Lo scorso 13 novembre, presso la Pontificia Università della Santa Croce, si è tenuta la X giornata di studio sul diritto patrimoniale canonico, il cui argomento oggetto di discussione è stato la “compliance” nel diritto canonico. Osservata a partire dall’ordinamento secolare, dove la compliance ha la sua origine, è stata posta la domanda se sia opportuno e se ciò apporti un beneficio effettivo introdurre tale programma di controllo nell’ordinamento canonico.
Gli interventi
Tra i relatori presenti, il primo ad intervenire è stato l’avvocato Michele Pansarella di KPMG, il quale ha spiegato in maniera introduttiva il tema della “compliance” nella gestione degli enti commerciali. Il Decreto legislativo nr. 231 del 2001 funge da pietra miliare, spiega l’avvocato, nell’ambito della responsabilità degli enti, rompendo il baluardo del principio costituzionale in base al quale “societas delinquere et puniri non potest”. Grazie ad esso venne introdotta nell’ordinamento italiano la responsabilità penale degli enti, anche definita responsabilità amministrativa, in modo tale da operare una distinzione dalla responsabilità penale della persona fisica. In questo frangente vennero previste anche varie misure sanzionatorie, mutevoli e adattabili ai vari casi che dovessero presentarsi nella prassi, tra cui: la pena pecuniaria, la pena interdittiva/sanzione, la confisca, la pubblicazione della sentenza.
Lo scioglimento dell’ente è la pena più severa e anche l’unica che l’ordinamento italiano non prevede. Un’altra importante novità sviluppata in questo ambito fu la distinzione tra soggetti apicali e sottoposti. Ovvero se il reato, nell’ambito di un ente, dovesse essere compiuto da un soggetto apicale, vige una presunzione di colpevolezza dell’ente. In questo frangente ha luogo un inversione dell’onere della prova, che trasla a capo dell’ente, che dovrà dare prova della sua innocenza. In questi casi l’unica causa esimente, ovvero che esenti l’ente da qualsivoglia responsabilità, si trova nella dimostrazione fornita dall’ente di essersi dotato di un “compliance program“. Dopo aver introdotto il termine, l’avvocato Pansarella è andato ad approfondire che cosa si intenda concretamente per “compliance program“. La risposta è semplice, esso è un sistema di controllo interno, costituito da vari elementi, tra cui la mappatura dei rischi, il modello organizzativo, il codice etico ed infine il sistema disciplinare.
La gestione delle finanze in modo etico
Dopo aver posto le basi per una comprensione civilistica di cosa sia effettivamente la “compliance” il focus del discorso si è spostato sull’ambito canonistico ed ha preso la parola Don Claudio Francesconi, Economo della Conferenza Episcopale Italiana. Il suo discorso si è incentrato sulla gestione delle risorse finanziarie in maniera etica. Egli ha cominciato facendo riferimento al significato della “compliance” in ambito medico, la quale misura la collaborazione del paziente a seguire le indicazioni del medico curante, ed ha tracciato un parallelismo con il servizio di cura che la CEI offre alle varie Diocesi. Sono stati trattati temi quali l’atteggiamento di trasparenza, le pratiche che garantiscono la fedeltà della Chiesa alla sua missione ed infine l’obbligo di rendicontazione. L’Economo ha particolarmente enfatizzato che:
“Oltre che doveroso, indirizzare in modo etico le attività finanziarie rappresenta una sfida per gli enti ecclesiastici.”
Gli enti avrebbero dunque la responsabilità di prevenire forme di cattiva gestione e di perseguire finalità eticamente sostenibili ed orientate ai principi del Vangelo.
L’aspetto finanziario del tema è stato ulteriormente approfondito dal responsabile della gestione finanziaria della CEI, il Dott. Alessandro Caffi. Egli ha sottolineato l’aspetto relativamente recente della funzione finanziaria, sviluppatasi negli anni ’80 del secolo scorso a seguito dell’introduzione dell’otto per mille. La maggior parte delle risorse proviene prevalentemente dall’otto per mille ed occupandosi la CEI del gravoso ed importante compito di gestione finanziaria di tali risorse, sarebbe indispensabile una struttura interna estremamente efficiente, a parere del Dott. Caffi.
