Seguace di Vittore Carpaccio, scena religiosa con un giovane chierico e altre figure sotto un portico, penna e inchiostro
Introduzione
Questo contributo vuole essere una breve riflessione sulla condotta dei superiori nei confronti dei membri degli Istituti religiosi. Molti religiosi oggi si lamentano del comportamento arbitrario dei loro legittimi superiori. Una lettura attenta del canone 618 è necessaria per capire quale debba essere la condotta dei superiori. Il nostro contributo si divide in tre punti: approccio definitorio al termine superiore, la formulazione del canone 618 e la condotta del superiore nei confronti dei membri dell’Istituto.
Approccio definitorio al termine superiore
Il Codice tratta dei superiori nei canoni 617-630, descrivendone la figura, il compito, l’autorità e la designazione. Per superiore, in senso stretto, si intende la persona fisica o il religioso che, in virtù del suo ufficio, esercita la potestà ordinaria, propria e vicaria all’interno dell’Istituto secondo il diritto universale e proprio. Negli Istituti clericali di diritto Pontificio, i superiori hanno anche una potestà di giurisdizione, che varia a seconda del grado. Il nome dato al termine superiore varia da un Istituto all’altro.
Il can. 618
Il canone 618 del CIC 1983 è una riproduzione identica del canone 544 del Codex del 1917, (schema 805 del lavoro di revisione del Codice). Infatti, il canone 618 riprende il numero 14 della Perfectae caritatis. La formulazione del canone 618 appare fluida; lo stile di questo canone è più quello di una forte raccomandazione mista a un richiamo, a un sacro dovere finale. Il primato della persona umana e la salvaguardia dell’autorità dei superiori ne costituiscono il contenuto.
La condotta dei superiori nei confronti dei membri dell’Istituto
Seguendo la struttura del canone 618, il Gambari ne individua i punti principali: la fonte dell’autorità; l’ufficio del superiore come servizio; il suo comportamento nei confronti dei religiosi e infine la salvaguardia del suo potere di agire. Gli elementi pastorali prevalgono su quelli giuridici. Il ministero della Chiesa deriva dalla volontà di Dio e, consapevole di questo, ogni superiore compirà il suo dovere come servizio reso alla comunità e quindi a Dio.
Nella ricerca della volontà di Dio, la persona umana occupa l’intero centro dell’azione del superiore. È allora che il precetto diventa vita. Ma ogni atteggiamento pastorale non deve mettere in ombra l’autorità del superiore. In modo chiaro, il canone 618 enumera i doveri dei superiori nell’esercizio della potestà di governo, e possiamo vedere gli elementi chiave con cui il Legislatore caratterizza l’essere ‘superiori’.
Tutta la storia della salvezza consiste nel fatto che la persona umana diventa libera e, sulla base di questa libertà, è in grado di agire responsabilmente. Consapevole di questi parametri, il supremo Legislatore incoraggia la collaborazione responsabile dei membri degli Istituti di vita consacrata con la stesura del presente canone. Per questo motivo inizia mettendo le cose in chiaro, spiegando la nuova concezione del potere di governo: è un potere che viene da Dio. Per questo motivo, viene esercitato rigorosamente in spirito di servizio. La persona umana è al centro dell’attenzione dei superiori.
Conclusione
Il superiore esercita una funzione di guida, egli non viene scelto in funzione dei suoi titoli, la sua carica è un servizio reso all’Istituto in nome di Dio. Per cui, il Gambari scrive: «È importante notare che il superiorato non è un diritto acquisito per titoli personali […]. La qualifica di servizio caratterizza l’autorità religiosa come ogni autorità nella Chiesa e ne informa il contenuto, le finalità e l’esercizio». Il superiore deve avere una condotta esemplare nei confronti dei religiosi. Il potere dei superiori si trasforma in servizio per promuovere il dialogo e il bene comune dell’Istituto. I superiori ecclesiastici, e quelli religiosi in particolare, hanno una responsabilità speciale.
Se da un lato hanno la responsabilità di esigere l’osservanza della legge da parte di coloro che sono loro affidati, dall’altro devono soprattutto dare l’esempio, sapendo che anche loro sono tenuti all’obbedienza, che non possono agire in modo arbitrario o anarchico: l’esercizio del loro potere è soggetto alla legge. In modo che l’esercizio del potere, sarà esercitato in modo da suscitare nei loro membri un’obbedienza volontaria e, di fatto, una collaborazione per il bene dell’Istituto e di tutta la Chiesa.
Bibliografia
Beyer J., Il diritto della vita consacrata, Àncora, Milano, 1989.
Calabrese A., Istituti di vita consacrata e società di vita apostolica, 2ed., Libreria Editrice Vaticana, Città del Vaticano, 1997.
Communicationes 12 (1980).
Gambari E., Vita religiosa secondo il concilio e il nuovo diritto canonico, Edizioni Monfortane, Roma, 1985.
Gambari E., I religiosi nel codice commento ai singoli canoni, Àncora, Milano, 1986.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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