Giubileo e Bolla d’indizione: lettura giuridica dei documenti pontifici che regolano gli Anni santi

giubileo

Lo scorso giovedì 9 maggio, il Romano Pontefice Francesco ha indetto il Giubileo Ordinario dell’Anno del Signore MMXXV, con la Bolla Spes non confundit, stabilendone l’inizio, la prosecuzione ed il termine, nella solenne celebrazione dei Secondi Vespri dell’Ascensione del Signore.

Con Giubileo ordinario si intende quell’Anno santo durante il quale la Chiesa Cattolica universale, per la potestà piena diretta ed immediata del Romano Pontefice concede la remissione dei peccati, la riconciliazione, la conversione e la penitenza sacramentale; è l’Anno nel quale sono elargite ai fedeli che si recano a Roma, a condizione di espletare determinate pratiche religiose, le indulgenze plenarie. Pratica iniziata da Bonifacio VIII nel 1300 con la Bolla Antuoquorum habet fida relatio [1] – del 22 febbraio – inizialmente era celebrato ogni cinquant’anni, ma poi quasi immediatamente tale scansione fu modificata quanto nel 1390 Urbano VI indice il Giubileo con la Bolla Salvator noster Unigenitus. Successivamente alcune fonti affermano che nel 1400 sia stato convocato un ulteriore Giubileo, anche se non abbiamo la Bolla a disposizione e dunque gli storici dubitano della veridicità [2], un ulteriore Anno santo fu celebrato nel 1423, ma di questo ancora non fu trovata mai la Bolla di indizione [3] e finalmente, con documento di indizione, il Giubileo ordinario del 1450 indetto dal Pontefice Nicolò V con la Bolla Immensa et innumerabilia. Dal 1450, i Giubilei cominciano ad essere celebrati con una regolarità di venticinque anni, tanto che il successivo fu indetto nel 1475 e di quest’ultimo abbiamo addirittura due Bolle, quella di Paolo II – Ineffabilis providentia – del 19 aprile 1470 e quella di Sisto IV – Quemadmodum operosi – del 29 agosto 1473, in vero quest’ultima solo confermativa della precedente [4].

Questioni terminologiche

Una prima riflessione va fatta in merito alla terminologia. In primo luogo il termine Giubileo; inizialmente non fu attribuito all’Anno santo alcun nome. Infatti, Bonifacio VIII chiama il primo anno di elargizione indulgenziale semplicemente annus centesimus, d’altro canto l’occasione iniziale secolare non poteva direttamente riferire questo nome alla medesima occasione del giubileo veterotestamentario che comunque – come Bonifacio VIII previde – seguiva un ritmo cinquantennale. Nonostante ciò lo stesso Pontefice nel testo che chiudeva il Giubileo del 1300 proprio a questo termine faceva riferimento nel dire declarat (…) Summus Pontifex quod annus iste Iubilaeus trecentesimus hodie sit finitus [5]. Pur vero è che il termine Giubileo, in quell’epoca aveva già ampliato il suo spettro semantico, come annota un’analisi dei testi di Isidoro, Vescovo di Siviglia, che sottolinea come il termine su menzionato, al di là della decorrenza cinquantennale, potesse richiamare anche solo simbolicamente l’accezione veterotestamentaria; non solo, il termine poteva significare anche un secolo – come inizialmente era nelle intenzioni di Bonifacio VIII – o un anniversario. Comunque è rilevante che già prima del 1300 talune concessioni indulgenziali furono indicate con il termine Iubilaeum [6]. Il primo ad utilizzare il termine nella forma aggettivale fu Clemente VI nella Bolla Unigenitus Dei Filius, con la quale indiceva il Giubileo del 1350, successivamente riconosciamo il termine solo cento anni dopo, con Nicolò V nella Bolla Immensa et innumerabilia. Al di fuori del richiamo diretto veterotestamentario, sicuramente il termine si afferma in maniera definitiva, ed in forma aggettivale, con le Bolle di indizione dell’Anno santo del 1475.

