Con un comunicato dello scorso 16 ottobre, la Segreteria Generale del Sinodo ha specificato che la prossima Assemblea Generale Ordinaria non si svolgerà in un unico evento, ma sarà articolata in un processo dinamico che vedrà il culmine in due assise, una nel 2023 e l’altra nel 2024, attenendosi alla Costituzione Episcopalis Communio che contempla tale possibilità all’art. 3. Il Sinodo non è più, dunque, inteso come evento unico, ma come processo, incominciato, nello specifico, nel 2021 con le fasi Diocesane. Per approfondire la tematica del Sinodo dei Vescovi QUI e QUI.
Disposizioni normative costitutive dell’Istituzione
Per rintracciare le Leggi che istituiscono il Sinodo dei Vescovi bisogna, indubbiamente, risalire al pontificato di Paolo VI e più specificatamente al motu proprio Apostolica Sollicitudo del 1965, da cui dipende l’Ordo Synodi Episcoporum celebrandæ databile nella sua versione ultima al 1971. Quest’ultimo può considerarsi una attuazione o concretizzazione di quanto più astrattamente disposto nel motu proprio; in definitiva un regolamento del Sinodo. Successivamente (per ordine temporale) ritroviamo il dettato del Codice del 1983 e del Codice delle Chiese Orientali del 1990. Naturalmente la fonte universale norma molto genericamente l’Istituto giuridico e rimanda alla normativa particolare, ad essa precedente [1].
Tali norme, come specificato dalla dottrina, si trovano tra di esse in un rapporto integrativo da cui emerge chiaramente che riferendosi al Sinodo dei Vescovi non si può in alcun modo parlare di una rappresentanza episcopale all’interno del governo della Chiesa universale, magari derivata dalla collegialità. Piuttosto si tratta di una assise, oggi con le parole del Pontefice possiamo dire di un processo, che rende presente la Chiesa universale nelle varie componenti locali e pastorali sottolineando la necessità della presenza di ogni luogo e regione dell’Orbe catholico [2].
Modifiche essenziali nella vigente normativa
L’attuale normativa sul Sinodo, come precedentemente indicato, è dettata dalla Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, promulgata il 15 settembre 2018. Questa dispone, sottolineando che l’assise episcopale è sottoposta all’autorità del Romano Pontefice che la presiede, che il Sinodo possa celebrarsi in una triplice modalità: in assemblea generale ordinaria [3], ordinaria straordinaria [4] e nella forma di una assemblea speciale [5] laddove volessero essere trattate tematiche specifiche di una determinata area geografica. Inoltre, è prevista una quarta modalità, ovvero la convocazione e celebrazione nelle modalità direttamente stabilite dalla persona del Supremo Legislatore, particolarmente per esigenze di natura ecumenica [6].
La novità forse più significativa, nonché punto centrale per la comunicazione presa in esame, è all’art. 3 della Costituzione, laddove il Legislatore stabilisce che l’assise sinodale a seconda della tematica e delle circostanze può essere celebrata in periodi distinti fra loro, restando i membri ininterrottamente in carica e premurandosi la Segreteria generale insieme al Relatore Generale e al Segretario, di promuovere congrue riflessioni nel periodo di intervallo tra una sessione e l’altra [7]. La ratio di questa importante novità riguardante il Sinodo può risiedere nella intenzione di favorire una comprensione della realtà sinodale quale dimensione costitutiva della Chiesa che di fatto non si sviluppa in io, ma nel noi che parte dalla Trinità, oltre che nel favorire tempi di discernimento più estesi e distesi. Così tutta la Chiesa è invitata a riflettere approfonditamente sulle tematiche che il Sinodo propone e sviluppa.
Considerazioni conclusive
La pur breve disamina della comunicazione della Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi, unitamente alla sottolineatura dell’art. 3 della Costituzione Apostolica Episcopalis Communio, ci suggeriscono due spunti di riflessione.
Il primo è il cambio di prospettiva del Supremo Legislatore nei confronti del Sinodo; non più un “evento” che sancisce magari il termine di studi pregressi, ma un “processo”, un divenire dinamico che invita tutta la Chiesa universale, insieme, a riflettere sulle tematiche proposte per divenire alla scoperta di nuovi percorsi e linguaggi suscitati alla Chiesa stessa dallo Spirito. Un lento processo di ascolto e di partecipazione che pone le varie componenti del governo ecclesiale a confronto. È importante, a tal proposito non dimenticare la dimensione giuridica prima indicata: non si tratta di una assemblea rappresentativa che partecipa alle decisioni come una sorta di “parlamento” o di concilio rappresentativo, ma di un organo che può garantire la partecipazione consultiva di tutta la Chiesa universale.
Il secondo spunto di riflessione che il Supremo Legislatore suggerisce è relativo alla natura della Chiesa. L’appartenenza alla Chiesa non è tanto un impegno o un compito: è piuttosto un “accorpamento” che è dono del Divino Fondatore. In questa prospettiva si capovolge, a partire dalla norma, anche la pastorale. Quest’ultima non parte più dall’alto per calarsi in basso, ma parte dalle istanze del basso per arrivare alla progettazione dall’alto.
Note
[1] Ci stiamo riferendo, nello specifico ai cann. 342-348 del C.J.C.
[2] cfr. P. Gherri, L’evoluzione della normativa canonica sul Sinodo dei Vescovi, in L. Baldisseri (ed.) , A cinquant’anni dall’Apostolica Sollicitudo. Il Sinodo dei Vescovi a servizio della Chiesa sinodale. Atti del seminario di studi organizzato dalla Segreteria Generale del Sinodo dei Vescovi (Città del Vaticano 6-9 febbraio 2016), Città del Vaticano 2016, 229.
[3] Art. 1 §2, n.1°.
[4] Art. 2 §2, n.2°.
[5] Art. 2 §2, n.3°.
[6] Art. 2 §3.
[7] Art. 3.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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