Potestà d’Ordine e potestà di Giurisdizione. La riforma della Curia nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa

Potestà
Pietro Perugino, consegna delle chiavi a Pietro, 1481-1482, cappella sistina, Città del Vaticano.

Lo scorso 9 gennaio il Pontefice ha nominato il nuovo Abate Territoriale di Montecassino, ovvero il Padre della comunità monastica più antica dell’occidente che ha, nella circoscrizione di pertinenza, tutte le facoltà di governo di un Vescovo. Nulla di nuovo se non per il fatto che il Pontefice ha scelto un monaco laico, ovvero non ordinato. A questo punto si è aperta una discussione mai del tutto conclusa sul rapporto tra ordine e giurisdizione, in fondo già presente nella Costituzione Praedicate Evangelium. Riteniamo, infatti che anche questa nomina altro non faccia che ricalcare il solco già segnato dalla riforma della Curia romana.

La questione

Senza voler entrare nel merito della discussione circa l’opportunità di una nomina pontificia per una carica che more solito prevede una elezione, ci soffermeremo squisitamente sul dibattito circa la complementarietà (o meno) tra potestà d’ordine e potestà di giurisdizione. Rivalorizzando la tradizione teologica antica, orientale ed occidentale, il Vaticano II ha messo l’accento sull’unità della «sacra potestas» [1], pur senza voler prendere posizione sul valore ecclesiologico della distinzione tra il potere di ordine e quello di giurisdizione introdotta dalla canonistica prima del XII secolo. Sussistono, infatti, elementi teologici che orientano verso una concezione unitaria della potestas sacra, ovvero: il principio della sacramentalità dell’episcopato [2]; di cui al can. 129 §1 C.J.C.

La distinzione tra ordine e giurisdizione, dunque, è il risultato di una riflessione, durata quasi un millennio, tesa a risolvere due problemi fondamentali: quello della validità degli atti sacramentali posti dai ministri, che avessero rotto con la comunione ecclesiale; quello della validità delle ordinazioni assolute, prevalse nella prassi della Chiesa latina malgrado la proibizione del Concilio di Calcedonia [3]. La questione non riguardò tanto la possibilità che un vescovo scomunicato potesse essere posto a capo di una porzione del Popolo di Dio, questo era fuori discussione, quanto piuttosto che potesse continuare ad amministrare i sacramenti [4], fino a quando Graziano e i decretisti non riuscirono progressivamente a distinguere nell’attività dei ministri due poteri: un potere di ordine e un potere di giurisdizione, diversi sia per la modalità di trasmissione che per la loro stabilità e funzione. E tutto sommato la Costituzione Praedicate Evangelium procede proprio su questo binario della distinzione: assume implicitamente l’opzione di non considerare il sacramento dell’Ordine come l’origine del potere di giurisdizione, ma di attribuirlo esclusivamente alla missio canonica data dal Romano Pontefice, Supremo Legislatore e Capo della Chiesa Universale, che conferirebbe così una delega dei suoi propri poteri a chiunque eserciti una funzione di governo nella Curia romana e nella Chiesa, sia esso ordinato o meno [5].

La potestà di giurisdizione nell’ambito extrasacramentale e nella riforma

La questione maggiormente dibattuta pare essere l’esercizio della potestà di giurisdizione nell’ambito extrasacramentale.

Al di fuori dell’ambito sacramentale, il  Codice del 1983 sembra considerare, almeno dal profilo terminologico, la potestas iuris- dictionis come un potere che possiede un contenuto materiale proprio, distinto da quello della potestas ordinis. Il Codice, de facto, utilizza due differenti termini: il termine «facultas» nell’ambito sacramentale, e quello di «potestas» nell’ambito extrasacramentale, quasi come a dare due significati diversi allo stesso potere di giurisdizione, uno formale ed uno contenutistico, secondo che esso operi nel primo o nel secondo ambito. Quanto alla riforma della Curia, essa pare presentare una rivoluzione radicale all’interno dell’Ordinamento, una sorta di sottolineatura della domanda circa l’origine della potestà di giurisdizione: comprendere se si tratta di volontà divina (immediata) inscritta nel sacramento dell’Ordine che fonda i poteri di santificare, insegnare e governare o si tratta piuttosto d’una determinazione della Chiesa (mediata) conferita al Successore di Pietro in virtù del suo mandato di pastore universale con la speciale assistenza dello Spirito Santo [6].