È nel 1500 che, invece, si afferma il termine sostantivato per come oggi lo conosciamo. Incomincia ad apparire al genitivo, accompagnato sempre dal termine annus, ma comunque aprendo la strada all’utilizzo del sostantivo. Definitivamente nel 1575 Gregorio XIII nella Bolla Dominus ac Redemptor noster utilizza il termine Sanctum Iubilaeum in riferimento non già solamente a quello che indiceva, ma anche a tutti quelli dei suoi predecessori.

Una sottolineatura anche per il termine Bolla. Con tale termine si fa riferimento ad una lettera del Pontefice, redatta con una forma determinata, in materia spirituale o anche temporale. Il nome, tecnicamente deriva dalla bulla, ovvero il sigillo apposto ad una capsula metallica e poi quello aureo o plumbeo pendente dalla lettera stessa, ovviamente sigillo del Romano Pontefice firmatario del documento.

Questioni temporali

L’attuale cadenza degli anni giubilari è fissata a venticinque. Tuttavia, questa determinazione normativa relativa al lasso di tempo che debba intercorrere fra un anno giubilare ordinario e l’altro – e si specifica che tale lasso riguarda esclusivamente i Giubilei ordinari, infatti è nella facoltà del Romano Pontefice indire Giubilei cosiddetti straordinari – è, in vero, tarda di almeno due secoli rispetto al primo Giubileo del 1300. Infatti, la cadenza venticinquennale è – in primis – quella con meno fondamento, seppure trova ampia giustificazione nella Bolla di Paolo II (1475), il quale stabilisce che pro veritate temporum e maxime pro salute animarum, la cadenza fosse ridotta a tempi più brevi, ovvero i venticinque anni ad oggi ancora in vigore [7].

Quella della cadenza è la prima questione che si pose: Bonifacio VIII stabilì l’elargizione indulgenziale – nella prima Bolla – per quell’anno, ovvero il 1300, e per tutto gli anni secolari – et in quolibet anno centesimo secuturo – dunque, di fatto ogni cento anni. Tale disposizione, rimarrà in memoria perpetua, al punto che anche successivamente alla riduzione dell’intervallo temporale, ogni giubileo centennale riporterà la menzione di quella Bolla primordiale, per così dire, che sanciva la cadenza dell’anno centesimo; si vedano per esempio le Bolle giubilari del 1500, del 1600 o del 1700 [8]. Tuttavia questa cadenza così significativa viene presto ridotta, per una sorta di clamore popolare che spinge il Pontefice Clemente VI ad intervenire e – da Avignone – citare nel 1350 proprio il “clamore del nostro popolo romano che supplica umilmente” come ragione dell’anticipo di mezzo secolo della celebrazione di una nuova elargizione indulgenziale [9]. In vero, tuttavia, una più attenta analisi della Bolla porta a sottolineare una ratio legis ben più contingente e concreta: il Pontefice aveva ben valutato che una così estesa cadenza avrebbe permesso a pochissimi di usufruire di tale grazia, propter vitae hominum brevitatem.

Successivamente, nella valutazione di Urbano VI – che indisse il Giubileo nel 1390 – vi fu una valutazione che pure ricalcava la  medesima ratio legis di Clemente VI, ma con una ulteriore considerazione: la brevità di vita dell’uomo doveva in qualche modo essere ricondotta al tempo di vita in terra del Figlio di Dio e dato che la Tradizione da sempre ha considerato questo tempo pari a trentatré anni, così pure l’intervallo temporale che doveva esserci tra una celebrazione e l’altra. Comunque, va sottolineato che lo stesso Urbano VI ritarda rispetto alla cadenza perché indice il Giubileo nel 1390 e non nel 1383, tuttavia nella Bolla Salvator noster Unigenitus stabilisce chiaramente che la cadenza sarebbe dovuta essere, d’allora in poi, di trentatré anni, in correlazione con il Natale del Signore. Questo, de facto, non si verificò comunque, ma ne abbiamo significativi indizi negli Anni straordinari del 1933 e 1983, Anni santi cosiddetti della redenzione seppure in più stretto riferimento ai fatti pasquali che a quelli natalizi [10]. Ad ogni buona ragione, la correlazione fra Giubileo e redenzione è ovviamente allacciabile più direttamente ai concetti di passione, morte e resurrezione, così come la dottrina indulgenziale è immediatamente connessa alla passione redentrice del Salvatore, il cui sacrificio è gradito al Padre al punto da riscattare l’umanità perduta nel peccato. Successivamente, come già detto, Paolo II nel 1450 ridurrà ulteriormente il lasso temporale di intervallo a venticinque anni.

