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Lo scorso 25 marzo il Romano Pontefice ha emanato una Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio che, dopo quattro anni di approvazione ad experimentum della precedente disposizione normativa omonima, circa la procedura da seguirsi per i casi di abuso, va a definire le norme di contrasto e prevenzione contro gli abusi su minori e adulti vulnerabili. Il nuovo Motu Proprio sarà in vigore dal 30 aprile 2023.
Il Motu Proprio
Nel 2019, il Pontefice aveva promulgato una normativa da seguirsi nei casi di abusi nei confronti di minori e adulti vulnerabili. Questa medesima normativa, oggi, risulta abrogata e sostituita ‒ in verità piuttosto confermata con l’aggiunta di alcune integrazioni ‒ dal nuovo Motu Proprio dello scorso 25 marzo [1]. Il documento consta di 20 articoli ed è suddiviso in due parti. Il titolo I “norme generali”, concernenti l’ambito di applicazione, la segnalazione, e in generale la cura delle persone; il titolo II “disposizioni concernenti i Vescovi e gli equiparati”, il quale consta della normativa circa l’ambito soggettivo di applicazione, la competenza del Dicastero, le procedure contro Vescovi ed equiparati, nonché Moderatori Supremi di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica. Inoltre, quale competenza sia in capo al Metropolita e quale in capo ad altro soggetto. Quali persone qualificate vanno coinvolte, lo svolgimento e la durata delle indagini, i provvedimenti successivi.
L’art. 20 conclude con la specifica normativa che sottolinea che nulla di quanto disposto può essere motivo di pregiudizio dei diritti e doveri nei confronti della legge dello Stato di appartenenza. In particolare tutto quanto concerne l’obbligo di segnalare alla competente autorità.
Una revisione necessaria
La nuova promulgazione si è resa necessaria per armonizzare le norme alle promulgazioni del Supremo Legislatore successive al 2019 e particolarmente alla revisione e aggiornamento del Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela, del 2021, di cui Vox ha dato notizia QUI, delle modifiche apportate nello stesso anno al Libro VI del Codice di Diritto Canonico QUI, “Dei delitti e delle pene”, nonché alla promulgazione della Costituzione Apostolica di riforma della Curia Romana Praedicate Evangelium, del 2022 QUI.
Come si ricorderà, le procedure introdotte nel 2019 stabiliscono in modo preciso come comportarsi di fronte alle segnalazioni di casi di abuso e assicurano che vescovi e superiori religiosi – ora anche i laici a capo di associazioni internazionali – rendano conto del loro operato e siano obbligati – con un precetto legale stabilito universalmente – a segnalare abusi dei quali sono venuti a conoscenza. Il documento comprendeva e continua a comprendere non soltanto le molestie e le violenze sui minori e sugli adulti vulnerabili, ma riguarda anche la violenza sessuale e le molestie conseguenti all’abuso di autorità. Questo obbligo include dunque anche qualsiasi caso di violenza sulle religiose da parte di chierici, come pure il caso delle molestie a seminaristi o novizi maggiorenni.
Le novità introdotte dal Supremo Legislatore
Art. 1 §1
Il Supremo Legislatore ha stabilito che le norme del Motu Proprio sono applicate nel caso di segnalazioni di abusi anche su persone considerate adulti vulnerabili, ovvero come specificato al §2 del medesimo articolo, quei soggetti «in stato d’infermità, di deficienza fisica o psichica, o di privazione della libertà personale che di fatto, anche occasionalmente, ne limiti la capacità di intendere o di volere o comunque di resistere all’offesa» [2]
Art. 6, lett. f.
Una ulteriore novità introdotta riguarda l’ambito soggettivo di applicazione. Ai Vescovi ed equiparati e ai Moderatori Supremi di Istituti di vita consacrata e Società di vita apostolica sono stati aggiunti alla lett. f dell’art. 6 i laici che sono o sono stati Moderatori di associazioni internazionali di fedeli riconosciute o erette dalla Sede Apostolica. Questi sono responsabili di tutti i fatti commessi durante munere.
In questo articolo, taluni, hanno rilevato una deroga al principio di irretroattività generalmente sancito dal diritto canonico per ogni legge, salva la deroga della legge medesima. Tuttavia può sembrare piuttosto che il Supremo Legislatore abbia utilizzato quale ratio legis la norma più generale riguardante la prescrizione. Quest’ultima, a norma dei cann. 1362 §2 CIC; 1152 §3 CCEO e dell’art. 7 del Motu Proprio Sacramentorum Sanctitatis Tutela (SST), salvo deroghe del Dicastero per la Dottrina della Fede, interviene dopo vent’anni. Inoltre per i delitti di cui all’art.6 §1 SST, inizia a decorrere dal compimento del diciottesimo anno di età della vittima. Ciò considerato l’apparente retroattività della legge penale è in vero un computo dei tempi già previsti dal Diritto nei casi di specie. Il soggetto ne risponde anche cessato l’ufficio.
