Raffaello Sanzio, particolare dello scambio delle fedi nuziali nel dipinto Sposalizio della Vergine
Il vigente Codice di Diritto Canonico prevede due diverse fattispecie denominate entrambe separazione dei coniugi. In particolare, i cann. 1142-1150 disciplinano i casi di separazione che comportano lo scioglimento del vincolo coniugale, mentre i cann. 1151-1155 regolano invece le ipotesi di separazione che prevedono la permanenza del vincolo matrimoniale.
L’indissolubilità del matrimonio
Preliminarmente occorre precisare che il matrimonio, per sua natura ordinato al bene dei coniugi, alla procreazione e all’educazione della prole, presuppone una certa stabilità del vincolo coniugale. L’indissolubilità è, infatti, una proprietà essenziale di qualunque matrimonio, non soltanto del matrimonio sacramentale. Essa esprime la perpetuità del legame coniugale validamente contratto dagli sposi.
Al riguardo, la dottrina distingue tra indissolubilità intrinseca ed estrinseca. L’indissolubilità intrinseca consiste nell’impossibilità di scioglimento del vincolo matrimoniale sia per volontà di uno o di entrambi i coniugi, sia per intervento di un’autorità umana in quanto umana; non è escluso però che il vincolo possa essere sciolto per autorità divina, e pertanto in suo nome dall’autorità ecclesiastica. L’indissolubilità estrinseca, invece, comporta l’impossibilità assoluta di scioglimento del vincolo da parte di qualsiasi autorità umana, ivi compresa quella ecclesiastica. Tuttavia, il CIC/1983 ammette alcune eccezioni nel matrimonio rato e non consumato (can. 1142), per privilegio paolino (cann. 1143-1147), per potestà vicaria del Romano Pontefice denominata privilegio petrino (cann. 1148-1149) [1].
Il matrimonio rato e consumato
A norma del can. 1061 § 1, il matrimonio cristiano validamente contratto tra due battezzati è detto rato, inteso come ratificato; esso è al contempo sacramento e per effetto del quale, secondo il can. 1056, al vincolo consegue una peculiare stabilità. Inoltre, se dopo la valida manifestazione del consenso, il matrimonio viene anche consumato, il vincolo si perfeziona appieno, rappresentando la perfetta unione di Cristo con la Chiesa, e diviene assolutamente indissolubile.
Secondo il can. 1061 § 2 il matrimonio è consumato quando i coniugi compiono tra loro, in modo umano, l’atto per sé idoneo alla generazione della prole e per il quale i coniugi divengono una sola carne. Per atto compiuto in modo umano si intende un atto libero, cosciente, che favorisca la reciproca e totale donazione delle persone[2], idoneo pertanto a realizzare non solo il fine della generazione della prole, ma anche quello della amorosa comunione interpersonale degli sposi. La consumazione si presume se dopo la celebrazione del matrimonio i coniugi abbiano coabitato, salvo che essi non provino il contrario.
Il matrimonio non consumato
Diversamente dal can. 1141 che stabilisce che il matrimonio rato e consumato non può essere sciolto da nessuna potestà umana, e per nessuna causa, eccetto la morte di almeno uno dei coniugi; il successivo can. 1142 ammette invece che il matrimonio non consumato sia esso rato, contratto tra due battezzati, sia esso naturale, contratto tra una parte battezzata e una non battezzata, possa essere sciolto qualora sussista una giusta causa. È bene precisare che la parte battezzata può aver ricevuto il battesimo anche al di fuori della Chiesa Cattolica.
Per la concessione della dispensa dal matrimonio non consumato è competente in via esclusiva il Romano Pontefice, atteso che la Chiesa ha ricevuto da Cristo i poteri per continuare la Sua missione salvifica sulla terra, ed è depositaria del diritto divino che custodisce, interpreta ed applica.
Per ottenere tale grazia è necessario provare la non consumazione, nonché la sussistenza di una giusta causa che spesso coincide con il bene spirituale degli interessati e con la ragionevole previsione che né uno di essi, né terze persone possano ricevere danno dall’eventuale concessione della dispensa.
