Prof. Valdrini: per riflettere a 50 anni dall’istituzione della “Consociatio” un Convegno di studi a Roma
Il prossimo 1 dicembre si terrà a Roma il convegno organizzato dall’Associazione Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo, dal titolo “Cinquant’anni di Promozione del Diritto Canonico nel panorama mondiale della Scienza Giuridica”.
L’appuntamento
Il Convegno, che si svolgerà in un’unica giornata venerdì 1 dicembre alle ore 9.30 presso la Sala del Consiglio Nazionale delle Ricerche – Sala Marconi Piazzale Aldo Moro 7 a Roma, nasce per commemorare i cinquant’anni di attività dell’illustre Associazione.
Questa importante istituzione in questi anni ha inteso approfondire e diffondere lo studio del diritto canonico e del diritto statale relativo alla Chiesa Cattolica e ad altre Chiese e comunità ecclesiali, mediante incontri, seminari particolari e internazionali e molteplici pubblicazioni con il fine precipuo di agevolare la collaborazione scientifica e didattica fra gli studiosi nell’esprimere la loro opinione sulle prospettive della canonistica contemporanea, sul suo contributo per il dialogo tra culture diverse e sul suo posto nella formazione dei giuristi.
La parola all’esperto
Pertanto, per comprendere al meglio questo importante evento abbiamo posto qualche domanda al professore Patrick Valdrini, che è stato Rettore dell’Università Cattolica di Parigi (Institut Catholique de Paris), poi professore ordinario e Prorettore della Pontificia Università Lateranense, già Presidente dell’Associazione Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo, già docente di Diritto Canonico nell’Università degli Studi di Napoli Federico II, (attualmente canonico del Capitolo della Basilica di San Giovanni in Laterano), nonché uno degli organizzatori dell’evento e che ringraziamo per il tempo che ci ha dedicato.
Come nasce l’idea dell’evento del 1° dicembre 2023? Quali i temi che verranno trattati in questa giornata?
Si tratta di un anniversario. La Consociatio internationalis studio iuris canonici promovendo è stata fondata nel 1973. Professori di diritto ecclesiastico e di diritto canonico si riunirono all’Università La Sapienza, dopo l’esperienza di un primo congresso tenutosi presso l’ateneo nel 1970. Decisero di creare un’associazione con lo scopo, come indicato nei primi statuti, di diffondere e sviluppare gli studi di diritto canonico e del diritto statale riguardante la Chiesa cattolica e le altre chiese o comunità ecclesiali.
Per raggiungere questo scopo, si volevano riunire le forze vive della canonistica dell’epoca con le sue varie tendenze, scuole e orientamenti. Di conseguenza, l’obiettivo della giornata di studio organizzata il 1° dicembre è duplice: da un lato, fare un rapido bilancio di questa “avventura culturale”, concentrandosi sui 17 congressi che la Consociatio ha organizzato; dall’altro, dare la possibilità a studiosi di esprimere la loro opinione sulle prospettive della canonistica contemporanea, sul suo contributo per il dialogo tra culture diverse e sul suo posto nella formazione dei giuristi.
Professor Valdrini, sono passati quarant’anni dalla promulgazione del Codice. Che cosa ha significato la sua pubblicazione?
L’età avanzata della persona che sta interrogando gli permette di menzionare il fatto che ha studiato diritto canonico sulla base degli schemi del futuro codice del 1983, come e quando sono stati pubblicati. Ho difeso la mia tesi di dottorato all’Università di Strasburgo nel maggio 1983, pochi mesi dopo la promulgazione del Codice. La parte che trattava il mio argomento era cambiata tra l’ultimo schema del 1982 e il testo promulgato. È stato un momento appassionante perché abbiamo potuto vedere come le commissioni, avendo davanti agli occhi il Codice del 1917, cercavano di trasformarlo per incorporare le ispirazioni e le dichiarazioni del Concilio Vaticano II e per tener conto dell’esperienza acquisita dalla Chiesa cattolica nel corso del XX secolo.
Avevamo insegnanti che spiegavano e criticavano gli schemi, e abbiamo visto in prima persona quanto fosse difficile redigere un testo quando c’erano tante opinioni, comprese quelle dei nostri insegnanti, e tanti approcci diversi. Abbiamo compreso che il Codice promulgato era una “Parola” specifica, di natura giuridica, con carattere vincolante e, per molti elementi, provvisoria, di ciò che la Chiesa dice di sé stessa e del modo in cui esercita le sue funzioni.
Quali sono state, in estrema sintesi le novità apportate dal Codice del 1983?
Una risposta non può che essere il risultato di un’estrema sintesi. Si dice spesso che il Codice del 1983 abbia profondamente modificato il Codice del 1917. Ma non tutto però. Soprattutto la sua struttura si è evoluta per riflettere i cambiamenti contenuti nel Concilio Vaticano II. Vorrei sottolinearne uno che ha più a che fare con la prospettiva generale che con gli elementi specifici della legislazione. Il Codice del 1983 ha riscoperto la dimensione profondamente comunitaria della Chiesa, in linea con la Lumen gentium 8.
Vedo in questo un’illustrazione del contributo fondamentale dell’ecclesiologia (purtroppo non del diritto canonico) della fine dell’Ottocento e del Novecento, che ha rimesso progressivamente la Chiesa al posto giusto nel mondo e nelle società. La Chiesa non è un mondo a parte, una società che si organizza con e per i suoi membri. È altra. Ha il carattere apocalittico di realizzazione già e non ancora compiuta della “comunione” che nasce dalla fede ascoltata e vissuta in Dio, in un mondo che deve leggervi il proprio significato e la propria ragion d’essere. Il diritto canonico è al servizio di questa legittimità istituzionale.
In questi ultimi anni ci sono stati più interventi che hanno modificato alcune parti del Codice. È stata una normale evoluzione o c’era qualcosa che andava aggiornato o lacune che andavano colmate?
La legge nasce, vive e muore: questo è il principio che insegniamo nel corso sulle Norme generali. L’evoluzione del diritto canonico dalla sua promulgazione è più che normale. Nel sistema canonico, come emerge dalla tradizione, essa segue soprattutto le richieste di interpretazione da parte di coloro che devono applicare la legge, giudici e amministratori. Essi vedono la più o meno non corrispondenza della legge alle esigenze delle comunità e al bene delle persone, mentre fanno di tutto per applicarla in casi concreti. All’interno dell’attività del legislatore, questo modo, al quale si aggiunge il ruolo fondamentale della dottrina, è quello che Lei dice “normale” dell’evoluzione del Codice.
Qual è il metodo legislativo di Papa Francesco?
L’enfasi, ormai costante, sul principio di sinodalità avvicina Francesco alla concezione della legge dovuta a san Tommaso, che la considera un oggetto razionale (la famosa rationabilitas). Il modo in cui legifera – e lo fa abbondantemente – lo avvicina anche, forse soprattutto, alla concezione suareziana della legge, come espressione della volontà del legislatore. Consultazioni sono menzionate a volte nei preamboli delle leggi, ma sono discrezionali. Di fatto, Francesco emana leggi, e talvolta ne orienta l’applicazione, dando un posto importante all’autore della legge. Questo aspetto emerge molto, ad esempio, nella Costituzione apostolica In Ecclesiarum communione circa l’ordinamento del Vicariato di Roma del 2023.
Quale contributo può offrire il codice di diritto canonico in questa stagione ecclesiale che vede lo stile sinodale al centro della missione della chiesa?
I canonisti hanno un modo particolare di contribuire alla missione della Chiesa portando la loro esperienza istituzionale, che deriva tanto dalla conoscenza della tradizione giuridica propria della Chiesa, quanto dalla conoscenza del modo in cui le società sono organizzate, cioè dei diritti statali. Sono giuristi. I canonisti pensano in termini di “istituzione”, cioè, tra l’altro, a come sono organizzati e rispettati i doveri e i diritti della Chiesa stessa e delle persone. Adottare uno stile sinodale significa dare il suo posto al diritto canonico.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA