Anonimo, Famiglia olandese nella foresta, olio su tela
Quando un matrimonio è nullo per la Chiesa cattolica
Comunemente si parla di “annullamento di matrimonio”; si tratta di un’espressione errata perché la Chiesa non può annullare un matrimonio costituitosi validamente ed eventuali cause che hanno determinato la successiva crisi coniugale non sono rilevanti al fine della declaratoria di nullità. Infatti, è corretto parlare di “nullità di matrimonio”, in quanto lo stesso viene dichiarato nullo ab origine. I motivi di nullità matrimoniale sono suddivisi in tre categorie:
- Vizi del consenso (incapacità, errore, dolo, simulazione, condizione, timore/violenza);
- Impedimenti (età, impotenza, vincolo da precedente matrimonio, disparità di culto, ordine sacro, voto pubblico di castità, ratto, coniugicidio, consanguineità, affinità, pubblica onestà, parentela legale);
- Difetto di forma (nel caso in cui il celebrante non sia specificamente autorizzato alla celebrazione).
Cosa sono gli impedimenti
Il Codice di Diritto Canonico precisa che tutti possono contrarre matrimonio, se non ne hanno qualche proibizione dal diritto (can. 1058). Tale proibizione costituisce pertanto un cosiddetto “impedimento matrimoniale“, intendendosi per tale qualche circostanza che non consente appunto la celebrazione del matrimonio ad una determinata persona, considerata giuridicamente inabile a compiere tale specifico ed importante atto (can. 1073).
Essi sono, pertanto, delle leggi che ristringono il libero esercizio di un diritto (quello al matrimonio) e vengono definiti “dirimenti” (dal latino dirimere, cioè infirmare, invalidare o render vano); ne consegue che, qualora il matrimonio venisse celebrato in presenza di taluno di essi, cioè di una persona in condizione di inabilità giuridica, sarebbe assolutamente invalido. Quindi restringono il libero esercizio di uno dei diritti fondamentali della persona umana: il diritto al matrimonio. Il matrimonio è un diritto fondamentale della persona umana che deriva dal diritto naturale. Il potere della Chiesa di intervenire sul matrimonio stabilendo leggi che impediscono il libero esercizio del diritto al matrimonio si giustifica in ragione della portata sociale del matrimonio e al fine di tutelare il bene dell’intera comunità-
La dottrina generale della Chiesa sugli impedimenti matrimoniali è contenuta nei cann. 1073-1082 del CIC 1983; i singoli impedimenti e le caratteristiche peculiari di ciascuno sono descritti nei successivi cann. 1083-1094. Gli impedimenti che, per diritto divino o umano, rendono la persona inabile a contrarre e determinano l’invalidità del matrimonio sono dodici. Essi sono strettamente connessi con determinate circostanze in cui si vengono a trovare le persone rispetto al matrimonio da contrarre; alcuni sono connaturali, come l’età o la consanguineità, mentre altri sono il frutto di atti delle stesse persone, come il vincolo, il voto, o il celibato, che influiscono nell’esercizio del diritto a contrarre matrimonio in virtù di una disposizione legale.
Gli impedimenti sono quindi di diritto divino e di diritto ecclesiastico. Gli impedimenti di diritto divino sono fondati su una legge di cui Dio è l’autore, oppure sono stati stabiliti positivamente da Dio attraverso la rivelazione e non sono suscettibili di dispensa. Invece, gli impedimenti di diritto ecclesiastico sono quelli stabiliti dalla Chiesa per i propri fedeli e possono essere dispensati dalla competente autorità poiché sono stati statuiti dalla Chiesa. L’impedimento tocca direttamente il matrimonio in quanto contratto e non in quanto sacramento.
Impedimento di età (can. 1083)
In linea generale, è vietato il matrimonio agli uomini al di sotto degli anni 16 e alle donne degli anni 14 (la Conferenza Episcopale è libera di fissare una età maggiore per la lecita celebrazione del matrimonio). Tuttavia, nell’intento della Chiesa di assimilare il più possibile tale normativa a quella statuita dalle legislazioni civili nei singoli Stati, per l’Italia l’età minima è stata elevata ad anni 18 sia per l’uomo che per la donna, in concordanza appunto con quella consentita per il matrimonio civile. Trattasi di impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo in casi eccezionali [1].
