Il can. 1086 § 1
Tra gli impedimenti al matrimonio canonico il Legislatore universale disciplina quello di disparitas cultus. Il can. 1086 § 1 prevede che “È invalido il matrimonio tra due persone, di cui una sia battezzata nella Chiesa cattolica o in essa accolta, e l’altra non battezzata”. Si sancisce dunque la nullità di un matrimonio contratto tra un battezzato cattolico ed un non battezzato. Se il matrimonio, invece, fosse celebrato tra un battezzato cattolico e un battezzato acattolico, si configurerebbe l’ipotesi di matrimonio misto, per la cui liceità il Legislatore prescrive il rilascio della licenza da parte della competente autorità (can. 1124 CIC).
“… di cui una sia battezzata nella Chiesa cattolica …”
Al fine di determinare quando un soggetto sia stato battezzato nella Chiesa cattolica, occorre seguire determinati criteri: se il battezzando è infante, cioè bambino che non ha compiuto i sette anni o, se li ha compiuti, non ha ancora l’uso della ragione o, in generale, è un soggetto abitualmente privo dell’uso della ragione, il criterio primario è l’intenzione dei genitori o di coloro che legittimamente tengono il loro posto, i quali hanno il dovere di presentare l’infante perché sia battezzato; se mancano i genitori o i loro legittimi sostituti, subentra il criterio dell’intenzione del ministro. Se, invece, il battezzando è adulto, cioè ha compiuto i sette anni e gode di uso di ragione, il criterio primario è l’intenzione dello stesso adulto; diversamente subentra la volontà dei genitori o di coloro che li sostituiscono, mancando la quale ci si rimette all’intenzione del ministro.
“… o in essa accolta …”
Il can. 11 CIC 1983 sancisce che le leggi ecclesiastiche non sono imposte a tutti i battezzati ma solo ai battezzati nella Chiesa cattolica o in essa accolti. È chiaro che, perché un battezzato sia accolto a tutti gli effetti canonici nella Chiesa cattolica, non sono richiesti tutti i requisiti giuridici che, invece, si richiedono quando si parla di abbandono della Chiesa. Su questa linea, oggi, l’impedimento di disparitas cultus sussiste soltanto per i cristiani e per coloro che, pur battezzati in una confessione acattolica, appartengono ormai al cattolicesimo.
La ratio dell’impedimento
Diversi sono i motivi posti a fondamento della ratio del can. 1086 CIC: anzitutto tutelare la fede e la pratica cristiana della parte cattolica, che potrebbero essere poste in pericolo dalla convivenza coniugale con un partner non battezzato; assicurare l’educazione cattolica alla prole, nonché garantire agli sposi e all’intera famiglia una piena comunione di vita che potrebbe essere compromessa da una fede religiosa diversa. Una parte della dottrina ha affermato che tali motivazioni, per quanto oggettive, non sono tali da giustificare il perdurare di un impedimento dirimente, che sarebbe stato più opportuno sopprimere equiparando la disparitas cultus alla mixta religio.
Infatti, la differenza di religione, soprattutto in considerazione della composizione della società attuale, non costituisce di per sé una circostanza di tale gravità da indurre il Legislatore a farne oggetto di un divieto invalidante, con la conseguente limitazione della capacità matrimoniale dei soggetti contraenti e del loro ius connubii. Anziché proibire il matrimonio, si è proposto infatti di rendere più efficaci gli interventi di carattere pastorale preventivi alla celebrazione del matrimonio, in modo da indurre nei nubendi la piena consapevolezza delle difficoltà, dei pericoli e delle controindicazioni che questo tipo di matrimonio può comportare sia sul piano della comunione interpersonale, sia su quello del mantenimento della fede religiosa, lasciando alla loro coscienza l’ultima decisione in proposito [1].
