Inquadramento sistematico
Il Can. 208 è il canone di apertura del Titolo I. Obblighi e diritti di tutti i fedeli, parte I. I fedeli cristiani del Libro II. Il popolo di Dio. Il I titolo costituisce lo statuto giuridico dei christifideles, appartenenti al Popolo di Dio.
È la prima e solenne dichiarazione degli obblighi e diritti fondamentali, formulati per la prima volta in modo organico anche se incompleto nella legislazione canonica.
Si può anche notare una certa somiglianza con le dichiarazioni civili fatte nelle costituzioni statuali (ad esempio in quella italiana la prima parte è divisa in diritti e doveri fondamentali), oppure da organi internazionali (come ad esempio la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’uomo, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo ecc.), tuttavia rimane sostanzialmente diverso per spirito, contenuto, origine e finalità; infatti si tratta di doveri e diritti ecclesiali che scaturiscono dall’incorporazione alla Chiesa, Corpo Mistico di Cristo, in ragione del battesimo.
A ragion di questo, avrebbero dovuto essere inclusi soltanto i diritti fondamentali che derivano da esso, che sono gli unici ad essere definiti come diritti fondamentali del fedele, ed esclusi i diritti naturali e positivi; tuttavia non si mantiene questo rigore tecnico-giuridico (come non lo è nemmeno nella dichiarazione dei diritti umani).
L’elenco dei cann. 208-223 va integrato e chiarito con numerosi altri obblighi e diritti. Se si leggono questi canoni si può notare come non ci sia un ordine assoluto in quanto vanno letti nell’insieme, per questo prende il nome di statuto.
Proprio la determinazione di uno statuto, inteso come ordinamento organico e compatto di obblighi e diritti di tutti i fedeli, costituisce uno degli aspetti più importanti della codificazione del 1983: infatti mentre nel CIC, gli obblighi e i diritti di tutti i fedeli sono all’inizio del libro II, manifestando così una portata prioritaria di quanto viene in seguito disposto, nel CCEO i canoni sui fedeli e i loro rispettivi diritti e doveri sono inseriti nel titolo I, avviando tutto il corpo normativo; si noti inoltre la precedenza dei diritti rispetto ai doveri che è indice di un superamento del timore che l’affermazione dei diritti potesse minacciare la comunione e la gerarchia.
Infine, mentre nel CIC del 17 vi era un solo canone (il can. 87) nel quale si faceva riferimento a diritti e doveri in modo generico e precisando i limiti e le prerogative dell’autorità ecclesiastica, in quello attuale lo statuto del fedele precede la strutturazione dell’autorità e del governo dimostrando come tra i due ambiti (diritti e poteri) non vi è dialettica ma armonia e continuità sistematica.
Ricostruzione storica
La qualificazione della fondamentalità è una caratteristica dei codici secolari che si è maturata negli Stati e nelle comunità internazionali nell’ambito dei diritti umani.
Nelle ultime fasi di evoluzione del progetto LEF si giunse, con il textus emendatus, alla configurazione del De Christifidelium officiis et iuribus fundamentalibus.
Ma al Congresso di Friburgo del 1980 ci fu una grande tensione fra chi era favorevole (Lombardía) e chi invece era contrario (Corecco).
Si preferì rinunciare alla qualifica di iura fundamentalia nel trasferimento nel codice del contenuto relativo ai diritti e doveri dei cristifideles.
La riserva ha una triplice motivazione di ordine culturale, metodologico e sostanziale.
La prima proviene dall’origine dei diritti fondamentali nati in ambito dell’illuminismo, giusrazionalismo e liberalismo.
La seconda è dovuta al timore di confusione tra il pensiero canonico con quello secolare.
La terza è causata da una diversa matrice: individuale e dialettica, per il costituzionalismo secolare, comunitaria e armonica, per l’ordinamento canonico, per cui non si può affermare la primarietà dei fedeli rispetto alla Chiesa perché c’è una contestualità di entrambi.
Superate le diversità di opinioni, oggi la categoria è stata pacificamente accettata; parlare di diritti fondamentali assume infatti una duplice importanza: essi costituiscono il fondamento della condizione giuridica del battezzato e hanno un certo grado di resistenza passiva alla derogazione o abrogazione da parte del legislatore specie se riproducono principi di diritto divino che derivano dal battesimo. Infine si deve osservare che essi hanno una valenza garantista nei confronti dei possibili abusi, funzionale per il raggiungimento di finalità soprannaturali e comunitaria perché tendono al soddisfacimento di interessi collettivi.
Commento esegetico
Il titolo si apre con la dichiarazione del principio d’eguaglianza radicale o fondamentale, con le parole quasi contestuali di LG 32.
La ragione di tale esordio è chiara: solo tra eguali possono intercorrere perfette relazioni di giustizia. Il principio d’eguaglianza radicale si concretizza nel fatto che, in virtù del Battesimo, tutti coloro che lo hanno ricevuto sono egualmente fedeli (non si è più o meno fedele per il fatto di ricevere l’Ordine Sacro o un ufficio) ed i diritti hanno la stessa forza per tutti titolari. Tutti i fedeli sono uguali in dignità.
La dignità è l’eccellenza dell’essere, dunque s’intende la chiamata/diritto al fine soprannaturale, cioè l’uguale vocazione alla santità o unione con Dio attraverso l’amore.
L’ecclesiologia del Concilio Vaticano II si fonda sulla comunione e, pur confermando il principio gerarchico d’istituzione divina, pone a base della struttura costituzionale della Chiesa il principio d’uguaglianza radicale “nella dignità e nell’azione”, eliminando il dualismo chierici-laici e chiamando tutti ad una partecipazione alla vita ecclesiale. In questa prospettiva, la struttura della Chiesa appare in profonda unità e armonia: il principio gerarchico è contemperato dal principio d’uguaglianza e viceversa.
Alla luce di quanto detto, si possono comprendere quali sono gli elementi che compongono i diritti e doveri: la relazionalità (elemento umano) e la tutela della dignità cristiana (elemento divino). Inoltre, si tratta di beni dovuti in giustizia: non si tratta di pretese o di valori ma di entità reali e non materiali (impostazione realista e concreta).
Ancora si caratterizzano per essere: universali (comuni a tutti i fedeli), assoluti (rivendicabili erga omnes) e inalienabili (in quanto hanno il loro fondamento nell’essere proprio del fedele). In definitiva, è possibile concludere, affermando come oggi nella Chiesa il can. 208 costituisce un costante richiamo per la sinodalità, di cui richiama spesso il Romano Pontefice: di fatto soltanto con una comune matrice di uguaglianza si può auspicare un cammino della Chiesa sinodale all’insegna della diaconia e del servizio verso il prossimo.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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