Impedimento di impotenza (can.1084)
Il concetto d’impotenza rimanda alla copula coniugale che è vera copula, idonea alla consumazione, solo se viene compiuta humano modo [2]. E tanto si realizza quando i coniugi compiono la copula coniugale secondo le caratteristiche proprie dell’atto umano, ossia con adeguata razionalità e volontà libera, in quanto prova d’amore, sì da realizzare insieme un’unione fisica e personale.
Ove ciò non fosse possibile per ragioni fisiche o psichiche si configura l’impotenza di cui al can. 1084 CIC 1983 [3]. “L’impotenza copulativa antecedente e perpetua, sia da parte dell’uomo sia da parte della donna, assoluta o relativa, per sua stessa natura rende nullo il matrimonio. Se l’impedimento di impotenza è dubbio, sia per dubbio di diritto sia per dubbio di fatto, il matrimonio non deve essere impedito, stante il dubbio, dichiarato nullo. La sterilità né proibisce né dirime il matrimonio, fermo restando il disposto del can. 1098.” Affinché giuridicamente si configuri l’impedimento dirimente d’impotenza si devono presentare contemporaneamente il requisito dell’antecedenza, della perpetuità e della certezza. il can. 1084 CIC 1983 richiede che l’impotenza sia antecedente al matrimonio, nel senso che deve sussistere prima od almeno nel momento dello scambio del consenso del consenso matrimoniale [4].
Di conseguenza una forma di impotenza sopravvenuta nel periodo nuziale, anche se sorta immediatamente dopo la celebrazione del matrimonio per qualche malattia o incidente, non ha nessuna influenza sul matrimonio precedentemente contratto. La prassi giurisprudenziale e la medicina canonica forense rilevano che non è sempre facile individuare il momento iniziale dell’impotenza concreta, cioè accertare se essa sia antecedente o susseguente. Ai fini probatori dell’antecedenza occorre distinguere a seconda che l’impotenza sia organica o funzionale. Nel caso che l’impotenza sia congenita o di origine organica, nella prassi giuridica si presume che l’impotenza sia antecedente.
Impotenza funzionale
Nel caso d’impotenza funzionale, se l’impotenza sorge al primo tentativo di consumazione, la prassi presume che sia antecedente; nel caso in cui si verifica dopo un certo lasso di tempo, la prassi presume che sia susseguente [5]. Il requisito della perpetuità in senso canonico va intesa nel senso che, per essere giuridicamente rilevante, l’impotenza non solo deve sussistere al momento della celebrazione delle nozze, ma già in questo momento deve essere perpetua. La perpetuità conforma una qualificazione consistente in una condizione d’impotenza inemendabile o superabile solamente per effetto di mezzi straordinari, cioè miracolosi, illeciti o pericolosi per la vita. La valutazione della straordinarietà di simili mezzi deve essere fatta in relazione alle circostanze temporali, locali, ma anche personali tenendo conto del progresso scientifico. Pertanto, l’impotenza copulativa nel senso canonico è perpetua se è incurabile con mezzi non pericolosi per la vita e la salute, ordinari e leciti. L’impotenza, invece, è temporanea se cessa da sola o sia guaribile usando i rimedi ordinari e leciti; essa non costituisce impedimento.
Il terzo requisito dell’impedimento d’impotenza è la certezza. In base al can. 1084 § 2 un’impotenza dubbia, sia di diritto che di fatto, non comporta la nullità del matrimonio. Il dubium iuris sussiste quando non è possibile stabilire con certezza se un determinato difetto costituisca o meno un’incapacità a porre gli atti coniugali con le note richieste per essere impedimento matrimoniale. Il dubbio di fatto sussiste, invece, quando una precisa anomalia nell’uomo o nella donna riveste i caratteri dell’impedimento d’impotenza, ma non si può conoscere con certezza se i medesimi caratteri siano presenti o meno nella fattispecie concreta [6]. Nel caso dell’impedimento dubbio la legislazione canonica si trova di fronte a due diritti naturali: il diritto al matrimonio che spetta ad ogni persona e l’impedimento d’impotenza che, in forza del diritto naturale, impedisce il matrimonio. Il legislatore nel can. 1084 § 2 in riferimento all’impotenza dubbia, prende posizione a favore del matrimonio riconoscendo che il matrimonio se vi è dubbio sia di diritto che di fatto non deve essere impedito né può essere dichiarato nullo [7]. Tale impedimento, trattandosi di un impedimento di diritto naturale non può essere dispensato da nessuna autorità umana.