Disparità di culto e sacramentalità del matrimonio
Una parte della dottrina ritiene che un matrimonio contratto con dispensa da disparità di culto non abbia dignità sacramentale [2]. Nel matrimonio tra un battezzato cattolico e un non battezzato risulta certamente più difficile l’integrazione degli sposi nell’intima communitas vitae et amoris (Concilio Vaticano II, Gaudium et Spes, n. 48), che è propria del matrimonio e che coinvolge le dimensioni più personali e profonde dei coniugi. È stato infatti sottolineato che nel matrimonio cristiano i beni da attuare e le finalità da raggiungere non sono soltanto quelle dell’istituzione naturale del matrimonio, ma anche quelle altissime che il Signore ha voluto annettere al fatto di avere elevato il matrimonio a segno efficace di grazia, immagine e partecipazione del patto d’amore di Cristo e della Chiesa, e che possono essere raggiunte in quanto i coniugi sono uniti in matrimonio-sacramento, vivendo in coerenza di fede la loro comunità di vita e di amore, propria del matrimonio.
Nel matrimonio con disparità di culto, invece, si ha una dissociazione degli animi in cose della massima profondità e importanza, che toccano il più intimo delle persone, come le loro convinzioni religiose [3]: tale dissociazione comporta di per sé una diversità di comportamento in merito ad aspetti che possono ostacolare in gran parte la comunione di vita degli sposi, come ad esempio il numero e l’educazione dei figli o la pratica esterna dei doveri religiosi. Tuttavia, ciò non significa che questi matrimoni siano privi di qualsivoglia rilevanza nella vita di fede dei battezzati e delle famiglie, che da queste unioni verranno formandosi [4]. La sacramentalità non investe infatti soltanto la parte cattolica, in quanto la natura del matrimonio canonico è sinallagmatica: ciò implica un’identità di effetti per entrambe le parti esigendo che, dal medesimo atto, scaturisca per ciascun coniuge lo stesso effetto. Pertanto, avendo il contratto uguale efficacia tra le parti, il sacramento deve essere uno e indiviso.
Disparità di culto e tutela dello ius connubii
L’obiettivo delle prescrizioni normative non è limitare lo ius connubii di un soggetto, bensì assolvere ad una funzione preventiva e pedagogica. Il can. 1086 intende infatti dissuadere la parte cattolica dall’accedere ad una tipologia matrimoniale che la menomerebbe della essenziale dimensione sacramentale [5]. La Chiesa avverte la costante preoccupazione di tutelare il diritto divino, partendo dal presupposto che il cattolico che sposa un non battezzato si colloca in una situazione di pericolo che lo porterebbe a non essere fedele alle esigenze fondamentali della vita cristiana (Es. 34, 15-16). Tuttavia, l’impedimento de quo è di diritto ecclesiastico, pertanto dispensabile alla luce della particolare disciplina presente nell’attuale Codice, per cui si richiede alla parte cattolica di dichiarare di essere pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e di promettere di fare quanto le è possibile perché tutti i figli che nasceranno da questo matrimonio siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica. Alla parte non battezzata, invece, si richiede di essere informata delle promesse fatte da quella cattolica.
Le condiciones del can. 1086 § 2
“§2. Non si dispensi da questo impedimento se non dopo che siano state adempiute le condizioni di cui ai cann. 1125 e 1126”. Il can. 1086 § 2 prescrive le condizioni da adempiere per ottenere la dispensa dall’impedimento di disparità di culto. Esse sono disciplinate ai cann. 1124-1125, che sono le norme in materia di matrimoni misti. Il can. 1125 sancisce che “1°: la parte cattolica si dichiari pronta ad allontanare i pericoli di abbandonare la fede e prometta sinceramente di fare quanto è in suo potere perché tutti i figli siano battezzati ed educati nella Chiesa cattolica; 2°: di queste promesse che deve fare la parte cattolica sia tempestivamente informata l’altra parte, in maniera tale che consti che questa è realmente consapevole della promessa e dell’obbligo della parte cattolica; 3°: entrambe le parti siano istruite sui fini e le proprietà essenziali del matrimonio, che non devono essere escluse da nessuno dei due contraenti”.
