Vox Canonica ha il piacere di intervistare il Professore Antonello Blasi, professore della Cattedra di diritto Ecclesiastico e Canonico presso la Pontificia Università Lateranense in occasione della sua pubblicazione dal titolo: Concordati africani. Elementi e fonti di diritto concordatario africano, (Lev 2022, pp. 326). Il testo, di recente pubblicazione, ha già suscitato grande interesse da parte del mondo canonico ecclesiastico e diplomatico. A firmarne la prefazione è il Cardinale Pietro Parolin e l’introduzione postuma il prof. Giuseppe Dalla Torre, scomparso nel 2020.
L’Autore
Il Prof. Blasi ha conseguito la laurea in giurisprudenza presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza” nel 1984, e nel 1988 il Dottorato in Iure Canonico presso la Pontificia Università Lateranense entrambe con lode e pubblicazione delle tesi. Nel 1990 ha conseguito il Dottorato di ricerca in discipline canonistiche presso l’Università Statale di Pavia.
Oltre al suo impegno in ambito accademico è anche avvocato del Tribunale Apostolico della Rota Romana, dell’ULSA e Avvocato Cassazionista presso lo Stato Città del Vaticano e presso le Corti superiori dello Stato Italiano.
Impegnato nel volontariato da “sempre” in qualità di catechista prima (1971-1983) e fondatore poi dell’associazione “Testimonianza Viva”(1984-2020) dedita alla realizzazione di micro progetti per studenti meritevoli ma con pochi supporti per studiare in diversi paesi, sopratutto in Terra Santa. Lo ringraziamo per la disponibilità.
Professore, nel suo volume raccoglie gli Accordi vigenti tra la Santa Sede e gli ordinamenti civili del continente africano. Cosa l’ha spinta a scegliere proprio il continente africano come soggetto del suo studio?
Perché la Santa Sede nel mettere a frutto il Vaticano II considera – secondo quanto indica la costituzione conciliare Gaudium et Spes e il Codice di diritto canonico del 1983- gli accordi, le convenzioni e i concordati degli atti di natura internazionale importanti non più stipulabili con i soli paesi di tradizione cattolica ma con tutte le comunità politiche del mondo. Possiamo dire che i concordati sono diventati, nel vero senso etimologico, “cattolici” ovvero universali, per tutti e con tutti gli ordinamenti giuridici di buona volontà.
L’Africa è un continente molto sensibile alla parola del Papa, che più volte si è recato anche in alcuni Paesi ad alto livello bellico e a fine del mese di gennaio sarà in Congo e Sud Sudan, portando la Sua Persona nella veste di “pontefice di Pace”, supportato da valorosi Vescovi locali che vivono quotidianamente il rischio, annunciando e chiedendo dialogo e riappacificazione, spesso unitamente ai fratelli protestanti e a degni rappresentanti religiosi dell’Islam e delle religioni locali che ripudiano la guerra e la violenza come strumenti di conversione.
Questa sinergia aiuta moltissimo a indicare la retta via delle religioni, a sedare gli animi e a sciogliere gli “-ismi” che sempre, da ogni lato, emergono per interessi spesso economici e/o di potere. La convinzione che mi sono fatto alla fine del mio lavoro è che i Concordati sono una delle mediazioni possibili tra gli eccessi di Cesare e quelli attribuiti a Dio.
All’interno del libro descrive l’etimologia molto significativa della parola concordato. Potrebbe approfondire?
Traduco il CUM-COR-DO con una risposta concreta e metaforica.
Una Chiesa che vive CUM e nei popoli africani e ancor meglio una Chiesa africana fatta di africani, che non si ferma all’istruzione di ogni tipo e natura e neppure che si siede soddisfatta sull’assistenza caritatevole sanitaria o di qualsivoglia altro sussidio e ausilio, allora dà testimonianza viva di sé senza essere scambiata (solo) per una eccellente NGO.
Perché se è vero che è Carità, questa deve fondarsi sulla Fede vissuta e proclamata con gioia (COR), non nascosta nelle cassette dei medicinali o in una laica istruzione a cui devono pensare e sono preposti i governi di ogni paese.
Infine sia la Fede che la Carità devono essere annaffiate costantemente dalla Speranza (DO) che ha due figli carissimi come l’Africano Agostino insegna: lo sdegno e il coraggio. Il primo per le cose non buone che accadono ogni giorno (corruzione e quant’altro), il coraggio per poterle affrontare, combattere, rimuovere e vincere. Questa speranza così attiva, vivace e dinamica dà forza a una Chiesa fatta di uomini e donne del Popolo di Dio.
Il Con-cor-dato è un participio passato perché già concluso, dunque già in essere, ha già dato all’altro il proprio cuore, insieme reciprocamente. E’ questo che dà sostanza all’atto diplomatico, che dà la voglia di renderlo vigente nella dimensione normativa e amministrativa della quotidianità a beneficio di ogni persona del paese che vuole e vive un concordato.
