L’impedimento di crimine o coniugicidio can. 1090 § 1

coniugicidio
Marc Chagall, “gli sposi della Tour Eiffel”, 1938-1939, Centro Pompidou, Parigi

Continua la carrellata di impedimenti al matrimonio canonico. L’impedimento di crimine rende invalida la celebrazione del matrimonio canonico tra due persone poiché, entrambe o solo una di esse, è colpevole di coniugicidio commesso in determinate circostanze e a certe condizioni. In questo modo il Legislatore intende tutelare la sacramentalità del vincolo, la dignità delle persone e il rispetto della vita [1].

Precedenti storici

Da sempre la prassi vigente tra le prime comunità obbligava la donna alla fedeltà coniugale. In caso di violazione veniva comminata la pena di morte attraverso la lapidazione. Da tale obbligo veniva esonerato l’uomo, il quale poteva unirsi ad altre donne, purché nubili e vedove, senza essere soggetto ad alcuna pena [2]. Il primo divieto codificato è stato introdotto dal diritto romano, che vietava agli adulteri di contrarre un secondo matrimonio sia nel caso in cui il primo fosse stato sciolto, sia se non ci fosse stato il crimine di coniugicidio ma solo la promessa di sposare il complice dopo aver ottenuto la libertà [3]. In tale prospettiva l’adulterio acquisiva una rilevanza pubblica. L’autorità era competente nel sanzionare chi, soprattutto la donna, veniva colto in adulterio, privandolo della possibilità di contrarre nuove nozze [4].

La configurazione del coniugicidio come impedimento al matrimonio fu introdotta nel 566 da Giustiniano, il quale dichiarò la nullità dei matrimoni celebrati dopo l’adulterio e il crimine del coniuge [5]. Nei primi secoli della Chiesa l’adulterio veniva considerato come un peccato mortale, al pari dell’omicidio e dell’apostasia, e veniva sanzionato con una penitenza pubblica che variava nell’intensità e nella durata a seconda della gravità dell’adulterio commesso e che poteva colpire sia l’uomo che la donna [6]. Nei Concili tra il V e l’VIII secolo la Chiesa concentrò l’attenzione sul principio dell’indissolubilità del vincolo coniugale, stabilendosi che nessuna persona coniugata avrebbe potuto contrarre un nuovo matrimonio finché l’altro coniuge fosse stato in vita [7].

L’impedimento secondo il Decretum di Graziano

Il legame tra pubblica penitenza e adulterio ostacolava l’affermazione di quest’ultimo come impedimento matrimoniale. Tuttavia, tale connessione venne meno con il Decreto di Graziano, tanto da cominciare a considerare l’adulterio come impedimento dirimente [8]. L’ipotesi si configurava giuridicamente, se l’adulterio veniva commesso con l’intento di uccidere il coniuge dell’altro adultero o con una promessa di matrimonio o con cooperazione dei due adulteri nel coniugicidio. La legislazione grazianea fu confermata da Papa Gregorio IX (1227-1241), il quale recepì le tre ipotesi già individuate, precisando che la cooperazione nel coniugicidio dovesse avvenire in vista di un matrimonio [9].

La disciplina nel Codice del 1917

La normativa applicata trovò posto anche nel Codice di Diritto Canonico del 1917. Il can. 1075 prevedeva quattro casi rientranti nella fattispecie: il caso di adulterio consumato con copula perfetta tra le parti le quali, pur legate da un vincolo coniugale, promettevano di sposarsi tra loro dopo la morte dei rispettivi coniugi; il caso di una delle parti che, già unita in vincolo matrimoniale, contraeva un secondo matrimonio invalido; il caso di coniugicidio commesso da un adultero in pendenza di un valido legame matrimoniale in vista di un nuovo matrimonio; e il caso di coniugicidio organizzato da entrambe le parti con reciproco aiuto fisico o morale [10].