Nel Codice pio-benedettino tali condizioni erano chiamate cautiones, quasi a voler evidenziare una sorta di pregiudizio nei confronti della parte non battezzata [6]. Ad oggi il senso di tale previsione non è quello di frapporre un ostacolo alla costituzione del vincolo coniugale, bensì una premessa per la costruzione di un ponte che porti alla realizzazione del foedus matrimoniale. Competente a concedere la dispensa è, ex can. 1125, l’Ordinario del luogo (non vi è più riserva in favore della Santa Sede), il quale può dispensare i propri sudditi ovunque dimorino e quanti vivono attualmente nel suo territorio. Il rilascio della dispensa è tuttavia soggetto alla presenza di una giusta e ragionevole causa: una motivazione non inconsistente né futile, affinché la dispensa giovi al bene spirituale degli interessati [7].
Il can. 1086 § 3: il principio del favor matrimonii
“§3. Se al tempo della celebrazione del matrimonio una parte era ritenuta comunemente battezzata o era dubbio il suo battesimo, si deve presumere a norma del can. 1060 la validità del matrimonio finché non sia provato con certezza che una parte era battezzata e l’altra invece non battezzata”. La disposizione è ispirata al principio del favor matrimonii (can. 1060) e trova applicazione soprattutto nei luoghi di missione o in quelli in cui non sia possibile tenere con precisione i registri dei fedeli da parte degli ecclesiastici responsabili delle varie comunità e di coloro che li coadiuvano, comportando la possibilità di incertezze sul carattere o meno di battezzato di un soggetto [8]. Dunque, nel caso di dubbio emerso prima del matrimonio, non è necessaria la dispensa da questo impedimento; se, invece, il dubbio sorge dopo il matrimonio ed esso è insuperabile, il legislatore stabilisce una presunzione di diritto circa la validità del matrimonio. Tale presunzione viene meno solo nel caso in cui si accerti che una parte era battezzata e l’altra non era battezzata, sussistendo in tal caso l’impedimento di disparitas cultus. Il matrimonio si presume valido fino al momento in cui si provi con certezza l’esistenza del battesimo in capo a una parte e la sua assenza in capo all’altra.
Note
[1] P. MONETA, Diritto al matrimonio e impedimenti matrimoniali, in AA.VV., Gli impedimenti al matrimonio canonico. Scritti in memoria di Ermanno Graziani, LEV, Città del Vaticano, 1989, pp. 27-28.
[2] A. PERLASCA, La sacramentalità del matrimonio contratto con dispensa dall’impedimento di disparitas cultus, in Quaderni di diritto ecclesiale, 3, 2011, pp. 294-295.
[3] U. NAVARRETE, Matrimoni misti: conflitto tra diritto naturale e teologia?, in Quaderni di diritto ecclesiale, 2, 1992, p. 279.
[4] F. LA CAMERA, Ossimori impliciti e tautologie esplicite nella disciplina della dispensa da disparitas cultus tra cattolici e islamici, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), novembre 2008, p. 6 ss.
[5] D. MOGAVERO, Il matrimonio con dispensa per disparitas cultus nell’ordinamento canonico, in Quaderni della Segreteria Generale CEI, 2007, p. 58 ss.
[6] O. FUMAGALLI CARULLI, Il matrimonio canonico tra principi astratti e casi pratici. Con cinque sentenze rotali commentate, Vita e Pensiero, Milano, 2012, p. 55 ss.
[7] D. SALACHAS, Matrimoni misti nel Codice Latino e nel Codice dei Canoni delle Chiese Orientali Cattoliche, in P.A. BONNET, C. GULLO (a cura di), Diritto matrimoniale canonico, vol. III, LEV, Città del Vaticano, 2005, p. 224 ss.
[8] L. MUSSELLI, Manuale di diritto canonico e matrimoniale, Monduzzi, Bologna, 1997, p. 163 ss.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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