Il processo per la dispensa dal matrimonio rato e non consumato (cann. 1697-1706)
È un processo matrimoniale speciale, di carattere amministrativo, in cui i coniugi, di mutuo accordo, o uno di essi, se l’altro è contrario, chiedono la grazia della dispensa dal matrimonio rato e non consumato.
Per l’accettazione del libello, è competente il Vescovo della diocesi nella quale l’oratore, se l’altro coniuge non vuole, o gli oratori, se la richiesta è comune, hanno il domicilio o il quasi domicilio acquistati a norma dei cann. 102 e 104.
Il Vescovo diocesano deve esaminare attentamente il libello e verificare se sia o meno fondato su ragioni convincenti. Se ritiene che vi sia la speranza di esito favorevole, invita entrambi i coniugi a risolvere le loro difficoltà e a ristabilire la convivenza. In caso contrario, e qualora ritenga la petizione sufficientemente fondata, emette il decreto di accettazione del libello e dispone l’istruttoria del processo. Nel caso in cui il Vescovo diocesano invece si accorga che la petizione verte su un caso che presenta speciali difficoltà di ordine giuridico o morale, deve necessariamente consultare l’Ufficio competente istituito presso il Tribunale della Rota Romana e attenersi alle sue istruzioni. Se invece reputi la petizione priva di fondamento per cui prudentemente ritenga inutile ogni ulteriore indagine, il Vescovo diocesano emette il decreto di rifiuto del libello dandone debita comunicazione ai coniugi che potranno ricorrere alla Sede Apostolica.
Per l’istruttoria di questi processi, il Vescovo diocesano può affidare l’incarico al Tribunale della propria diocesi, al Tribunale di un’altra diocesi (interdiocesano o regionale per motivi di maggiore riservatezza)[3], o a un sacerdote idoneo che abbia le qualità pastorali e l’esperienza necessaria per svolgere questo compito.
Terminata la raccolta delle prove (dichiarazioni delle parti, testimonianze, documenti, perizie), il giudice istruttore trasmette tutti gli atti al Vescovo diocesano, con appropriata relazione, affinché il Vescovo, a sua volta, possa esprimere il suo voto secondo verità, circa il fatto dell’inconsumazione, la giusta causa per la concessione della dispensa, l’opportunità della grazia, l’assenza dello scandalo, il danno di qualsiasi genere che può derivare dalla concessione della grazia, le conseguenze della concessione sul bene delle anime e sulla restituita pace delle coscienze.
A norma del can. 1698 § 1, solo la Sede Apostolica è competente a giudicare sul fatto della inconsumazione. In particolare, l’Ufficio costituito presso il Tribunale della Rota Romana riceve tutti gli atti dell’istruttoria del processo, la relazione del giudice istruttore, le osservazioni del Difensore del Vincolo e il voto del Vescovo diocesano, e valuta attentamente la supplica e l’esistenza di una giusta causa.
La dispensa è concessa esclusivamente dal Sommo Pontefice a norma del can. 1698 § 2. Il rescritto pontificio è trasmesso dalla Sede Apostolica al Vescovo diocesano e, quest’ultimo, lo notifica alle parti e, nello stesso tempo, da mandato al parroco della parrocchia in cui fu celebrato il matrimonio e a quello della parrocchia in cui ciascuno degli sposi fu battezzato di annotare la concessione della dispensa nel libro dei matrimoni e in quello dei battezzati. Le parti così dispensate potranno eventualmente contrarre nuove nozze.
Per completezza si precisa che il rescritto potrebbe anche contenere delle clausole di proibizione o di divieto per la cui soppressione è competente rispettivamente il Vescovo diocesano, dopo aver verificato che la parte sia davvero tornata idonea a contrarre nuove nozze e ad adempiere i doveri coniugali, e il Dicastero per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti.
Note
[1] L. Sabbarese, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia – Commento al Codice di Diritto Canonico – Libro IV, Parte I, Titolo VII, Urbaniana University Press, Città del Vaticano 2019.
[2] Concilio Ecumenico Vaticano II, Cost. past. Gaudium et spes (7.12.1965), n. 49.
[3] L. Chiappetta, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, Vol. II, EDB, Bologna 2011.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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