La buona pratica nella gestione finanziaria sarebbe dunque la parola chiave dell’intero discorso. All’insegna dell’ideale di buona pratica la CEI ha provveduto ad introdurre vari nuovi elementi nella sua gestione. Ad esempio mediante il fatto che nonostante la CEI non investa in maniera attiva i fondi pervenutigli, si è dotata di un risk manager esterno, la compagnia Numus. Oppure ancora, sempre all’insegna dello spirito di innovazione e buona gestione è stato introdotto un comitato investimenti esterno.
Le linee guida per gli investimenti sostenibili
Le linee guida per gli investimenti sostenibili ed etici sono contenute in un documento del 2 novembre 2020, intitolato: “La Chiesa cattolica e la gestione delle risorse finanziarie con criteri etici di responsabilità sociale, ambientale e di governance”. Questo documento costituisce il framework di una gestione sostenibile sia ambientalmente che eticamente, che deve essere applicata giorno dopo giorno. Infine, il relatore ha concluso il suo discorso accennando ai rischi che la gestione finanziaria comporterebbe, ovvero un rischio finanziario di eventuale perdita economica, nel senso che le risorse pervenute devono essere impiegate al meglio per l’adempimento alla missione, ed un rischio reputazione, in base al quale “all’esterno siamo tutti Chiesa e dunque tutti co-responsabili“.
Alcune criticità
Durante la seconda parte del convegno si sono susseguiti gli interventi del Professor Diego Zalbidea dell’Università di Navarra, focalizzato sulla compliance nell’esperienza canonica spagnola, e del Professor Jesús Minambres della Pontificia Università della Santa Croce, incentrato sulle prospettive di “compliance” nell’ordinamento della Chiesa. Dal professor Zalbidea sono state evidenziate diverse criticità dell’introduzione della compliance in ambito canonico, tra cui alcuni esempi sono il fatto che attualmente nella Chiesa non vi sono persone qualificate per assumere questi compiti e non si può sempre contare su qualcuno di esterno, oppure ancora il fatto che nessuno può essere al di sopra del Vescovo, tantomeno un laico che svolge l’incarico di stilare un compliance program, ed anche il fatto che è molto difficile determinare il grado di responsabilità dei singoli organi ed entità nella sfera canonica.
Secondo il parere del professor Zalbidea la compliance non si dovrebbe limitare esclusivamente alle questioni penali ed ogni Diocesi, a prescindere dalle sue dimensione, dovrebbe essere dotata di un programma di compliance. Oltre a ciò risulterebbe fondamentale che il Vescovo sia il primo soggetto a sottoporsi al programma di conformità e naturalmente l’adozione di un tale sistema richiederebbe uno sforzo di formazione del personale notevole e di pubblicità del programma adottato.
In conclusione
Nell’intervento del professor Minambres sono state tratte le conclusioni di quanto presentato durante il convegno. Si è parlato della compliance come di una “soft law” ovvero di adempimenti necessari per la missione ma che non si esprimono in leggi scritte, ancora si è parlato di uno strumento a servizio del management dell’organizzazione. Sono stati anche ricordati i pericoli susseguenti l’adozione di tali sistemi civilistici, quali ad esempio il rischio che comporta l’introduzione di un’azienda esterna nel sistema ecclesiastico, oppure ancora il rischio della tirannia, ovvero il rischio di dover accettare criteri standardizzati e di essere così costretti ad assumere implicitamente una determinata visione che non collima con la propria.
Se si riuscissero ad arginare i pericoli appena descritti, l’introduzione di un sistema di compliance anche nell’ambito del diritto canonico e di tutte le Chiese potrebbe apportare grandi benefici, tra cui ad esempio l’implementazione dei sistemi già previsti dal diritto canonico, ovvero un miglioramento della trasparenza nell’amministrazione dei beni e della rendicontazione prevista già dai canoni del Codice. La compliance potrebbe dunque diventare il mezzo mediante il quale si potrebbe implementare ulteriormente la gestione finanziaria nella Chiesa in generale e nelle singole Diocesi in particolare.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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