Edwin Longsden Long, Confession, 1862
La violazione del “segreto” della confessione (can. 1386 § 2)
Nel precedente articolo è stato definito e specificato il contenuto del cosiddetto «sigillo» sacramentale che per legge divina rivelata non può essere assolutamente violato dal sacerdote confessore, né direttamente né indirettamente, pena la dichiarazione o l’irrogazione nei suoi confronti delle sanzioni penali previste dal can. 1386 § 1 CIC.
In questa seconda parte, esamineremo le ulteriori fattispecie delittuose, che parimenti attentano la santità del sacramento della Riconciliazione, disciplinate dai successivi paragrafi del predetto canone.
In particolare, il §2 riguarda la violazione del «segreto» sacramentale che vincola l’interprete e tutte le altre persone che, in qualsiasi modo, siano venute a conoscenza dei peccati accusati dal penitente in confessione. Tali soggetti sono obbligati ad osservare il segreto sacramentale in forza della stessa legge naturale, confermata dalla legge ecclesiastica [1]. Al riguardo, il paragrafo in esame recita:
«L’interprete e le altre persone di cui nel can. 983, § 2, che violano il segreto, siano puniti con giusta pena, non esclusa la scomunica».
Pertanto, l’autore del predetto delitto può essere innanzitutto l’interprete, allorquando viene amministrato il sacramento della Riconciliazione per il suo tramite a norma del can. 990 CIC, nel caso in cui non sia nota al confessore e al penitente una lingua comune, evitati ovviamente gli abusi e gli scandali. Inoltre, il delitto de quo può essere altresì commesso da tutte quelle persone che casualmente abbiano ascoltato la manifestazione dei peccati del penitente al confessore, o più genericamente sia a loro giunta, in qualunque modo, la «notizia dei peccati dalla confessione», dovendo pertanto sussistere una connessione tra la conoscenza dei peccati e la confessione stessa.
La vigente disciplina normativa punisce la violazione del segreto della confessione con «giusta pena», proporzionata allo scandalo arrecato e alla gravità del danno provocato; pena ferendae sententiae, espiatoria o censura, non esclusa la scomunica.
Attualmente, il delitto in esame non è riservato al giudizio del Dicastero per la Dottrina della Fede.
La registrazione o la pubblicazione di confessioni (can. 1386 § 3)
Con la Costituzione apostolica Pascite gregem Dei del 23 maggio 2021, è stato promulgato il nuovo Libro VI del Codice di Diritto Canonico, De sanctionibus poenalibus in Ecclesia, che ha incorporato i delitti di registrazione e di divulgazione della confessione sacramentale, già tipizzati dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel settembre 1988 in virtù di speciale facoltà conferita a norma del can. 30 CIC [2].
In realtà, un primo intervento dell’autorità ecclesiastica si ebbe il 23 marzo 1973, sotto la vigenza del CIC/1917, quando si diffuse la notizia dell’imminente pubblicazione di un libro scandalistico che raccoglieva le trascrizioni di alcune confessioni sacramentali, vere o simulate, registrate subdolamente [3].
Pertanto, allo scopo di tutelare la santità della Confessione e per difendere i diritti dei ministri e dei fedeli cristiani allo stesso sacramento, il nuovo paragrafo 3 del vigente can. 1386 CIC stabilisce che:
«Fermo restando il disposto dei §§ 1 e 2, chiunque con qualsiasi mezzo tecnico registra o divulga con malizia, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, le cose che vengono dette dal confessore o dal penitente nella confessione sacramentale, vera o simulata, sia punito secondo la gravità del crimine, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se è un chierico».
É evidente che il citato paragrafo punisce due distinti comportamenti delittuosi, vale a dire la registrazione e la divulgazione della confessione sacramentale.
In particolare, si configura il delitto di registrazione della confessione sacramentale quando il reo, che si sta confessando o che sta al di fuori del sacramento della penitenza – ma comunque in prossimità del luogo e del momento della stessa confessione – registra con qualsiasi dispositivo quanto avviene durante l’amministrazione del Sacramento. Si ritiene idoneo qualunque mezzo tecnico in grado di catturare l’audio e/o il video della conversazione, si pensi ad esempio a microfoni, telecamere, o smartphone. Non integra, invece, il delitto de quo la semplice annotazione delle cose dette in confessione.
L’altro delitto configurato dal §3 è la divulgazione della confessione sacramentale che ricorre quando il reo divulga con malizia a terzi, attraverso i mezzi di comunicazione sociale, la registrazione della confessione. Non è necessario che l’autore del reato di divulgazione sia anche l’autore del reato di registrazione, ben potendo essere due persone differenti. La diffusione può avvenire attraverso una varietà di piattaforme e strumenti atti a facilitare la comunicazione e la condivisione di contenuti tra utenti, si pensi a social network, blog, forum, applicazioni di messaggistica. Per la perfezione del delitto, non è necessario che le voci o i volti siano riconoscibili, né che i fatti narrati consentano di risalire ai soggetti coinvolti nella registrazione audio. Neppure è richiesto che la divulgazione riveli i peccati commessi, essendo la norma volta a tutelare la santità del sacramento della Riconciliazione oltre che l’intimità del dialogo tra il penitente e il confessore.
Per tale ragione, anche qualora la confessione fosse simulata il reo sarà punito per i delitti di registrazione e/o divulgazione a norma del can. 1386 §3. La pena è obbligatoria e indefinita, proporzionale alla gravità del crimine commesso (can. 1349), non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se l’autore dell’illecito è un chierico. Al Dicastero per la Dottrina della Fede è riservata la giurisdizione esclusiva di entrambi i delitti ex art. 4 §1, 6º, delle Norme sui delitti riservati.
Note
[1] V. DE PAOLIS, «De delictis contra sanctitatem sacramenti paenitentiae», in Periodica 79 (1990), p. 192.
[2] CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Decretum de sacramenti Paenitentiae dignitate tuenda del 23 settembre 1988, in AAS 80 (1988), p. 1367.
[3] SACRA CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Dichiarazione Sacra Congregatio de tuendi sacramenti paenitentiae dignitate, in AAS 65 (23 marzo 1973), p. 678.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA