Monsignor Fernando Ocáriz, prelato dell’Opus Dei, foto ©acistampa
Lo scorso 8 agosto il Supremo Legislatore, con un motu proprio che faceva seguito a precedenti modifiche, iniziate nel 2019, ha emanato nuove norme in modifica dei cann. 295-296 C.J.C. circa le prelature personali. Tre le novità fondamentali: l’assimilazione alle Associazioni clericali di diritto pontificio, l’impossibilità per i fedeli di ritenersi esclusi dalla potestà dell’Ordinario del luogo del domicilio o quasi domicilio, il richiamo al carisma iniziale e alle intenzioni del fondatore come linea di verifica per le attività dell’Associazione, a prescindere dal ruolo e dal grado gerarchico del Moderatore.
Le prelature personali nel Codice di Diritto Canonico
Per prelatura personale, nell’Ordinamento canonico, intendiamo una struttura gerarchica ed anche pastorale della Chiesa, di carattere secolare e gerarchico, erette dalla Santa Sede per la realizzazione di peculiari attività pastorali, come ha stabilito il Concilio Vaticano II [1]. La prima peculiarità che immediatamente si nota, osservando le norme circa tali particolari strutture è, indubbiamente, la collocazione all’interno del Codice di Diritto Canonico. Infatti, esse, non sono collocate all’interno della seconda parte del Libro II, giustappunto dedicato alla costituzione gerarchica della Chiesa, ma piuttosto nella prima, ovvero la parte concernente i fedeli.
La scelta dei redattori del Codice sottolinea indubbiamente due caratteri fondamentali: il primo, una mancanza di corrispondenza e giuridica e canonica tra la prelatura personale e la Diocesi; il secondo, le prelature personali sono certamente delle strutture gerarchiche della Chiesa, ma non assimilabili alle Diocesi così come intese dal Legislatore, in quanto manchevoli dell’elemento fondamentale e fondante delle stesse, pertanto restano delle strutture giurisdizionali e gerarchiche erette dalla Santa Sede per il perseguimento di fini pastorali propri, così come inteso dal Concilio.
A tal proposito, bisogna considerare che, oltre alle Chiese particolari, esistono nell’ambito dell’organizzazione gerarchica della Chiesa, altre istituzioni e comunità erette dalla Sede Apostolica, per il conseguimento di peculiari finalità pastorali. Queste, in quanto tali, appartengono alla Chiesa universale, anche se i loro membri sono contestualmente membri delle Chiese particolari in cui vivono e operano [2].
I documenti conciliari
La collocazione sistematica nel Codice certamente non esime tali strutture da una doppia posizione: da un lato la indiscussa eterogeneità rispetto alle altre materie che si trattano nella parte I del libro II e dall’altra i dubbi in una parte della dottrina canonistica sulla natura delle circoscrizioni ecclesiastiche delle prelature personali. Aspetto quest’ultimo anche secondario, in vero, perché la vera natura di un’istituzione si deduce dalle norme sostanziali che la regolano. D’altronde anche nel caso delle prelature personali è indispensabile considerare le previsioni del Concilio Vaticano II per comprendere le norme del Codice che le regolano. Il Concilio ha postulato, insieme ad altre figure la prelatura personale: un tipo peculiare di prelatura – peculiare rispetto alle prelature nullius, che erano le uniche esistenti allora – per facilitare, per motivi di apostolato, “non solo una più adeguata distribuzione dei presbiteri, ma anche la realizzazione di peculiari opere pastorali, a favore di diversi gruppi sociali, in una regione o nazione e anche in tutto il mondo” [3].
Sembrerebbe dunque abbastanza pacifico, anche confrontando quanto affermato dal n. 10 di Presbyterorum Ordinis con quanto affermato dalla nota 74 del n. 27 del Decreto Ad Gentes, che le prelature fossero considerate altro rispetto alle Diocesi, infatti sempre citate come “Diocesi e prelature personali”, mai omologate, affermare che la finalità della prelatura personale stessa fosse null’altro che il corretto raggiungimento di fini pastorali altrimenti irraggiungibili in altra modalità, in base al modo ordinario di organizzarsi.
Una ‘inesatta’ equiparazione?
La legislazione successiva, invece, in un certo qual modo ha voluto assimilare le prelature alle Diocesi. Infatti, il contenuto dei canoni del Codice sulle prelature personali tratto dal n. I, 4 del Motu proprio Ecclesiae Sanctae, dell’8 agosto 1966 ha fornito la struttura giuridica fondamentale e tale struttura sembra equiparata alla Diocesi. La Costituzione apostolica Regimini Ecclesiae Universae al n. 49, I, poi, ha sottolineato anche l’indole propria delle prelature personali come strutture gerarchiche ordinarie, nell’assegnare alla Congregazione per i Vescovi (oggi Dicastero) la competenza sui tramiti necessari per erigerle e per la nomina del Prelato, nel contesto delle altre strutture di questo tipo: diocesi, ordinariati militari, etc. La Costituzione apostolica Pastor Bonus mantiene, in fine, l’assegnazione di queste competenze allo stesso Dicastero, come specificato nell’art. 80.
L’erezione della Prelatura dell’Opus Dei
Senza ombra di dubbio non si può omettere un accenno all’unica prelatura personale esistente nella Chiesa Cattolica: la prelatura della Santa Croce Opus Dei. Questa fu eretta dal Pontefice Giovanni Paolo II il 28 novembre del 1992; dunque, confrontando l’erezione della prelatura con l’iter di formazione del nuovo Codice di Diritto Canonico, possiamo facilmente recuperare i dati che seguono. La prelatura fu eretta quando il Codice era allo studio diretto del Supremo Legislatore e quando, le previsioni normative sulle prelature personali erano già inserite all’interno della parte II del Libro II, assieme ai canoni concernenti le costituzioni gerarchiche della Chiesa. Fu solo nel dicembre del 1982, dunque dopo l’erezione dell’Opus Dei, che si decise di traslare i canoni sulle prelature personali dalla II alla I parte del Libro II, ove si tratta dei fedeli in genere.
Rebus sic stantibus, al di là di ogni dietrologia presunta, ciò che giuridicamente rileva ai fini di una corretta interpretazione giuridica della natura dell’Opera, risulta di estremo valore la lettera che, ex audientia Sanctissimi, il Prefetto del Dicastero per i Vescovi ha prontamente inviato al Prelato neoeletto, in cui, in tre punti si specifica che:
- Le prelature personali, in specie l’Opus Dei, non sono Chiese particolari. Esse sono strutture giurisdizionali a carattere secolare gerarchico erette dalla Sede Apostolica.
- Le prelature seguono quanto prescritto dall’art. 41 §1 della Costituzione Regimini Ecclesiae Universae e dunque non è compromessa la dispensa dal Dicastero.
- Nella validità di ogni atto emesso dalla Santa Sede, la prelatura persegue come fine unicamente quello di natura pastorale.
Non solamente una portio populi Dei
Pur rimanendo, quindi la struttura Prelato clero fedeli, la prelatura è manchevole dell’elemento della territorialità, fondamentale per la Chiesa particolare, elemento quest’ultimo che non si riduce semplicemente ad una questione geografica e/o antropologica, quanto piuttosto a determinare la natura stessa di una Chiesa. Infatti, Perché si possa raggiungere il fine proprio della Diocesi è necessario che nel popolo di Dio ad essa appartenente si manifesti chiaramente la natura della Chiesa; che i Vescovi possano in essa compiere efficacemente i loro doveri pastorali; che finalmente si possa il più perfettamente possibile provvedere al bene spirituale del popolo di Dio. Ciò comporta non solo una conveniente determinazione dei confini territoriali della Diocesi, ma anche una razionale distribuzione del clero e dei beni corrispondente alle esigenze dell’apostolato [4].
Dunque, il territorio si caratterizza come elemento unico ed imprescindibile per caratterizzare la cattolicità della Chiesa diocesana: una diversa organizzazione rischierebbe di ridurre la Chiesa ad un club associativo secondo criteri di uguaglianza tra membri che nulla hanno a che fare con il Vangelo. La territorialità, invece obbliga ad includere, come ricorda il can. 372 §1 C.J.C., senza distinzione alcuna, tutti i fedeli che abitano in un determinato territorio. La Chiesa locale non può accontentarsi di riprodurre in sé, sacralizzandole, le divisioni umane di ordine culturale, sociale e politico. Per sua natura le deve affrontare secondo il Vangelo che raduna un popolo da ogni tribù lingua e nazione. In ultimo, la territorialità è garanzia di cattolicità, per questo diviene un elemento fondante e fondamentale della Chiesa particolare.
La riforma delle prelature personali
Il Supremo Legislatore, con la Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium [5] del 19 marzo 2022, aveva affidato la competenza per le prelature personali al Dicastero per il Clero, sottraendola al Dicastero per i Vescovi, precedentemente competente. Successivamente, con Lettera Apostolica in forma di motu proprio Ad charisma tuendum del 14 luglio 2022, entrato in vigore il 4 agosto 2022, il Pontefice ha dettato alcune norme per adeguare le disposizioni relative alla istituzione della prelatura personale in ragione della nuova organizzazione della Curia Romana. In particolare, in sei articoli, il Legislatore, anzitutto ribadisce la sottrazione della competenza al Dicastero per i Vescovi, competenza che passa al Dicastero per il Clero (art. 1), al quale annualmente il prelato dovrà presentare una relazione sullo stato della prelatura e sul suo apostolato (art. 2).
