Dopo aver approfondito che cosa sia il giudizio di delibazione e i requisiti per l’esecutorietà di una decisione ecclesiastica di nullità matrimoniale, vediamo gli effetti che derivano in caso di positiva conclusione di questo procedimento davanti alla Corte d’Appello.
Una volta che è stata dichiarata l’esecutorietà della sentenza ecclesiastica, essa produrrà gli effetti propri della nullità del matrimonio nell’ordinamento civile.
Il vincolo che si era instaurato con la celebrazione e la trascrizione è tamquam non esset, salva l’applicazione del peculiare regime del matrimonio putativo, che è un istituto posto a garanzia della buona fede di una o di entrambe le parti del legame.
In altre parole, l’art. 128 cod. civ. consente che il matrimonio invalido produca alcuni effetti, fino alla pronuncia di nullità, evitando la retroazione degli effetti della pronuncia di nullità.
La delibazione della pronunzia di nullità del matrimonio di per sé fa venir meno gli obblighi di natura personale tra i coniugi, nonché viene meno il vincolo di affinità, ma restano fermi gli impedimenti matrimoniali, di cui all’art. 87 comma 1, n. 4 cod. civ. (ossia l’affinità in linea retta). Sotto il profilo patrimoniale, la declaratoria di nullità comporta lo scioglimento della comunione legale ex art. 191 cod. civ.; inoltre, se la nullità interviene dopo la morte di uno dei coniugi, il superstite in buona fede mantiene ogni diritto sulla successione legittima, compresi quelli di abitazione sulla casa familiare e di uso dei mobili che l’arredano. Il superstite è escluso peraltro dalla successione se il de cuius, al momento della morte, era legato da un nuovo matrimonio.
Sempre sul piano patrimoniale, l’art. 129 comma 1 cod. civ. prevede che, quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad entrambi i coniugi, il giudice può disporre a carico dell’uno e a favore dell’altro, un assegno temporaneo.
L’assegno ha natura prevalentemente assistenziale, dal momento che postula l’assenza di redditi propri. Esso può essere liquidato per un periodo non superiore a tre anni (ed in questo si distingue dagli assegni di separazione e divorzio, che non hanno un termine di durata prefissato), a patto che il beneficiario non contragga un nuovo matrimonio. La quantificazione è rimessa alla discrezionalità del giudice, avuto riguardo alle situazioni reddituali e patrimoniali di entrambi.
Nei confronti dei figli, l’art. 128 comma 2, novellato dal d.lgs. n. 154/2013, prevede che il matrimonio dichiarato nullo non incide sul loro status, neppure nel caso di mala fede dei contraenti.
Il principio generale espresso dalla normativa è, infatti, che di regola le vicende che riguardano il vincolo fra i genitori non devono incidere sui figli e sullo stato da essi acquisito.
Infine, l’art. 129-bis cod. civ. configura un’ipotesi particolare di responsabilità a carico del coniuge cui sia imputabile la nullità del matrimonio. Questi deve corrispondere all’altro, se in buona fede, una “congrua indennità”. Essa non ha natura assistenziale, come l’assegno di cui all’art. 129 cod. civ., bensì risarcitoria, ovvero sanzionatoria. Essa deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni.
La responsabilità per il pagamento dell’indennità può gravare pure su un soggetto terzo, cui sia imputabile la nullità del matrimonio.
Da questo breve spaccato si comprende subito il motivo per cui la giurisprudenza ha ristretto le possibilità di delibazione di una pronuncia ecclesiastica di nullità.
Il coniuge nei cui confronti è pronunciata la sentenza di nullità, poi riconosciuta nell’ordinamento italiano, subisce, infatti, un pregiudizio particolarmente serio, specie se si confronta con il sistema di calcolo dell’assegno divorzile, che, per ipotesi, potrebbe essere perpetuo, e che tiene conto di una molteplicità di parametri.
La dottrina si è impegnata nello spingere il legislatore a equiparare sul piano patrimoniale i regimi della nullità e del divorzio/cessazione degli effetti civili, invitando anche a far tesoro dell’esperienza di altri ordinamenti, come quello spagnolo.
Si tratta di una scelta che permetterebbe la riespansione del campo di applicazione della delibazione e un maggiore rispetto delle previsioni concordatarie.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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