Pedofilia, una perversione sessuale sempre esistita?

Boeto di Calcedonia, copia romana del Fanciullo che strozza l’oca, età ellenistica, fine III- II sec. a.C., Louvre, Parigi

Per trattare il tema della pedofilia è necessario un approccio distaccato ed oggettivo. E’ fondamentale comprendere con chiarezza le motivazioni che si celano dietro a questo aspetto problematico del comportamento sessuale umano, in modo tale da poter formulare diagnosi corrette, mettere in atto interventi preventivi e poter provvedere con delle soluzioni terapeutiche. Il problema nel trattare questo fenomeno a livello sociale è duplice. Da una parte si rischia di cadere nel vortice di pregiudizi e stereotipi, dall’altra si incorre nel rischio del negazionismo, ovvero di negare in modo categorico che questo comportamento possa esistere nella propria realtà.

La prima domanda che diventa obbligatorio porsi è se colui che abusa di un bambino deve essere sempre considerato un pedofilo? La risposta varia caso per caso, in base alla valutazione delle circostanze specifiche e alla corrispondenza o meno con i criteri indicati in caso di presenza di un disturbo pedofilico (DSM-5). La maggior parte degli abusanti in realtà non possono essere definiti pedofili.

“Pedofilo è un termine omnibus che ha dentro di sé una miriade di situazioni cliniche differenti, che vanno dall’agito o al comportamento episodico alla strutturazione pedofilica della personalità, fino alla pedofilia violenta e assassina, che presenta caratteristiche cliniche e sintomatologie del tutto differenti dai quadri precedenti”(1).

Tentativi di definizione

Il pedofilo viene definito come una persona “i cui desideri sessuali consci e le cui risposte sessuali sono diretti, almeno in parte, verso bambini e adolescenti dipendenti e immaturi, che non si rendono pienamente conto di queste azioni e che sono incapaci di dare un consenso informato, esplicandosi con attività che violino i tabù socio-culturali e che sono contro la legge”(2). Il pedofilo ha dunque come oggetto esclusivo e preferenziale l’infanzia e come obiettivo il soddisfacimento della propria inclinazione erotica (3). Il termine pedofilia viene descritto come segue dal Dizionario critico di psicoanalisi di Rycroft: “Letteralmente amore dei bambini, ma riservato in pratica alla tendenza a commettere reati sessuali contro di loro”(4).

Nel DSM-5 possiamo riscontrare un cambiamento della definizione di pedofilia. Mentre in precedenza si utilizzava il termine “pedofilia” ora si predilige “disturbo pedofilico”, che vuole indicare un disturbo psico-sessuale incluso nelle perversioni sessuali (parafilie). Inoltre viene effettuata un ulteriore distinzione tra soggetti caratterizzati da un mero interesse sessuale pedofilico e soggetti affetti da disturbo pedofilico. Mentre nel caso dei primi essi non hanno mai agito spinti dai loro impulsi, nel caso dei secondi essi hanno agito e dato vita alle proprie fantasie sessuali con un minore (5).

Le pulsioni che il pedofilo deve soddisfare

Tra le cause principali della pedofilia vi è quella di essere stati a propria volta vittima di abusi sessuali durante l’infanzia, di questo ne abbiamo già parlato QUI, ciò potrebbe conseguentemente provocare un arresto nello sviluppo della sessualità del soggetto ed un successivo subentrare della pedofilia (6). Alla base della condotta pedofila vi è una scelta narcisistica dell’autore del reato che deve soddisfare un bisogno di controllo, di potere e di dominazione combinato alla soddisfazione erotico-sessuale e vede il bambino come un’immagine di sé stesso. L’età del bambino abusato potrebbe infatti fungere da indicatore dell’età in cui si trova bloccata la personalità dell’abusatore.

Tipologie di pedofili

Come già accennato in precedenza pedofilo è un termine omnibus, troppo ampio per poter essere chiaramente definito, tuttavia la scienza è riuscita a distinguere varie sottocategorie di pedofili, tra cui la principale distinzione è quella tra i pedofili situazionali, in fase regressiva, sessualmente indiscriminati e inadeguati, ed i pedofili preferenziali, ovvero sadici, sedutivi, fissati. Questi ultimi abusano in modo compulsivo e premeditato, si identificano fortemente con i minori che abusano ed hanno un’alta probabilità di ricaduta, mentre i pedofili regressivi hanno un orientamento sessuale mirato ad adulti, tuttavia in situazioni di forte stress regrediscono abusando dei minori, visti come una figura sostitutiva dei partner.