In ragione di tali cambiamenti, non poteva ovviamente prescindersi da un adeguamento delle Costituzioni della prelatura personale (art. 3), la quale, nel pieno rispetto del carisma suo proprio e delle finalità da essa perseguite, era invitata ad adeguare la propria costituzione gerarchica al dono dello Spirito Santo e pertanto veniva stabilita la non necessità che il prelato fosse insignito dell’Ordine episcopale (art. 4). Per ciò stesso al Prelato era concesso il titolo di Protonotario Apostolico ed insignito dei relativi titoli e onori (art. 5). Il Supremo Legislatore, in fine, stabiliva (art. 6), in ragione della mutata competenza, che tutte le questioni fino ad allora trattate dal Dicastero per i Vescovi fossero trasmesse al Dicastero per il Clero.
A questa modifica è seguito, l’8 agosto 2023, un secondo motu proprio in modifica dei can. 295-296 del C.J.C., di soli tre articoli, con il quale il Romano Pontefice stabilisce che la prelatura personale sia assimilata ad una Associazione clericale di diritto pontificio con la facoltà di incardinare chierici (art. 1); in ragione di ciò quanto alla formazione e al sostentamento dei chierici incardinati, il Prelato, agisce in quanto Moderatore dotato delle facoltà di Ordinario (art. 2). Inoltre, servatis can. 107 C.J.C., all’art. 3 del motu proprio è stabilito che i laici che cooperano con la prelatura, ottengono il proprio Parroco ed ordinario in base al domicilio ed il quasi domicilio. Tale ultima disposizione de facto destruttura anche il primissimo statuto dell’Opera, del 1950, che la vedeva eretta come Istituto secolare, segnando nella storia della Chiesa il “primato” di istituto che incardinava sacerdoti e laici.
Per concludere
A parere dello scrivente la ratio che il Legislatore ha seguito potrebbe seguire due binari: il primo facilmente intuibile, relativo alla collocazione dei cann. 295-296 C.J.C., ovvero nella parte comune a tutti i fedeli e non nella parte delle costituzioni gerarchiche che può lasciare intendere una mancanza di volontà nell’equiparare la prelatura personale alla Diocesi, come tra l’altro confermato dalla lettera del Prefetto del Dicastero per i Vescovi, del 1983. La prelatura personale poi, e qui subentra il secondo binario che il Legislatore potrebbe aver seguito, è manchevole di un elemento imprescindibilmente importante per una Chiesa particolare; la territorialità. Tale mancanza la rende non solo canonicamente, ma anche teologicamente non equiparabile ad una Chiesa particolare.
Dunque, alla fine, il Pontefice non ha fatto altro che chiarire la posizione delle prelature personali rispetto a quanto il Codice già prevedeva in genere, ma che era diversamente applicato in specie.
Un’ultima osservazione conclusiva si fa doverosa circa la sottolineatura del Legislatore Supremo alla fedeltà al carisma; sottolineatura che lascia aperto un interrogativo giuridico sul quale riflettere. Coerentemente con l’impostazione di fedeltà al dono carismatico dello Spirito, il Pontefice specifica e raccomanda che la prelatura personale rientri sempre più nella linea di fedeltà al carisma proprio della sua missione e questa linea è la medesima che anche il Moderatore deve seguire. Pare quasi che, senza specificarlo, il Supremo Legislatore richiami la prelatura personale al medesimo e gravissimo dovere degli Istituti religiosi, ove la verifica delle proprie opere e del proprio governo non si basa tanto sul grado dell’autorità gerarchica, ma piuttosto sulla fedeltà alle aspirazioni e alle direttive del fondatore, sotto la guida della Chiesa.
Note
[1] Cfr. Congregazione per i Vescovi, Lettera ex audientia Sanctissimi: sulle prelature personali, 17 gennaio 1983, in Studia et Documenta, 5 (2011), 379.
[2] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera ai Vescovi della Chiesa cattolica su alcuni aspetti della Chiesa come comunione: Communionis notio, 28 maggio 1992, n. 16.
[3] Decreto Presbyterorum Ordinis, n.10; cfr. can. 294 C.J.C.
[4] Cfr. Decreto Christus Dominus, n. 22.
[5] Cfr. Art. 117.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
©RIPRODUZIONE RISERVATA