La tendenza a separare i poteri d’ordine e di giurisdizione si fonda su molte disposizioni pontificie del passato, che hanno avallato atti di governo senza potere d’ordine, per esempio il governo di alcune badesse dal Medioevo di cui Vox ha già trattato QUI sino ai tempi moderni, alcuni vescovi che hanno governato diocesi senza essere ordinati, o ancora alcune licenze concesse dal Supremo Legislatore a semplici sacerdoti per ordinare altri preti senza essere vescovi. Si potrebbe allungare l’elenco dei fatti che mostrano come il potere di governo non dipenda intrinsecamente dal potere d’Ordine, quanto piuttosto da un’altra fonte, che si identifica poi con la missio canonica conferita dal Romano Pontefice. La nuova Costituzione andrebbe forse oltre il canone 129 §2 C.J.C., ovvero interpreterebbe a pieno quella collaborazione del laicato nell’esercizio della medesima potestà di giurisdizione. Partendo da questa osservazione, cerchiamo di sottolineare i fondamenti del Diritto della Chiesa, ovvero i principi dell’Ordinamento giuridico canonico che esiste in ragione della res della Fede. Il nocciolo della questione pare chiaro: i rapporti tra la natura della Chiesa come istituzione divino-umana e le strutture di governo che le consentono di adempiere la sua missione a servizio della salvezza del mondo. Ma la natura della Chiesa è indubbiamente sacramentale, per cui prima ancora che una società giuridica essa si presenta come Mistero di comunione [7].

Si può dunque affermare che la comunione ecclesiale comporta una dimensione gerarchica che corrisponde al mistero trinitario così come ci viene rivelato. Il Padre è la sorgente delle processioni trinitarie, l’una generatrice, l’altra coordinatrice della Communio, entrambe convergenti verso il Padre, il principio della Communio trinitaria che si rispecchia nella communio ecclesiale. La dimensione gerarchica della comunione ecclesiale riflette di conseguenza la partecipazione all’identità del Padre e del Figlio che lo Spirito Santo apre ai membri della comunità mediante la fede e il battesimo, così come mediante il sacramento dell’Ordine e dell’Eucaristia.

La sintesi

Tutto quanto fin ora detto, seppure in maniera estremamente sintetica, porta a dire che la potestà di giurisdizione non dipende esclusivamente dalla potestà di ordine. La storia stessa smentisce questa tesi. L’elemento che fonda l’unità inscindibile del potere d’ordine e di giurisdizione è la figura del Successore di Pietro come capo del collegio dei vescovi e della Chiesa Universale, che detiene in comunione con i successori degli Apostoli la massima unità del potere d’ordine e di giurisdizione e che può di conseguenza applicarne gli effetti a tutto campo in ambito sacramentale come in ambiti giuridici o amministrativi. Egli può anche delegare e così rendere partecipi i membri del popolo di Dio al suo potere di giurisdizione. Dunque la sintesi non risiede nell’estrema separazione delle potestà, in quanto si verrebbe a dimenticare che l’Ordine aggrega al collegio episcopale il cui capo, il Romano Pontefice  possiede la giurisdizione suprema che si estende a tutti gli ambiti della vita della Chiesa. Ecco perché il potere di governo che viene riconosciuto alle Congregazioni di vita consacrata femminile e l’autorità in esse affermata è pienamente equiparata a quella di un Moderatore Supremo ordinato in sacris.

L’autorità non è esercitata da un ministro ordinato, ma da una personalità carismatica che è riconosciuta come tale e collegata al ministero ordinato dalla struttura gerarchica della Chiesa. Ma una buona sintesi non risiederebbe neppure in quanti affermano massimamente l’unità delle due potestà, rischiano di perpetuare l’immagine di una Chiesa clericale, favorendo così il clericalismo, a detrimento della dimensione carismatica della Chiesa ormai riconosciuta come co-essenziale, accanto al potere gerarchico e pur restando soggetta al suo discernimento [8]. Il potere d’ordine incarna l’autorità paterna di Cristo nella Chiesa, un’autorità che genera la vita sacramentale, strutturando così la comunità e rinviando tutti i suoi membri all’obbedienza al Padre, da cui prende il nome ogni paternità. Il potere di giurisdizione incarna l’autorità dello Spirito Santo, impegnata a promuovere l’ordine dell’amore nella Chiesa, che suppone la concreta realizzazione del comandamento dell’amore ma anche il diritto, la disciplina, la decisione e la correzione. Dunque il Romano Pontefice, sintesi suprema delle potestà e capo della Chiesa Universale, affida una missione a seguito del discernimento di un carisma o di una competenza che giustifica la sua scelta; l’autorità delegata dalla missio canonica viene a configurare giuridicamente il servizio del soggetto coinvolto di cui è messo a frutto il carisma personale e, secondo le competenze dei diversi ambiti, esercita la sua potestà in virtù del mandato (di delega) del Supremo Legislatore, nel rispetto delle peculiarità dei diversi mandati che devono prevedere e distinguere l’ambito sacramentale da quello extrasacramentale.