Art. 4
La tutela di chi effettua la segnalazione. Anche questo ambito rientra tra le novità introdotte dal Supremo Legislatore. Infatti, mentre nella versione ad experimentum si affermava che a colui che segnala non può imporsi alcun vincolo di segreto, ora si aggiunge che questa tutela va estesa, oltre alla persona che segnala, anche alla persona che afferma di essere offesa o ad eventuali testimoni.
Art. 5 §2
Riguardo alla cura delle persone, il Romano Pontefice ha stabilito che sia rafforzata la legittima tutela della buona fama e la sfera privata di tutte le persone coinvolte, nonché la presunzione di innocenza per chi è indagato in attesa che vengano accertate le sue responsabilità.
In relazione alla cooperazione dei laici “persone qualificate”
Il Supremo Legislatore ha stabilito, nell’art. 14 §1, che è molto conveniente che i Vescovi della rispettiva Provincia, singolarmente o insieme, stabiliscano elenchi di persone qualificate tra le quali il Metropolita può scegliere quelle più idonee ad assisterlo nell’indagine, secondo le necessità del caso e, in particolare, tenendo conto della cooperazione che può essere offerta dai laici ex cann. 228 CIC e 408 CCEO.
Peculiarità conclusive
In ultima analisi sottolineiamo alcune peculiarità presenti nel Motu Proprio. Il punto primo, comprendente i delicta maggiormente consistenti, riprende quasi ad litteram l’art. 609 bis del codice penale italiano, che prevede e punisce il delitto di violenza sessuale, commesso da «chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali». In questo modo, il Motu Proprio attribuisce rilevanza a fattispecie sicuramente non contemplate, almeno espressamente, nelle fonti precedenti, anzitutto a quella della violenza sessuale perpetrata mediante abuso di autorità. Il disposto in esame, infatti, fa rientrare nell’ambito della violenza sessuale per costrizione non solo l’atto commesso con l’uso della forza o delle minacce [3], ma anche quello posto con abuso di autorità.
Si noti tuttavia che nel Diritto italiano, da cui il disposto viene tratto, l’abuso di autorità non è una circostanza aggravante specifica, bensì una delle modalità esecutive che integrano la fattispecie delittuosa, mentre nel diritto canonico esso costituisce una circostanza aggravante per qualsiasi delitto [4]. A conclusioni diverse si può invece pervenire per le «azioni od omissioni dirette a interferire o ad eludere le indagini civili o le indagini canoniche, amministrative o penali, nei confronti di un chierico o di un religioso», di cui all’art. 1 §1, lett. b. Facendone oggetto di un preciso obbligo di segnalazione, posto a carico di ogni chierico o membro di un istituto di vita consacrata o di una società di vita apostolica, dal Motu Proprio si evince il carattere antigiuridico di tali condotte, ma neppure per esse viene prevista alcuna pena e quindi non possono considerarsi come nuove fattispecie criminose; esse peraltro appaiono sussumibili nella previsione, di carattere residuale, del can. 1389 §1 CIC, che con il can. 1384 CIC condivide il carattere di contenitore di tutte quelle condotte che concretizzino una deviazione dal retto adempimento della potestà o dell’ufficio, attribuisce cioè rilevanza penale a tutti gli abusi dolosamente posti in essere nell’esercizio della funzione di governo, ma per i quali non sia stata stabilita una pena nella legge o nel precetto.
Una condotta negligente, ma non dolosa, non sorretta cioè dalla volontà di interferire sulle indagini civili o canoniche oppure ad eluderle sarà rilevante a titolo di colpa, ai sensi del can. 1389, §2 CIC unica previsione di delitto colposo, purché essa abbia provocato danno ad altri: danno che può riscontrarsi anche nello scandalo suscitato nella comunità cristiana dalla negligenza nell’adempimento dei doveri del proprio ufficio. Qualora poi si tratti di negligenza grave, il Motu Proprio “Come una madre amorevole” prevede, nel caso di abusi su minori o adulti vulnerabili, che si possa giungere alla rimozione dall’ufficio del Vescovo diocesano o dell’Eparca, cui sono equiparati i superiori maggiori degli istituti religiosi e delle società di vita apostolica; se invece la negligenza è imputabile ad un chierico non vescovo che, anche a titolo temporaneo, ha la responsabilità di una Chiesa particolare, o di un’altra comunità di fedeli ad essa equiparata ai sensi del can. 368 CIC e del can. 313 CCEO, la rimozione è condizionata non alla gravità della negligenza, ma a quella del danno fisico, morale, spirituale o patrimoniale arrecato sia a persone fisiche o alla comunità [5].
Note
[1] Cfr. Francesco PP., Letterae Apostolicae Motu Proprio data: Vos estis lux mundi, in L’Osservatore Romano, Anno CLXIII, n. 71, 25 marzo 2023, 8-10.
[2] Francesco PP., Vos estis lux mundi, art. 1 §2, b.
[3] Cfr. can. 1395 §2 C.J.C.
[4] Cfr. can. 1326 §1, 2° C.J.C.
[5] Cfr. G. Comotti, I delitti contra sextum e l’obbligo di segnalazione nel Motu Proprio “Vos estis lux mundi”, in Ius Ecclesiae, XXXII (2020/I), 239-242.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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