L’impedimento di parentela legale, can. 1094

Carlo Innocenzo Carlone, il matrimonio di Ercules ed Ebe

La parentela legale è un rapporto di filiazione che non nasce da un vincolo di sangue ma dall’istituto civile dell’adozione. In tal modo si crea un vincolo giuridico tra adottante e adottato, la cui relazione è assimilabile a quella della paternità/maternità legittima [1].

Fondamenti storici

L’istituto dell’adozione ha le proprie origini normative nel diritto romano, pur trovando qualche diffusione anche nei popoli più antichi (Babilonesi, Greci, Ebrei). L’adoptio romanistica consentiva ad un estraneo di entrare in una famiglia in qualità di filius. Attraverso questo ingresso l’adottato usciva dalla famiglia di origine, perdeva ogni rapporto legale con essa acquistandolo con quella di accoglienza. Tuttavia, se l’adottato fosse già stato soggetto ad altra persona, si configurava l’adrogatio, per cui un pater familias si assoggettava ad un altro pater familias, diventando filius familias di questo [2].

La diversità degli istituti era accomunata dagli effetti giuridici prodotti: in entrambi i casi l’adottato si trasferiva nella famiglia dell’adottante al pari di un figlio legittimo. L’evoluzione storica dell’adozione consentì la distinzione tra la forma plena, se l’adottante acquistava la patria potestà eliminando ogni diritto successorio rispetto alla famiglia di origine, e adozione minus plena, che non consentiva l’assunzione della patria potestà, ma aggiungeva ai diritti successori di origine quelli sorti verso i genitori adottivi [3].

La nascita dell’impedimento nel diritto romano

I profili di compatibilità tra filiazione legittima e legale consentirono la qualificazione dell’adozione come impedimento matrimoniale nel diritto romano. Pertanto, il matrimonio tra adottante e adottato veniva proibito allo stesso modo della parentela naturale e negli stessi gradi: tra adottante, adottato e suoi discendenti; tra adottato e figli legittimi dell’adottante; tra adottato e moglie dell’adottante o tra questi e moglie dell’adottato. Il diritto romano disciplinava la perpetuità dell’impedimento anche dopo lo scioglimento dell’adozione. Invece, nel caso in cui l’adozione fosse cessata per emancipazione dell’adottato o per morte dell’adottante, l’impedimento non trovava più applicazione [4].

La parentela legale nella legislazione ecclesiastica

Fin dai primi secoli della Chiesa non si ha una disciplina specifica per l’impedimento in esame. Nella prassi i fedeli si conformavano alle leggi romane, applicando anche ai loro rapporti quanto previsto in materia di adozione. Con Graziano e i successivi commentatori si dava per acquisita l’esistenza dell’impedimento in relazione ai rapporti di parentela, di paternità e di affinità legale. Si trattava di un impedimento dirimente e perpetuo nel caso di paternità e affinità legale; mentre era temporaneo nel caso di fraternità adottiva [5].

La fine della legislazione romana lasciò la Chiesa priva di una disciplina specifica, inducendola a risolvere i casi che di volta in volta emergevano. In via generale si parlava di impedimento di parentela legale se l’adozione veniva effettuata con atto pubblico e in modo solenne. Nessun effetto produceva invece quella realizzata mediante un accordo privato tra le parti o quella per consuetudine [6].

Il Codice del 1917: i cann. 1059 e 1080

Con la promulgazione del Codice di Diritto Canonico del 1917 si ha la canonizzazione della legge civile. Se per l’ordinamento civile l’adozione fosse stata un impedimento al matrimonio, ciò avrebbe avuto valore anche nel diritto canonico. In tal modo l’impedimento ha fatto formalmente ingresso nella legislazione ecclesiastica. Tuttavia, la diversità di discipline di matrice civilistica non creò uniformità all’interno dell’ordinamento della Chiesa.

Infatti, ai sensi del can. 1059 l’impedimento era impediente nei paesi in cui la legge civile rendeva solo illecite le nozze; mentre ai sensi del can. 1080 l’impedimento era dirimente e le nozze contratte erano invalide. Non sussisteva impedimento nei paesi in cui la legge civile non lo prevedeva. Si ritenne pertanto necessario introdurre una disciplina universale per evitare conflitti tra diritto civile e canonico [7].

Il can. 1094 CIC 1983

Nel vigente Codice di Diritto Canonico l’impedimento di parentela legale è disciplinato dal can. 1094: «Non possono contrarre validamente il matrimonio tra loro nella linea retta o nel secondo grado della linea collaterale, quelli che sono uniti da parentela legale sorta dall’adozione». Anzitutto, la parentela legale è qualificata come impedimento dirimente, per cui la celebrazione delle nozze è invalida. Esso trova applicazione per tutti i fedeli battezzati nella Chiesa cattolica e a nulla più rileva la legislazione civile in materia.

Inoltre, l’impedimento ha trovato una disciplina compiuta perché il legislatore canonico ha definito anche il concetto di adozione al can. 110, per cui «i figli che sono stati adottati a norma della legge civile sono ritenuti figli di colui o coloro che li hanno adottati». Pertanto, la canonizzazione non riguarda più gli effetti dell’adozione e la disciplina del rapporto in relazione al matrimonio, ma solo l’istituto giuridico di riferimento.

Finalità, requisiti e cessazione dell’impedimento

In tal modo si comprende il fine realizzato dalla norma canonica: tutelare la dignità dell’ordine familiare. Difatti, l’impedimento si configura solo in presenza di adozione e non di altri istituti giuridici, come la tutela o l’affidamento. Nel caso di adozioni civilmente invalide, non trova applicazione la disciplina dell’impedimento matrimoniale.

L’estensione della parentela legale è a tutti i gradi in linea retta e solo nel secondo grado della linea collaterale, cioè tra i figli dell’adottante e l’adottato. L’impedimento è di diritto ecclesiastico, per cui trova applicazione solo per i fedeli battezzati ed è dispensabile dall’Ordinario del luogo [8].

Note

[1] L. CHIAPPETTA, Il Codice di Diritto Canonico. Commento giuridico-pastorale, vol. 2, EDB, Bologna, 20113, p. 346 ss.

[2] G. FRANCIOSI, Corso storico istituzionale di diritto romano, Giappichelli, Torino, 2015, p. xx.

[3] V. ARANGIO RUIZ, Istituzioni di diritto romano, Jovene, Napoli, 1987, p. 470 ss.

[4] F. CAPPELLO, Tractatus canonico moralis de sacramentis. De matrimonio, vol. V, Sumptibus et Typis Petri Marietti Editoris, Torino-Roma, 1950, p. 329 ss.

[5] F.X. WERNZ, P. VIDAL, Ius canonicum, Tom. V, Ius matrimoniale, Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1925, p. 209 ss.

[6] E. REGATILLO, Derecho matrimonial eclesiastico, Sal Terrae, Santander, 1962, p. 183 ss.

[7] A. D’AURIA, Gli impedimenti matrimoniali, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2007, p. 212 ss.

[8] A.M. ABATE, Gli impedimenti matrimoniali nel nuovo codice di diritto canonico, in Apollinaris, 2, 1987, p. 501 ss.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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