, non si può fare applicazione analogica del can. 790 § 2 CCEO, giacché le leggi inabilitanti sono soggette ad interpretazione stretta (cfr. can. 1500 CCEO) e dunque la disciplina degli impedimenti non può estendersi analogicamente ai vizi del consenso, qual è la condizione [9].

La soluzione preferibile sembra consistere nell’assoggettare il matrimonio alla normativa della Chiesa dinanzi a cui è celebrato [10]. Nello specifico, si tratterà della Chiesa scelta dalle parti o, in mancanza, quella del futuro sposo ex can. 831 § 2 CCEO [11].

Conseguenze patrimoniali dell’apposizione della condizione

Infine, è bene ricordare che, là dove vigono sistemi giuridici a statuto personale, è sovente previsto un risarcimento del danno dovuto alla comparte dal coniuge che ha dato luogo alla nullità del matrimonio [12]. Perciò, nel trattare la condizione, i tribunali ecclesiastici orientali possono giudicare che essa sia fonte di responsabilità del coniuge che la appone in violazione del divieto del Codice dei Canoni delle Chiese Orientali, così dando luogo ad un diritto risarcitorio a suo carico [13].

Note bibliografiche

[1] Cfr. Cfr. A. D’AURIA, Il Matrimonio nel diritto della Chiesa, Città di Castello (PG), 2007, pp. 224-225.

[2] Cfr. H. ALWAN, La condizione nella tradizione orientale, in Aa.Vv., La condizione nel matrimonio canonico, Coll. Studi giuridici, n. LXXXII, Città del Vaticano, 2009, p. 70.

[3] Cfr. ibidem.

[4] Cfr. ivi, p. 74.

[5] Cfr. ivi, pp. 71-72.

[6] Ivi, p. 71.

[7] Cfr. ivi, p. 76.

[8] Cfr. ibidem.

[9] Cfr. ibidem.

[10] Cfr. ivi, p. 77.

[11] Cfr. ibidem.

[12] Cfr. ivi, p. 78.

[13] Cfr. ibidem.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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