Dall’impotenza va distinta la sterilità, la quale impedisce ad una persona di avere figli, pur potendo avere una regolare attività sessuale. Essa non invalida il matrimonio e, pertanto, non lo rende nullo. Lo potrebbe, però, rendere nullo qualora in prospettiva coniugale, la capacità procreativa sia intesa da taluno degli sposi quale qualità determinante ed imprescindibile nella persona dell’altro (can. 1097 § 2) ovvero sia posta come condizione al matrimonio (can. 1102). Infatti, in questa ipotesi il matrimonio sarebbe nullo per difetto di consenso e non per impotenza.
Impedimento di vincolo precedente (can. 1085)
In conformità con la proprietà essenziale dell’unità del matrimonio o della esclusività del vincolo coniugale nessuno può celebrare un nuovo matrimonio valido mentre esista un vincolo coniugale precedente. L’impedimento è di diritto naturale e perciò interessa tutti i matrimoni. Come impedimento di diritto naturale non può essere dispensato.
L’impedimento di vincolo però cessa: per la morte di uno dei coniugi; per dispensa pontificia a norma dell’art. 1142 oppure quando interviene il privilegio fidei (1143-1159); quando il matrimonio viene dichiarato nullo. Nel primo comma viene detto che l’impedimento interessa ogni matrimonio anche se non è stato consumato. Nel secondo comma si danno delle norme che devono essere osservate prima di contrarre un nuovo matrimonio, allorché il precedente sia nullo o sia stato sciolto dalla competente autorità [8].
Impedimento di disparità di culto (can. 1086)
E’ vietato il matrimonio tra due persone, di cui l’una sia battezzata nella Chiesa cattolica ( e da essa non separata con atto formale) e l’altra non battezzata. La ragione specifica di questo impedimento è evitare il pericolo contro la propria fede o contro la pratica della medesima, proveniente da un simile matrimonio. Tale pericolo è di diritto divino, nonostante l’impedimento sia di diritto ecclesiastico. Per tale ragione l’impedimento può essere dispensato sia dalla Santa Sede che dall’Ordinario del luogo. La dispensa viene condizionata all’adempimento di alcune condizioni riguardanti la protezione della fede del coniuge e degli eventuali figli e la dignità del matrimonio [9].
Impedimento di ordine sacro (can. 1087)
E’ vietato il matrimonio a coloro che siano già costituiti nei sacri ordini (episcopato, presbiterato e diaconato), in considerazione del carattere perpetuo ed indelebile di cui essi sono connotati, anche qualora intervenga la perdita dello stato clericale, la quale non comporta di per sé la dispensa dall’obbligo del celibato. Tale impedimento è di diritto ecclesiastico e può essere dispensato solo dalla Santa Sede [10].
Impedimento di voto (can. 1088)
E’ vietato il matrimonio a coloro che siano vincolati dal voto di castità, espresso in modo pubblico e perpetuo in un istituto religioso di diritto pontificio o diocesano. Il voto è definito dal can. 1191 § 1, secondo il quale esso “è una promessa deliberata e libera fatta a Dio”. Trattasi di un impedimento di diritto ecclesiastico ed il voto, qualora dispensato dalla Santa Sede, fa venir meno l’impedimento medesimo. Se l’istituto è di diritto diocesano, l’autorità competente per dispensare è il vescovo diocesano; se, invece, l’istituto è di diritto pontificio, l’autorità competente per la dispensa è la Santa Sede [11].