Come si riesce a passare da una mentalità di sfruttamento dell’Africa ad una mentalità di riconoscimento della pari dignità rispetto agli altri paesi? A suo parere si sta già procedendo in questa direzione? I confini disegnati a tavolino dagli ex paesi coloniali che hanno profilato gli Stati a danno delle Nazioni dividono e danneggiano l’Africa oggi?
Non penso: un tempo sicuramente la non considerazione dei popoli ha portato ad inglobare o escludere le diverse nazionalità creando tensioni anche rilevanti nelle zone di confine ma se guardiamo ad oggi, ai media e al commercio internazionale, direi che le lingue ereditate (francese, inglese e portoghese in prevalenza) aiutano questi Paesi a non essere “emarginati” nella considerazione del dialogo e del business internazionale.
Se a questo aggiungo che la molteplicità delle nazioni e dei popoli possono essere uno strumento di ricchezza di tradizioni, usi e quant’altro per il settore turistico, per l’artigianato e per il commercio, allora direi che ciò che prima era visto come un male, oggi è sicuramente un valore aggiunto per proporsi ed essere di esempio per tutti gli altri Paesi del mondo. La fashion Africa del periodo natalizio appena trascorso, in esposizione a Londra, è stato un esempio tangibile di una rinascenza africana nel cuore di una città di capitali ad alta visibilità mediatica.
Cosa intende per “sana cooperazione”?
Una cooperazione non è solo fondata sull’osservanza dei patti ma sulla reciproca buona fede e sull’impegno di cum-dividere obiettivi di crescita spirituale e materiale di tutte le persone, cittadini e non, del paese dove alcuni cittadini sono anche fedeli cattolici. Questo è uno stimolo per estendere gli accordi esistenti, magari e come esempio con un miglior sistema di sostentamento del clero e anche aggiornare accordi ormai obsoleti, penso alle lettere con il Re del Marocco o al Modus Vivendi con il governo Tunisino, visti gli enormi progressi di dialogo di Papa Francesco e della Chiesa e delle comunità Islamiche negli ultimi 40 anni.
Altri Paesi Africani stanno pensando ad accordi con Roma e sono fiducioso che maggiore è il numero delle conventiones meglio le Chiese locali avranno una piattaforma sulla quale elaborare intese per il bene dei fedeli e dei cittadini, perché la Chiesa non rincorre privilegi ma aiuta tutti i popoli a crescere nel rispetto, dialogo e amore per il bene di tutti. Se questo è compreso dai governi il passo a cum-cor-dare diventa cammino di bene comune per un’umanità che vive insieme su questo, almeno fino ad oggi, unico pianeta possibile.
La Chiesa non deve quindi restare imbrigliata nelle scuole e negli ospedali quasi a far comodo di essere il surrogato degli Stati che così si dedicano ad altro! La Chiesa africana del futuro dovrà impegnarsi nei settori moderni e futuri integrandosi in tutto e ovunque perché deve stare nel mondo senza essere del mondo.
Riguardo ai concordati Lei ha affermato che “si tratta di atti formali che hanno una doppia valenza. Da un lato rappresentano la meta di un percorso diplomatico, dall’altro costituiscono un punto di partenza verso il futuro“. Come si prefigura la situazione nel continente africano in futuro a partire dalle fondamenta che hanno gettato i concordati di oggi?
Come ho scritto nella prima parte dei miei “Concordati Africani”, richiamando il Magistero, la Chiesa deve essere costantemente una vera a autentica “Agenzia di Umanità”. Questa accezione -che mi sta molto a cuore- esprime come una cascate cristallina l’impegno per tutti, indistintamente, superando confini, nazionalità, lingue e religioni. Tutti vuol dire tutti. La norma missionis infatti proclama l’amore per il prossimo non solo per il cattolico o il musulmano o l’animista. Tutti è tutti, e in questo dialogo tra tutti l’umanità cresce mentre nel conflitto si ferma o torna indietro con danni per cui spesso occorrono decenni a recuperare il tempo perduto.
A mio parere l’educazione quindi resta la sfida del futuro: se la Chiesa formerà i giovani nei valori dell’onestà, andranno a scemare (scomparire è utopia) le forme di corruzione che danneggiano tanta parte dell’Africa, difendendo i valori del rispetto reciproco che aiuteranno gli africani ad essere giustamente titolari delle proprie terre, risorse e talenti per il bene loro e poi degli altri popoli senza essere, rectius, senza farsi sfruttare.
