Andrea di Bonaiuto, Innocenzo VI, Simone Saltarelli, Arcivescovo di Pisa, Michele da Cesena e Guglielmo da Occam, cappella degli Spagnoli del convento di Santa Maria Novella, Firenze
Negli ultimi tempi da parte del legislatore si è assistito ad una notevole e ingente produzione normativa: Motu Proprio, Costituzioni apostoliche, riforme del codice, ecc. Tale iper produttività sembra orientarsi verso una concezione suareziana [1] della norma in cui il rilievo è posto sull’obbligatorietà (praeceptum) [2] della legge, la quale presuppone semplicemente la volontà del legislatore di introdurre nell’ordinamento nuove norme (sufficienter promulgatum), anche giusta quanto disposto dal laconico can. 7 del CIC [3]. Il rischio concreto è che da tale concezione si slitti in una vera e propria deriva schopenhaueriano-nietzschiana [4] del diritto, in cui l’unica cosa che conta è la volontà di potenza giuridica di colui che emana le norme: una specie di neo-positivismo [5] applicato all’ordinamento canonico.
Motu Proprio come indice di una certa tendenza positivistico-volontarista
A riprova di ciò si può ancora ricordare come l’inflazionato strumento legislativo del Motu Proprio, per sua stessa definizione [6], ponga in forte rilievo la capacità del legislatore di produrre norme basandosi semplicemente sulla propria mera volontà sorgiva: verrebbe da dire che è sufficiente il “quod principi placuit habeat vigorem legis” [7]. Motu proprio, infatti, indica il moto interiore della voluntas del legislatore in ordine alla produzione ed edizione delle norme. La volontà del legislatore diventa produttiva di enti giuridici, quasi capovolgendo i capisaldi dell’ontologia classica per cui all’agitur sequitur esse, si sostituisce l’esse sequitur velle.
Il requisito della razionalità della norma come correttivo
Tuttavia, in un sistema come quello canonico, in cui il rispetto della formalità giuridica [8] nella produzione delle norme non è mezzo sufficiente per temperare la forza produttiva del legislatore, l’unico rempart del sistema canonico è il suo ancoraggio nella razionalità della norma. San Tommaso, infatti, permeando di contenuti teologici e filosofici il diritto, definiva la legge come: “Ordinatio rationis ad bonum commune, ab eo qui curam communitatis habet promulgata” [9] (S. Th., I-II, q. 90, a.4). In questa definizione, dunque, si pone in modo marcato e corretto l’accento sulla razionalità intrinseca che la legge deve avere (ordinatio rationis).
L’ordinamento canonico, infatti, proprio perché -pur essendo di questo mondo e per questo mondo- si innesta nell’orizzonte divino dell’economia salvifica [10], non può che essere ancorato in quella razionalità che discende all’uomo da Dio creatore e rivelante. Questo significa che tutto l’ordinamento giuridico canonico dev’essere permeato di razionalità naturale e divina. E tale razionalità, proprio perché quello canonico è ordinamento meno soggetto agli alea del tempo presente e ai mutevoli influssi delle contingenze storiche, implica una certa “eleganza” nella produzione delle norme, a cui bene si può applicare il noto principio: entia [etiam iuridica] non sunt multiplicanda praeter necessitatem [11].
La razionalità giuridica comporta l’armonia e l’organicità dell’ordinamento canonico
Inoltre, la razionalità intrinseca del sistema richiede anche l’organicità; la quale a sua volta richiama la ponderatezza nell’emendazione di sitemi e istituti giuridici: solo la riflessione esperta dei periti del diritto nel confronto con il legislatore può condurre a pensare riforme davvero improntate ad una logica di coerenza e armonia, non solo intra-codiciale, ma dell’intero ordinamento canonico sia nel suo aspetto diacronico che sincronico. Tout se tient! si dovrebbe poter esclamare. L’armonia, infatti, è indice e garanzia di vitalità dell’ordinamento stesso.
Il codice nasce, appunto, con questo afflato razionale di organicità, armonia e sistematizzazione, di modo che dietro ad ogni canone, e dietro all’impostazione dell’intero Corpus iuris canonici, ci sia un precipitato storico che pur recando con sé un patrimonio dottrinale e normativo vecchio di duemila anni, risulta imbricato armoniosamente a formare un tutto, normativo e giuridico, coeso e adattato alle esigenze del presente della vita ecclesiale. Un tutto ancipite: con un volto rivolto al passato ed uno che guarda al futuro: la Chiesa, infatti, è corpo che si dipana nello spazio e nel tempo, lungo i secoli e attraverso tutto il mondo.
Un’unica lingua per un unico ordinamento
A tacer d’altro, la razionalità richiede anche uniformità di linguaggio e di lingua: il latino nonostante la difficoltà di essere un’idioma d’élite rimane lo strumento linguistico per eccellenza del canonista, per cui risulta assai disagevole emanare nuove norme che non siano in tale lingua: si viene, infatti, a creare una certa disomogeneità nel linguaggio tecnico del giurista che potrebbe comportare non piccoli problemi di interpretazione delle norme, soprattutto in sede giudiziale.