Quanto alla durata del Giubileo, non v’è dubbio che si tratti di un anno, ciò che si può attenzionare giuridicamente, allora, non potrà che essere il computo dell’anno medesimo. Sin dal 1300 l’Anno giubilare ha inizio con il Natale dell’anno precedente a quello santo, computato ad annos Domini secundum ritum Romanae Ecclesiae. Dunque, come risulta evidente dalla Bolla specificatamente dal 25 dicembre 1299 al 25 dicembre 1300. Fra le altre cose, il documento del Natale del 1300 ribadiva che l’elargizione indulgenziale non si sarebbe estesa all’anno dell’incarnazione 1300 – che nel computo invece andava dal 25 marzo 1300 al 25 marzo 1301 – del rito della Chiesa [11]. A questa regola generale conosciamo delle eccezioni, due sono quelle citate del 1933 e del 1983, il primo con inizio il 2 aprile del 1933 e termine al 2 di aprile dell’anno successivo; il secondo invece, con inizio nella festa dell’annunciazione del 1983 – il 25 aprile – e termine nelle Pasqua dell’anno successivo, il 22 aprile 1984. Più recentemente ricordiamo l’Anno santo della Misericordia, indetto dal Pontefice Francesco, con inizio il 29 novembre 2015 e termine il 20 novembre 2016, straordinario come quelli della redenzione.

Le determinazioni relative all’inizio, comunque, furono da sempre molto dettagliate: i primi vespri della vigilia del Natale del Signore, così dal 1475. Un po’ meno dettagliata la chiusura che nelle Bolle dal 1475 al 1875 era specificata con un semplicistico “et ut sequitur, finiendo” [12]; fino al 1900 quando si specificherà il termine nei primi vespri della vigilia del Natale del Signore dell’anno successivo, ad opera di Leone XIII nella Bolla Properante ad extium saeculo e poi nella successiva di Pio XI Infinita Dei Misericordia [13] e così via.

Solo con la promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1917 si potrà abbandonare la prassi della meticolosa citazione dei termini dell’elargizione indulgenziale, essendo esplicativo di questi ultimi il can. 923, espressamente citato nelle Bolle di indizione del 1933 e del 1950. Significativamente questo canone estendeva i termini dal mezzogiorno precedente alla Vigilia di Natale alla mezzanotte del Natale dell’anno successivo.

La Porta Santa

Una menzione particolare, parlando di Anno santo, deve essere rivolta indubbiamente ad uno dei riti più esemplificativi: l’apertura della cosiddetta Porta santa. Come afferma il Montini, la prima menzione di questo rituale – più correttamente detto al plurale, cioè le Porte sante – è menzionato per la prima volta da Alessandro VI nella Bolla di indizione dell’Anno santo del 1500. Tuttavia è significativo che la menzione che il Pontefice ne fa non è di una prassi innovativa, quanto piuttosto di una pratica rituale già radicata. L’elemento, forse, significativo è piuttosto un altro: leggendo attentamente la Bolla [14] si nota che il Pontefice specifica che le Porte delle quattro Basiliche romane maggiori saranno aperte da “Noi stessi” alla presenza dei Cardinali e del Popolo di Dio. Questa affermazione lascerebbe intendere che quella pratica radicata relativa alle Porte, magari, non fosse sempre espletata dal Pontefice in persona, ma (forse) da un suo Legato. Non v’è dubbio comunque che già la pratica fosse in uso come indica l’espressione de more consuetas, utilizzata da Alessandro VI.