Immaturità

Da un punto di vista giuridico la presenza di un disturbo psico-sessuale attenua, ma non esime l’abusante da ogni responsabilità. Ciò che la maggior parte dei soggetti che commettono un reato sessuale su minore presenta è l’immaturità ed un disturbo di personalità. L’immaturità può andare ad inficiare quattro aree:

  1. L’area relazionale: responsabile per il rispetto dell’altro e la creazione di legami equilibrati, profondi e stabili.
  2. L’area sessuale: il soggetto mostra preferenze sessuali devianti.
  3. L’area affettiva: nel soggetto si riscontrano disturbi ed incapacità nella regolazione e nel controllo degli impulsi, che sfociano in dinamiche di dominazione, sottomissione e manipolazione dell’altro.
  4. L’area cognitiva: in essa hanno luogo delle distorsioni percettivo-interpretative che contribuiscono alla deformazione della coscienza personale, che giustifica gli atti sessuali compiuti con un minore, impedendo così la corretta valutazione morale di essi e creando in tal modo i presupposti per la reiterazione del reato (7).

Analisi storica della pedofilia

Da un punto di vista storico i rapporti sessuali tra adulti e minori sono sempre esistiti, tuttavia hanno assunto differenti significati a seconda della cultura e del periodo storico. Nonostante le differenti connotazioni, il comune denominatore di ogni relazione pedofila è la dissimmetria che si crea nel rapporto tra adulto e bambino, la quale genera un divario di potere notevole. Uno degli esempi più famosi di rapporti pedofilici si può trovare nell’Antica Grecia. Nella cultura ellenistica questi rapporti non erano moralmente riprovevoli e non venivano condannati, anzi, al contrario erano riconosciuti come rapporti educativi tra uomo e ragazzo.

Per questo motivo i greci non usarono mai il termine “pedofilia”, bensì coniarono la parola “pederastia” appositamente per definire delle relazioni amorose tra adulti e ragazzi, nelle quali si prediligeva enfatizzare la dimensione spirituale, intellettuale e pedagogica, piuttosto che l’aspetto sessuale del rapporto. Queste relazioni, che rivestivano un marcato ruolo educativo nella società ellenistica con l’obiettivo di formare la nuova gioventù maschile sia in ambito morale che politico, seguivano uno specifico galateo di corteggiamento ed erano disciplinate da specifiche leggi e norme sociali (8).

Mediante l’amore pederasta ai ragazzi veniva indicato un uomo di successo, un pedagogo, da prendere come modello ed esempio e che avrebbe potuto educarli alla vita, questo ci spiega Platone nel suo Simposio. In esso l’autore mostra anche la distinzione tra due tipi di amore molto diversi tra loro: un amore celeste, che porta alla crescita spirituale, ed un amore volgare, che si ha quando l’uomo si innamora del corpo e dei piaceri della carne, approfittandosi dell’adolescente (9). Proprio per evitare che l’adulto si approfittasse del ragazzo sotto la sua guida, comportamento alquanto riprovevole e disdegnato dalla società dell’epoca, vennero create delle leggi apposite per tutelare i minori.  Nelle leggi ateniesi la pederastia era infatti definita:

“un fatto che poteva essere, a seconda dei casi, altamente formativo o estremamente pericoloso per i giovani; Atene si preoccupò di garantire, nei limiti del possibile, che la vita dei paides si svolgesse secondo regole che avrebbero impedito amori non educativi e volgari” (10).

L’antica Roma

Passando dall’Antica Grecia all’antica Roma, culture da sempre affini, non si può non notare un parallelismo anche nell’ambito dei rapporti tra adulti e ragazzi. Mentre nella cultura ellenistica la pederastia serviva per la crescita e l’educazione alla vita dei giovani fanciulli, nell’antica Roma la virilità di un romano, quale dominatore e conquistatore, si esprimeva sottomettendo giovani schiavi. Solamente in un periodo storico successivo, quando vi fu una contaminazione della cultura romana da parte di quella greca, vennero permessi anche i rapporti con ragazzi liberi e non più soltanto con schiavi (12).