Vedo tanti africani che usano internet per il business, ho letto di mercati finanziari africani che vivono sugli smartphone, stilisti e stiliste di moda africana e di campionati di calcio: tutto molto bene ed è ottimo ma la Chiesa dove sta in questi settori? Chi educa al sano uso di internet, al mercato non speculativo nelle borse e al buon esempio nello sport e nella moda nel rispetto degli altri? Quanto business ancora delle armi quando langue magari quello delle condotte di acqua o delle strade o dell’energia solare tanto dimenticata in terre al alta produttività di energie alternative?
Il desiderio di raggiungere velocemente la modernizzazione, dopo ottenuta l’indipendenza nell’ultimo mezzo secolo ha vari ostacoli oltre quelli noti: per esempio i riti locali che si oppongono a ogni apertura al dialogo interculturale, il pericolo di autonomie etniche fuori del controllo dei governi centrali, la “gelosia” che si traduce in disaccordo o in discussioni anti-dialogo nei contenuti dei molteplici riti delle religioni animiste, cristianesimi e islamismi. Tutto questo porta a una sensibile chiusura e di conseguenza restringimento delle tradizioni religiose, ma anche di quelle locali e tribali se non per utilizzarle come forma di resistenza al potere e ingerenza delle grandi città.
A questo si deve aggiungere il fenomeno della emigrazione, non sempre dettata dai soli mutamenti climatici, la mala gestione delle risorse naturali ma anche di quelle morali, l’inurbamento nelle megalopoli, le continue guerre locali per soddisfare il consumo vendita e profitti del mercato delle armi che si sposano con le conseguenti carestie, l’indebolimento delle figure tribali che officiavano i riti e le culture, l’impoverimento del clan nel patrimonio agricolo e di allevamento che supportava queste tradizioni e l’aumento del mercato sanitario di sostentamento.
I concordati vengono stipulati tra soggetti internazionali, dunque come si può riuscire a dargli un’applicazione nella realtà quotidiana?
Vede, gli accordi che firma la Santa Sede sono solo un incipit, l’inizio di un dialogo che deve proseguire con le intese subconcordatarie e qui entrano in gioco tutte le competenze e i talenti delle conferenze episcopali e dei singoli vescovi nell’attuare e rendere effettivi gli obiettivi tracciati nei tanti concordati e quindi nel settore dell’istruzione e della sanità in primo luogo ma anche sotto il profilo della comunicazione religiosa e dell’istruzione catechistica e nell’annuncio pastorale. Mi viene in mente l’idea-analogica che quando un ragazzo chiede il sacramento della Confermazione compie un momento topico della sua vita da cristiano ma è un inizio di impegno non solo la conclusione dell’iniziazione cristiana: il concordato è dunque la fine di una trattativa, la risoluzione di problemi eventuali ma anche l’inizio di un impegno dei vescovi per i loro fedeli che sono anche cittadini del Paese firmatario.
La priorità – che non penso ma son convinto – tra tutte le applicazioni pattizie, la prima di tutte, è l’Educazione. E questo non solo per i Paesi africani ma per tutti i popoli di questa Terra. L’educazione come esempio di vita, come, almeno, tentativo di coerenza ai valori di rispetto della persona umana e della vita, e della sua espressione di pensiero tutelando la libertà religiosa e di religione.
L’istruzione da sola non basta: è l’educazione che crea ammirazione, imitazione emulazione. Dare l’esempio vale più di molte lezioni teoriche che perdono di contenuto se non sono in primis il genitore, il maestro, gli amici, a vivere come testimoni come modelli. Penso all’esempio del piccolo Giovanni di Assisi, (soprannominato poi Francesco per essere figlio della forse unica abitante francese di Assisi), che nell’XI canto del Paradiso, Dante lo rende personificazione di un concetto di educazione inteso come esempio da seguire: “scalzasi Egidio, scalzasi Silvestro, dietro a lo sposo sì la sposa piace”.
Qual è il suo consiglio per i giovani canonisti e/o ecclesiasticisti?
C’è ampio spazio in questa dimensione ecclesiastico-internazionale per giovani ecclesiasticisti con solide basi anche di diritto canonico perché portatore di valori naturali e fondamentali che danno humus ai diplomatici e operatori internazionali di buona volontà, senza pregiudizi per valori religiosi che aiutano e non dividono, che sommano e non sottraggono al dialogo quella fraternità utile a sentirsi amici (=comunio) prima ancora di collaborare (=comunitas) a portare un passetto avanti la civiltà di amore e non passi indietro tra macerie e miseria.
Quale sarà il prossimo progetto a cui si dedicherà?
L’idea di proseguire la raccolta o con i Concordati americani o quelli asiatici si scioglierà presumo per il periodo pasquale 2023. Il sogno-obiettivo è di realizzare la prima raccolta di concordati per aree geopolitiche perché spesso la storia è determinata dalla geografia e gli uomini che la vivono ne traggono ispirazione anche sotto il profilo normativo.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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