L’atto d’autorità di indizione

Potrebbe sembrare normale che il Giubileo fosse da sempre indetto con un atto solenne. Non è così: la tradizione ci dice che Bonifacio VIII si limitò a deporre la Bolla sull’altare della Confessione e ciò testimonia il dato per cui non vi era una solennità. Inoltre i primi Giubilei erano incominciati con una limitazione dei Pontefici a confermare le elargizioni indulgenziali con il sigillo pontificio, la bulla appunto, senza particolari solennità. Sarà solo Gregorio XIII nel 1575 ad utilizzare una solenne formula di indizione nella sua Bolla Dominus ac Redemptor noster, forse anche per ribadire la magnificenza della Chiesa dopo la Riforma e il Concilio di Trento. Ad ogni modo con la formula “Universo Christiano populo… indicimus” per la prima volta usa il verbo “indire” come riferimento ad un atto solennissimo di apertura dell’Anno di grazia per l’elargizione indulgenziale ordinaria. Questo fatto, indica giuridicamente un passaggio fondamentale, non solo per la solennizzazione, ma per la presa di coscienza che quell’atto di indizione è atto riservato alla sola autorità apostolica pontificia.

È interessante notare anche qualche particolare relativo alla data di indizione. Il Giubileo del 2025, indetto da Francesco ha come data quella della Solennità dell’Ascensione del Signore, con solenne lettura della Bolla nell’atrio della basilica Papale di San Pietro, da parte dal Decano dei Protonotari Apostolici de numero, come da tradizione iniziata dal Gregorio XIII per il Giubileo del 1575, ma successivamente non sempre rispettata. Tuttavia, non sempre l’indizione ha avuto tale datazione, perché la data di indizione subisce varie e molteplici variazioni. Il primo “caso giuridico” è quello della retroattività; casi di Giubilei indetti quando già erano in corso. Ciò è quanto si è verificato proprio nel primo, quello del 1300, con valore retroattivo dal 25 dicembre 1299, che di fatti fu indetto perché iniziato per acclamazione popolare. Altre occasioni – che potremmo definire prassi recenti per gli anni straordinari, come accaduto nel 1933 e nel 1983 – sono state le datazioni alla Solennità dell’Epifania del Signore del medesimo anno. In altre occasioni, come il Giubileo del Terzo millennio adveniente del 2000 i Pontefici hanno scelto la prima Domenica di Avvento.

L’Indulgenza

Discussa, contrastata nel corso dei secoli, certamente il fulcro del Giubileo è l’elargizione dell’Indulgenza concessa dal Romano Pontefice a chi espleta le opere pie di visita alle condizioni stabilite dalla Chiesa, delle basiliche romane maggiori. Parliamo di indulgenza plenaria, la cui dottrina – nella Chiesa – era ben strutturata già precedentemente all’indizione della prima elargizione del 1300.

Bonifacio VIII, nel 1300 scriveva “non solum plenam et largionem, immo plenissimam omnium suorum concedemus et  concedimus veniam peccatorum” [15]; e Francesco al n. 23 della Bolla Spes non confundit afferma “L’indulgenza, infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine misericordia fosse interscambiabile con quello di indulgenza, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini”.

Ora, in queste due espressioni che coprono simbolicamente l’arco temporale di tutti i secoli del Giubileo, si potrebbero leggere talune ambiguità, certamente, se si collega in modo esplicito o meno esplicito la remissione dei peccati ad effetto diretto dell’indulgenza. Così non è: la soluzione potremmo ritrovala proprio in quel n. 23 della Spes non confundit. Infatti, la cancellazione del peccato è effetto della confessione sacramentale – presupposto richiesto per l’acquisizione dell’indulgenza giubilare “vere poenitentes et confessi” – mentre, in quanto espressione della sconfinata misericordia del Padre che esprime la pienezza fruttifica del suo perdono, l’indulgenza cancella le pene temporali connesse al peccato e che sopravvivono alla cancellazione dello stesso da parte del Sacramento. Dunque, alla potestà apostolica pontificia è in potere di rimettere le pene, tramite l’elargizione indulgenziale plenaria legata all’Anno giubilare a condizione che il fedele abbia già acceduto (o acceda nell’immediatezza) alla cancellazione dei peccati che solo l’assoluzione sacramentale fa scaturire.

