Due considerazioni circa i provvedimenti cautelari nei processi penali giudiziali can. 1722

provvedimenti
Jean-Louis Forain, scena di un tribunale, 1904, olio su tela

Il can. 1722 CIC stabilisce che:

“l’Ordinario per prevenire gli scandali, tutelare la libertà dei testimoni e garantire il corso della giustizia, può in qualunque stadio del processo, udito il promotore di giustizia e citato l’accusato stesso, allontanare l’imputato dal ministero sacro o da un ufficio o compito ecclesiastico, imporgli o proibirgli la dimora in qualche luogo o territorio, o anche vietargli di partecipare pubblicamente alla santissima Eucaristia; tutti questi provvedimenti, venendo meno la causa, devono essere revocati, e cessano per il diritto stesso con il venir meno del processo penale”.

La norma in esame e l’istituto ivi disciplinato, ovvero, i provvedimenti cautelari nel processo penale (sebbene in dottrina non tutti concordino sulla scelta di questa terminologia) si prestano a diverse considerazioni di cui in questo contributo ci limitiamo a delinearne solo due, sebbene ci riserviamo in futuro di approfondirne altre.

Lasciando da un lato il fatto che tali provvedimenti sono soltanto applicabili nel processo penale giudiziario e dunque sono esclusi e non operanti nella procedura penale amministrativa (e non intacca siffatta regola l’eccezione in tema di delitti riservati al Dicastero per la Dottrina della Fede che è, appunto, un’eccezione), e lasciando anche da parte la questione della sua ricorribilità, attira subito l’attenzione la particolare configurazione di questi provvedimenti per l’inconsueto ruolo che pare rivestire l’Ordinario.

Pars actrix

Come si sa, una volta avviato il processo penale giudiziario, la parte attrice a tutti gli effetti è il Promotore di Giustizia, che agisce come vera parte nel processo e non come postino o procuratore dell’Ordinario. All’Ordinario spetta la decisione sull’avviamento della procedura (can. 1721, § 1 CIC), e la disciplina codiciale gli riconosce anche un potere di non poco conto in ciò che riguarda la rinuncia all’istanza, poiché essa è valida se è fatta dietro mandato dell’Ordinario, o con il suo consenso se fu proposta “motu proprio” dal Promotore (cfr. can. 1724 CIC). Tuttavia, aldilà di queste esplicite facoltà nel momento iniziale e finale dell’istanza, il ruolo dell’Ordinario dovrebbe scomparire onde favorire appunto l’esercizio della funzione giudiziale attraverso un rapporto processuale in cui il Promotore di Giustizia è vera “pars actrix”. Invece, il can. 1722 CIC riconosce all’Ordinario la facoltà di incidere amministrativamente (non altrimenti possono qualificarsi questi provvedimenti in merito alla potestà che gli sorregge) sulla situazione dell’accusato “pendente iudicio poenali”.

Chi è il soggetto più qualificato per valutare talune misure cautelari?

A ciò si aggiunge il fatto che discernere sull’andamento del corso della giustizia oppure sulla necessità di tutelare l’integrità di fonti di prova (garantire la libertà dei testi, in parole del testo legale, che appaiono per la verità inspiegabilmente limitative, come se solo i testi potessero essere prove a rischio e non i documenti o i periti, ad esempio) sono estremi che difficilmente può valutare chi è estraneo o non direttamente coinvolto nel processo, come estraneo dovrebbe essere l’Ordinario dal momento in cui ha dato mandato al suo Promotore per procedere in via giudiziale. O se si preferisce formulare la questione in un modo diverso, ci si potrebbe chiedere se non sia il giudice (anzi, eventualmente un collegio di giudici nei casi di cui al can. 1425, §1, 2º CIC) il soggetto più qualificato per una valutazione del genere.

In molti ordinamenti secolari, i provvedimenti o misure cautelari vengono decretate dal giudice che sta dirigendo l’istruttoria. Si potrebbe forse obiettare che la prevenzione degli scandali pare invece una funzione più propria di qualcuno che riveste la qualità di Ordinario, e che una valutazione del genere potrebbe esulare dalle conoscenze o dalle possibilità del giudice. Sebbene questo sia in buona misura giusto, nulla toglie invece al fatto che le altre due valutazioni dovrebbero corrispondere ad un soggetto diverso. A ciò si aggiunge la constatazione di quanto possa essere rischioso l’uso di un concetto così duttile come lo scandalo, senza che ne vengano precisati i contorni né esplicitato il suo legame con l’azione della giustizia in occasione della quale si susciterebbe tale scandalo.

Gli strumenti per prevenire lo scandalo

Perché per prevenire lo scandalo in generale ci sono altri rimedi nelle mani dell’Ordinario, a meno che non si tratti di uno scandalo particolare legato magari all’esercizio dello “ius puniendi” ma se così fosse, com’è possibile che l’esercizio dello “ius puniendi” possa destare scandalo nel senso preciso del termine come induzione al male? A che tipo di scandalo sta pensando la norma in esame? Non avrebbe l’Ordinario altri strumenti (quali la riprensione o addirittura il precetto penale, a norma del can. 1339 CIC) con i quali fronteggiare lo scandalo? Affermare ad esempio che è scandaloso che un prete continui a celebrare la Santa Messa solo perché è in corso un processo penale nei suoi confronti, dimenticando così la presunzione d’innocenza (cfr. can. 1321, §1 CIC) e senza alcuna considerazione circa la fase processuale o al tipo di reato per il quale risulta imputato, non pare troppo convincente.

Una proposta di riforma

Nella scia di una possibile riforma del can. 1722 CIC, all’interno di una riflessione propositiva per dotare di un corpo normativo atto al processo penale giudiziario, si potrebbe prescindere dal riferimento allo scandalo come causa per imporre le misure, da un lato, e lasciare queste nelle mani del giudice che sta istruendo la causa, dall’altra. La prima proposta permetterebbe d’impostarle in modo più congruente, ovvero, come provvedimenti che guardano fondamentalmente all’andamento del processo, all’esercizio della potestà giudiziaria. L’Ordinario avrebbe, anzi conserverebbe comunque altri mezzi per prevenire e fronteggiare lo scandalo.

La seconda proposta permetterebbe di estromettere l’Ordinario da una procedura dalla quale egli dovrebbe restarne opportunamente estromesso (fermo restando la facoltà che la legge gli riconosce in tema di rinuncia), non solo perché in sede d’indagine previa e nella successiva decisione di avviare il processo egli si è fatto già qualche idea sulla questione oggetto di giudizio che potrebbe togliergli la terzietà d’animo necessaria, ma perché così si ottempera meglio alla distinzione delle funzioni, si rispetta in modo più opportuno la sostanza del processo penale giudiziale e si tutela l’identità del Promotore come parte vera e propria della lite penale.

A ciò si aggiungerebbe che una “processualizzazione” dei provvedimenti cautelari permetterebbe un regime d’impugnazione più ragionevole e prossimo (ad esempio, affidandone il compito al tribunale di appello, qualificandoli magari come “expeditissime” allo scopo di rispondere all’urgenza che a volte impongono tali misure, senza precludere l’eventuale e previo ricorso al collegio se esse fossero state emanate dall’istruttore), al posto di un ricorso gerarchico e un contenzioso-amministrativo (che la stragrande maggioranza della dottrina ritiene tutt’oggi esperibile dinanzi ai provvedimenti in oggetto), tutela della quale sono paradossalmente prive le decisione di merito del Dicastero della Dottrina Fede, ovvero, i reati più gravi.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Marc Teixidor

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