Impedimento di ratto (can. 1089)
“Non è possibile costituire un valido matrimonio tra l’uomo e la donna rapita o almeno trattenuta allo scopo di contrarre matrimonio con essa, se non dopo che la donna, separata dal rapinatore e posta in un luogo sicuro e libero, scelga spontaneamente il matrimonio”. Lo scopo dell’impedimento è quello di proteggere la libertà della persona. Tale impedimento è di diritto ecclesiastico, pertanto può essere dispensato [12].
Impedimento di crimine (can. 1090)
“Chi, allo scopo di celebrare il matrimonio con una determinata persona, uccide il coniuge di questa o il proprio, attenta invalidamente tale matrimonio. Attentano pure invalidamente il matrimonio tra loro quelli che hanno cooperato fisicamente o moralmente all’uccisione di un coniuge” [13]. L’impedimento è di diritto ecclesiastico, però davanti alla gravità del crimine e delle conseguenze dannose che possono venire alla comunità, la Chiesa non solo ha emanato una legge inabilitante, ma la sua dispensa è riservata alla Santa Sede.
Impedimento di consanguineità (can. 1091)
La consanguineità può essere definita come la comunanza di sangue. La consanguineità in linea retta esiste tra gli ascendenti e i discendenti (i figli, i nipoti, i padri, i nonni). Mente la consanguineità in linea collaterale esiste tra persone che hanno la comunanza di sangue ma che non discendono l’una dall’altra (i fratelli, gli zii, i nipoti). Non è ammessa la dispensa dell’impedimento di consanguineità in linea retta e nella linea collaterale soltanto dopo il secondo grado [14].
Impedimento di affinità (can. 1092)
“L’affinità nella linea retta rende nullo il matrimonio in qualunque grado”. Per affinità si intende il vincolo personale che si stabilisce tra un coniuge e i consanguinei dell’altro ed il suo computo parimenti si effettua per linee e gradi. E’ vietato, pertanto, il matrimonio tra affini in linea retta in qualsiasi grado, mentre non lo è in linea collaterale. Trattandosi di un impedimento di diritto ecclesiastico, in quanto il vincolo è di tipo giuridico, più che naturale in senso proprio (come la consanguineità) e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo in casi eccezionali [15].
Impedimento di pubblica onestà (can. 1093)
Questo impedimento non sorge dal matrimonio valido, ma da un matrimonio invalido o da concubinato pubblico o notorio. Con questa terminologia si intende quel rapporto di coppia (pseudo-coniugale) che si stabilisce nell’ambito di una convivenza derivante da un matrimonio invalido o dal concubinato notorio e pubblico. Esso, pertanto, dirime il matrimonio tra l’uomo e le consanguinee della donna nel primo grado della linea retta, e viceversa (cioè fra l’uomo e la madre o la figlia della donna, nonché tra la donna e il padre o il figlio dell’uomo). Trattandosi di un impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato dall’Ordinario del luogo per gravi motivi [16].
Impedimento legale o adozione (can.1094)
Oltre alla parentela naturale, che sorge “ex se” dalla generazione e trova il suo fondamento nel vincolo di sangue, esiste una parentela legale, sancita dalla legge e fondata sull’adozione. L’impedimento si estende a tutti i gradi nella linea retta e solo al secondo nella linea collaterale. Si tratta di un impedimento di diritto ecclesiastico e può essere dispensato [17].
Note
[1] J. F. Castano, op. cit., p.260
[2] J. Kunes, op., cit., p. 66
[3] C. Barbieri, La coppia coniugale, cit., pp.167-168
[4] L. Chiappetta, op. cit., p. 306
[5] J. Kunes, op., cit., pp. 71-72
[6]P. Pellegrino, L’impedimento d’impotenza nel matrimonio canonico, Torino, 2004, pp. 91-92
[7] J. Kunes, op., cit., p. 74
[8] J. F. Castano, op. cit., p.260
[9] J. F. Castano, op. cit., p.292
[10] J. F. Castano, op. cit., p.261
[11] Ivi, p. 228
[12] Ivi, p. 267
[13] Ivi, p. 228
[14] Ivi, p. 309
[15] Ivi, p. 313
[16] Ivi, p. 270
[17] Ivi, p. 272
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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