Per fare un riferimento anche alla cultura orientale possiamo affermare che anche nell’antica Cina vi fosse l’esistenza di rapporti sessuali tra uomini e ragazzi. Al contrario dell’ideale greco, caratterizzato da ragazzi mascolini ed atletici, l’ideale cinese si orientava verso ragazzi dai lineamenti più femminili e delicati. Anche nella letteratura araba si fa riferimento ad atti sessuali tra uomini adulti e giovani ragazzi, prospettati come alternativa ai rapporti coniugali. In ogni caso, a prescindere dalla cultura che esaminiamo, troviamo un importanza fondamentale attribuita all’età del fanciullo, dato che una volta che il ragazzo cresce, passa la pubertà e raggiunge la maturità fisica di un adulto, perde il suo fascino (13).

Con il Cristianesimo

Con l’avvento del Cristianesimo tale forma di rapporti, ovvero rapporti omosessuali e la pederastia, vennero banditi e vietati, perché ritenuti peccaminosi ed offensivi. L’unico amore che fosse possibile era quello tra un uomo ed una donna. Il concetto di pedofilia e di abuso sessuale su minore rimase sconosciuto a molte epoche, dato che la violenza sui bambini non generava né sdegno né riprovazione. Solamente in seguito, con l’insorgere della famiglia borghese, il bambino venne visto come creatura a sé, preziosa e meritevole di tutela.

In conclusione vorrei citare l’avvocato penalista e professore di psicologia giuridica Guglielmo Gulotta, il quale afferma:

“Se la pedofilia come fenomeno ha dunque cause diverse (genetiche, biologiche, psico-sociali…), come problema ha soprattutto connotati sociali e culturali. La pedofilia è infatti sempre esistita come fenomeno, ma non sempre percepita ed etichettata come problema sociale” (14).

Note

  1. C. SCHINAIA, Pedofilia, Pedofilie. La psicoanalisi e il mondo del pedofilo, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, cit., p. 158.
  2. Cfr. G. DE LEO, V. CUZZOCREA, S. DI TULLIO D’ELIISIS, G. L. LEPRI, L’abuso sessuale sui minori, p. 231.
  3. Ibidem, p. 232.
  4. C. RYCROFT, Dizionario critico di psicoanalisi, Astrolabio, 1979, p. 126.
  5. Cfr. M. MONZANI, V. BANDIERA, Pedofilia e pericolosità sociale. La psicologia di oggi e il diritto penale di ieri: nuove proposte legislative, Istituto Universitario Salesiano, Venezia, 2017, pp. 106-111.
  6. Ibidem, p. 104.
  7. Cfr. A. DEODATO, A. CENCINI, G. UGOLINI, Le ferite degli abusi, Servizio Nazionale per la tutela dei minori della Conferenza Episcopale Italiana, pp. 39-41.
  8. Cfr. M. MONZANI, V. BANDIERA, Pedofilia e pericolosità sociale. La psicologia di oggi e il diritto penale di ieri: nuove proposte legislative, Istituto Universitario Salesiano, Venezia, 2017, pp. 96-97.
  9. Cfr. PLATONE, Simposio, Apologia di Socrate, Critone, Fedone, a cura di Savino, E., Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 2011.
  10. E. CANTARELLA, Secondo natura. La bisessualità nel mondo antico, Milano, Rizzoli, 1995, cit., p. 58.
  11. H. J. WEITBRECHT, Compendio di Psichiatria, Padova, Traduzione italiana Piccin, 1970, cit., p. 175.
  12. Cfr. M. MONZANI, V. BANDIERA, Pedofilia e pericolosità sociale, p. 98.
  13. Cfr. M. C. SETO, Pedophilia and Sexual Offending Against Children. Theory, Assessment, and Intervention, Seconda Edizione, p. 27. Per un approfondimento storico: pp. 27-30.
  14. G. GULOTTA, La scienza della vita quotidiana, Milano, Giuffrè editore, 1995, cit., p. 324.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

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Chiara Gaspari

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