La cattedrale o le Summae come immagine del dover essere dell’ordinamento canonico
Un ordinamento giuridico come quello canonico non può essere, dunque, irrazionale, disarmonico e a-sistematico ma deve assomigliare proprio a quelle cattedrali che si andavano edificando nel Medioevo di pari passo con quelle Summae, di cui San Tommaso è certamente il massimo esponente: la cattedrale, infatti, proprio come una Summa, è un insieme architettonico coeso e armonioso, costruito per dare casa all’uomo che cerca Dio, orientata al cielo da cui è come idealmente trascinata verso l’alto. Così l’ordinamento canonico. Proprio perché la fonte dell’ordinamento è il cielo e verso il cielo conduce, è chiaro che ogni produzione giuridica per essere veramente razionale, dev’essere il frutto di una previa elaborazione teologia e dottrinale: il diritto canonico è l’ultima delle discipline ecclesiastiche chiamata a recepire le esigenze degli sviluppi teologici [12]; non può esso stesso risolvere problematiche eminentemente teologiche attraverso la produzione di norme [13].
Un rasoio giuridico per riordinare l’ordinamento canonico
Ciò detto, appare quanto mai necessario il ricorso ad una vera razionalità che nasca dalla teologia, e che ponga mano ad un vero e proprio rasoio giuridico di occamiana memoria [14] volto a sfoltire e riordinare il groviglio di norme giuridiche che si sono andate affastellando negli ultimi tempi.
Note
[1] Cfr. Valdrini P., Legiferare nella Chiesa, a 50 anni dall’istituzione della Consociatio, in: https://www.voxcanonica.com/2023/11/17/prof-valdrini-legiferare-nella-chiesa-a-50-anni-dallistituzione-della-consociatio/
[2] N.B. La definizione di legge di Suarez è la seguente: “Lex est commune praeceptum, iustum ac stabile, sufficienter promulgatum” (“la legge è il precetto comune, giusto e stabile, sufficientemente promulgato”) (De legibus, I, 12).
[3] Can. 7, CIC: “Lex instituitur cum promulgatur” (“la legge è istituita quando è promulgata”).
[4] Cfr. Schopenhauer A., Il mondo come volontà e rappresentazione, La Nuova Italia, Scandicci (Firenze), 1998, pp. 184-194. Inoltre, cfr. Boni G., Il potere del Papa: servizio alla trasmissione della fede, in: https://lanuovabq.it/it/il-potere-del-papa-servizio-alla-trasmissione-della-fede
[5] Cfr. Kelsen H., Reine Rechtslehre, Studienausgabe der 2. Auflage 1960, Moher Siebeck/Verlag Österreich, Tübingen/Wien, 2017, pp. 346-SS.
[6] Cfr. def. “Si tratta di documenti di carattere legislativo, atti al riordino di istituti giuridici” in Cives M., Gli atti del Romano Pontefice, in: https://www.voxcanonica.com/2023/12/22/gli-atti-del-romano-pontefice/
[7] Cfr. Boni G., Il potere del Papa: servizio alla trasmissione della fede, in: https://lanuovabq.it/it/il-potere-del-papa-servizio-alla-trasmissione-della-fede
[8] N.B. Nei sistemi giuridici di diritto positivo la procedura formale di produzione delle norme è il mezzo ordinario – insieme ad un eventuale controllo di costituzionalità – con cui si controlla e argina la volontà produttiva di norme del legislatore.
[9] “[la legge è] disposizione di ragione tendente al bene comune, promulgata da colui sul quale incombe la cura della comunità”.
[10] Come stabilito dal principio: salus animarum suprema lex esto, espresso in forma esplicita al can. 1752 a chiusura di tutto il CIC del 1983.
[11] Cfr. l’affermazione di Occam “Si fa inutilmente con molte cose ciò che si può fare con poche cose”, Guglielmo di Ockham, In libros Sententiarum, cit., d. 14, q. 2, p. 430; tr. it in Scritti filosofici, a cura di Ghisalberti A., Firenze, 1991, p. 19.
[12] Cfr. Gherri P., Introduzione critica alla teologia del diritto canonico, Giappichelli, Torino, 2019, pp. 199-200.
[13] N.B. Del resto si pensi alla tecnica formale della redazione dei testi dei concili: i canoni normativi sono sempre posti in calce alla previa elaborazione teologica. Ed ancora, non a caso si considera il CIC del 1983 come l’ “ultimo dei libri del Concilio”: non perché ne sia l’ultima elaborazione formale, ma perché in esso, in veste giuridica e in ultima istanza, si recepiscono tutte le innovazioni e le elaborazioni conciliari.
[14] N.B. “ebbene sia vero che il principio del rasoio non si trova enunciato in nessuno degli scritti di Guglielmo, si possono trovare affermazioni come “La pluralità non deve mai essere postulata senza necessità”, che ricorre nella sua opera teologica Quaestiones et decisiones in quattuor libros Sententiarum Petri Lombardi. Occam dunque non formulò per primo questo principio, ma l’idea del rasoio, e l’associazione al suo nome potrebbe essere dovuta alla frequenza e all’efficacia con cui lui lo ha usato. Il principio novacula Occami venne citato come tale per la prima volta nel libro del 1649 Philosophia Christiana de Anima di Libert Froidmont, circa tre secoli dopo la morte di Occam, avvenuta nel 1347. Il principio logico del rasoio di Occam riemerse dunque in un momento opportuno, durante gli albori dell’illuminismo, in un periodo in cui le teorie filosofiche e scientifiche si sviluppavano con l’uso eccessivo di varianti e di possibili diramazioni nella complicazione dimostrativa; in tale contesto il rasoio di Occam semplificò tutto. Occam sembra aver affermato il principio in vari modi, ma la versione più popolare, «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.» «Non bisogna moltiplicare gli elementi più del necessario.» è stata formulata dal filosofo francescano irlandese John Punch nel suo commento del 1639 alle opere di Duns Scoto”, in https://it.wikipedia.org/wiki/Rasoio_di_Occam#cite_note-8.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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