La disciplina vigente: il can. 1090 CIC 1983

Il Codice di Diritto Canonico in vigore restringe l’ambito di applicazione dell’impedimento in esame a due ipotesi: il coniugicidio in vista di matrimonio e la cooperazione tra le parti nel coniugicidio, anche se realizzata senza l’obiettivo del matrimonio. Il can. 1090 § 1 sancisce infatti che “Chi, allo scopo di celebrare il matrimonio con una determinata persona, uccide il coniuge di questa o il proprio, attenta invalidamente tale matrimonio”. § 2: “Quantunque il matrimonio precedente sia, per qualunque causa, nullo o sciolto, non per questo è lecito contrarne un altro prima che si sia constatata legittimamente e con certezza la nullità o lo scioglimento del precedente”.

L’ipotesi dell’adulterio è ormai esclusa dalle previsioni normative e, pertanto, l’impedimento si configura solo in caso di coniugicidio realizzato da uno o da entrambi i coniugi coinvolti. I requisiti perché l’impedimento sussista sono: il coniugicidio, l’intenzione di contrarre matrimonio e la cooperazione fisica e morale nel coniugicidio. Finalità del legislatore è tutelare la santità del matrimonio e la vita dei coniugi, impedendo a chi uccide il proprio coniuge per sposarsi con altra persona o con il coniuge superstite di contrarre un nuovo matrimonio. A monte vi è lo scopo di proteggere l’indissolubilità del matrimonio [11].

Requisiti e cessazione dell’impedimento

Si configura l’impedimento di crimine se: almeno una delle parti che intendono contrarre matrimonio sia cattolica; esistenza di un matrimonio valido per una delle parti e il coniuge di cui si è procurata la morte; morte reale del coniuge e nesso causale tra l’evento e l’azione delittuosa. In tale prospettiva, l’impedimento in esame non può cessare né per se stesso né per volontà degli interessati. Tuttavia, esso è di diritto ecclesiastico, pertanto è dispensabile da parte della competente autorità che, nel caso, è unicamente la Sede Apostolica ai sensi del can. 1078 § 2. L’intervento della dispensa causerebbe grande scandalo tra i fedeli e per questa ragione viene concessa molto raramente.

Note

[1] L. SABBARESE, Il matrimonio canonico nell’ordine della natura e della grazia. Commento al Codice di Diritto Canonico, Libro IV, Parte I, Titolo VII, UUP, Città del Vaticano, 2019, p. 224 ss.

[2] G. OESTERLE, Crime (empechement de mariage), in AA.VV., Dictionnaire de Droit Canonique, vol. IV, Librairie Letouzey et Ané, Parigi, 1949, col. 764.

[3] P. ANDREINI, Corso di Diritto Canonico. De Matrimonio, Editrice Compositori, Bologna, 1998, p. 112 ss.

[4] U. NAVARRETE, Gli impedimenti relativi alla dignità dell’uomo: aetas, raptus, crimen, in AA.VV., Gli impedimenti al matrimonio canonico, LEV, Città del Vaticano, 1989, p. 90 ss.

[5] P. MONETA, Il matrimonio nel diritto della Chiesa, Il Mulino, Bologna, 2014, p. 102 ss.

[6] A. D’AURIA, Gli impedimenti matrimoniali, Lateran University Press, Città del Vaticano, 2007, p. 162 ss.

[7] P. PELLEGRINO, Gli impedimenti relativi alla dignità dell’uomo nel matrimonio canonico, Giappichelli, Torino, 2000, p. 81 ss.

[8] F.X. WERNZ – P. VIDAL, Ius canonicum, Tom. V, Ius matrimoniale, Pontificia Università Gregoriana, Roma, 1925, p. 382 ss.

[9] E. VITALI, Profili sull’impedimentum criminis, Giuffré, Milano, 1979, p. 216 ss.

[10] A. BOGGIANO PICO, Il matrimonio nel diritto canonico, Utet, Torino,1936, p. 270 ss.

[11] L. CHIAPPETTA, Il Codice di diritto canonico. Commento giuridico-pastorale, vol. 2, EDB, Bologna 20113, p. 481 ss.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)

 

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