Ben si comprende, dunque, come la Costituzione Praedicate Evangelium non sconvolga alcun assetto fondamentale dell’Ordinamento, ma interpretando la collaborazione a cui ogni battezzato è chiamato ed attualizzando ed equilibrando la struttura gerarchica, con l’aiuto della pneumatologia, detiene la chiave della riforma della Chiesa. L’attuale normativa di riforma non sconvolge né porta a detrimento la Sacra Potestas, ma anzi la integra meglio nel quadro dell’ecclesiologia trinitaria e sacramentale del Concilio Vaticano II. Le riserve espresse e i dibattiti in corso dovrebbero consentire un approfondimento pneumatologico essenziale per la continuità e la creatività dell’autentica Tradizione ecclesiale che ben giustifica e fonda anche la potestà di giurisdizione in capo ad un laico.

Note

[1] Cfr. A.M. Stickler, La bipartición de la potestad eclesiástica en su perspectiva histórica,  in «Ius Canonicum», 15 (1975), 45ss.

[2] Cfr. LG 21.

[3] Can. 6.

[4] Cfr. K. Mörsdorf, Die Entwicklung der Zweigliedrigkeit der kirchlichen Hierarchie, in MThZ, 3 (1951), Iss.

[5] Cfr. G.F. Ghirlanda, La riforma della Curia Romana nell’ambito dei fondamenti del diritto della Chiesa, in Periodica, 106 (2017), 537-631.

[6] Idem.

[7] Cfr. LG I-VI.

[8] Cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede, Iuvenescit Ecclesiae. Lettera sulla relazione tra doni gerarchici e carismatici per la vita e la missione della Chiesa, Roma 2016.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

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Cristian Lanni

Nato nel 1994 a Cassino, Terra S. Benedicti, consegue, nel 2013 la maturità classica. Iscrittosi nello stesso anno alla Pontificia Università Lateranense consegue la Licenza in Utroque Iure nel 2018 sostenendo gli esami De Universo Iure Romano e De Universo Iure Canonico. Nel 2020 presso la medesima università pontificia consegue il Dottorato in Utroque Iure (summa cum laude) con tesi dal titolo "Procedimenti amministrativi disciplinari e ius defensionis", con diritto di pubblicazione. Nel maggio 2021 ha conseguito il Diploma sui "Delicta reservata" presso la Pontificia Università urbaniana, con il Patrocinio della Congregazione per la Dottrina della Fede e nel novembre 2022 il Baccellierato in Scienze Religiose presso la Facoltà Teologica dell'Italia Settentrionale, presso cui è iscritto ai corsi per la Licenza. Dal luglio 2019 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo dei Difensori del Vincolo presso la Regione Ecclesiastica Abruzzese e Molisana, operante nel Tribunale dell'Arcidiocesi di Chieti, dal settembre dello stesso anno è docente presso l'Arcidiocesi di Milano. Nello stesso anno diviene Consulente giuridico presso Religiosi dell'Arcidiocesi di Milano. Dal giugno 2020 è iscritto con nomina arcivescovile all'Albo degli Avvocati canonisti della Regione Ecclesiastica Lombarda. Dal 2021 collabora con il Tribunale Ecclesiastico Interdiocesano Sardo e come Consulente presso vari Monasteri dell'Ordine Benedettino. Dal 13 novembre 2022 è Oblato Benedettino Secolare del Monastero di San Benedetto in Milano. Dal 4 luglio 2024 è membro dell'Arcisodalizio della Curia Romana.

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