Pietro attinge questa potestà tanto suprema quanto sublime dal Tesoro della Chiesa, ovvero i meriti della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo, della Vergine Maria e dei Santi. Dunque, il Romano Pontefice con atto di giurisdizione piena diretta ed immediata, con l’indulgenza plenaria, elargisce la cancellazione della pena temporale per peccati già cancellati per quanto riguarda la colpa, che il fedele debitamente disposto e a determinate condizioni acquista per intervento della Chiesa la quale, come ministro della redenzione, dispensa e applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Gesù Cristo, della Madre di Dio e dei Santi. Il Pontefice – come Suprema Autorità della Chiesa – applica la sua potestà piena diretta ed immediata concedendo l’indulgenza a tutti i fedeli in vita, avendo giurisdizione sui viventi, mentre applica l’indulgenza ai defunti (sottratti ormai alla sua giurisdizione), pregando il Signore Gesù Cristo di accogliere l’offerta dei meriti soddisfattori Suoi propri, della Vergine e dei Santi, affinché le anime purganti abbiano la remissione delle pene. La condizione assolutamente imprescindibile, comunque, resta quella del distacco dal peccato incessantemente ripetuta sin dalla Bolla del 1300 con la formula vere poenitentes et confessi.

Giubileo ed indole ecumenica

Un’ultima considerazione, a nostro dire significativa, riguarda l’indole ecumenica del Giubileo.

Indubbiamente, la potestà petrina riguarda tutti i fedeli in piena comunione con la Chiesa cattolica, tuttavia l’affermazione di Romanità intrinseca al Giubileo, non può non richiamare la mente all’amara scissione che la Cristianità ha subito, alla divisione di tutti coloro che credono in Cristo. Non è un caso che in ogni Bolla di indizione dell’Anno santo, a partire dal XVII secolo – successivo appunto al secolo della Riforma – non manchi un accenno all’auspicato ritorno dei fratelli separati [16]; quasi a dire che la gioia di un Giubileo sia in qualche modo turbata dal fatto che non tutti i credenti in Cristo possano godere della grazia della elargizione concessa in quel periodo dalla Chiesa Cattolica e la stessa pratica del pellegrinaggio: il cammino verso Roma, la sede di Pietro, intende (forse) significare in qualche modo questo moto di persuasione che possa spingere ad un ritorno al seno della Chiesa Cattolica.

È bello attribuire, allora, al Giubileo – fra i suoi significati – anche quello di una speranza di riconciliazione per così dire allargata, che già auspicò Pio XI nel 1925, ovvero che se non tutti, almeno molti potessero fare ritorno nell’abbraccio della Chiesa Cattolica così da godere a pieno della grazia elargita in quello e nei successivi Anni santi.

Ma ancora, come il Pontefice Francesco esorta al n. 9 della Spes non confundit, che il Giubileo sia anche occasione perché la Comunità Cristiana tutta sia ancora unita, ed unita sia segno di speranza inclusiva e non ideologica, seconda a nessuno. Ben cinque numeri – dal 10 al 15 – della Bolla sono rivolti dal Pontefice non già solo ai Cattolici, ma a tutta la Comunità Cristiana, richiamando al cuore della nostra fede (n.20), al di là di ogni frattura: Gesù Cristo morto e risorto.

Note bibliografiche

[1] cfr. c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[2] cfr. P. Brezzi, Storia di Anni Santi, Milano 1949, 68.

[3] cfr. Ivi, 74.

[4] cfr. c.4, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[5] c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[6] cfr. Etymologiarum sive Originum libri XX, V, c. 38, p.1.

[7] cfr. G.B. Montini, I Giubilei nelle bolle pontificie di indizione, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, XI (1998), 125.

[8] cfr. Ivi, 123.

[9] cfr. c.2, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[10] il concetto è meglio spiegato in G.B. Montini, I Giubilei, 123-125.

[11] cfr. c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[12] Si fa qui riferimento alla Bolla Quod hoc ineunte saeculo di Leone XIII.

[13] in AAS, XVI (1924), 209-215.

[14] Inter curas multiplices.

[15] c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[16] cfr. G.B. Montini, I Giubilei, 148ss.

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui è iscritto ai corsi per la Licenza. Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano. Dal 4 luglio 2024 è membro dell'Arcisodalizio della Curia Romana.

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