Tra giustizia e misericordia…
La riflessione sulla giustizia della pena è espressione della centralità che assume la questione della misericordia di Dio nel magistero di papa Francesco (si veda, in particolare, la bolla Misericordiae Vultus).
Proprio il magistero pontificio è da intendersi, sotto il profilo canonistico, quale criterio ermeneutico sul quale fondare e interpretare lo stesso diritto ecclesiale, in quanto segnerebbe il passaggio dalla giustizia della carità alla carità della giustizia.
È in occasione, appunto, del Giubileo straordinario della Misericordia che papa Francesco chiede l’amnistia per i detenuti – ricordando, con ogni probabilità l’amnistia concessa dall’Italia nel 1963 in occasione del Concilio Vaticano II – e assimila la porta della cella alla Porta Santa giubilare concedendo, in un gesto che ha dello straordinario, l’indulgenza ai detenuti che passano la porta della loro cella, con spirito di pentimento.
La dignità dell’uomo è superiore al crimine commesso
A prescindere dal crimine commesso non viene meno la dignità dell’uomo, in quanto creato a immagine e somiglianza di Dio. La presenza del male e di una evidente condizione di peccato nella vita di un individuo non ne elimina la dignità di figlio di Dio.
Un principio universale è quello della dignità assoluta della persona umana, se si pensa che esso è accolto anche in altre confessioni religiose e in variegate tradizioni culturali e giuridiche, come ad esempio possiamo leggere nella Dichiarazione sui diritti dell’uomo nell’Islam del Consiglio Islamico d’Europa del 1981 che all’art. 7 afferma: «Qualunque sia il crimine commesso e qualunque sia la pena prevista dalla Legge islamica, la dignità dell’uomo e la sua nobiltà di figlio d’Adamo devono essere sempre salvaguardate».
D’altronde, la misericordia divina non può che operare a cominciare da una coscientizzazione del crimine commesso, che porta al pentimento e, successivamente, alla necessità della soddisfazione, nel senso di riparazione civile. Se è vero che, come ha detto papa Benedetto XVI, «il perdono non sostituisce la giustizia», questo non indica che il perdono abbia un valore soltanto privato, in quanto diverse esperienze di giustizia riparativa dimostrano, nella pratica, come il perdono possa essere una componente decisiva nei processi di realizzazione (anche pubblici) della giustizia.
La pena nell’ottica della giustizia riparativa
Il baricentro della questione si sposta sul tema della giustizia riparativa. In riferimento alla funzione della pena, papa Francesco propone il passaggio da una giustizia basata sulla retribuzione ad una basata sulla riparazione, il cui modello è l’icona evangelica del Samaritano. In un discorso, che il Pontefice rivolge nel 2019 ai partecipanti al XX Congresso mondiale dell’associazione internazionale di diritto penale, riprende l’icona evangelica del modello di giustizia riparativa rappresentata da Gesù di Nazareth, il quale: «Dopo essere stato trattato con disprezzo e addirittura con violenza che lo portò alla morte, in ultima istanza, nella sua risurrezione, porta un messaggio di pace, perdono e riconciliazione».
Sembra che il modello di giustizia riparativa sia connaturato ai fondamenti della stessa istituzione ecclesiale, tanto che tradizionalmente nell’ordinamento penale canonico alcune categorie di pene (le censure) sono denominate pene medicinali, proprio per «sottolineare l’intenzione della Chiesa di ottenere, tramite esse, il ravvedimento del soggetto cui la pena è inflitta». In effetti, com’è stato osservato, «tra la pena medicinale canonica e i provvedimenti di giustizia riparativa sembra stabilirsi una feconda possibilità di confronto e scambio culturale».
In conclusione, sembrano tre gli elementi più significativi che emergono dall’analisi sulla funzione della pena nel magistero di Francesco:
1) Viene in rilievo l’irrinunciabilità per la Chiesa del principio della carità , da cui discende l’impossibilità di considerare il prossimo come nemico e l’impossibilità di legittimare qualsivoglia forma di violenza perpetrata ai danni dell’individuo.
2) Va sottolineata l’irrinunciabilità del primato della persona umana su qualsivoglia interesse sociale di difesa, non solo individuale ma anche sociale e collettiva.
3) Infine, il radicamento della legittimità dell’intervento sanzionatorio da parte di diversi ordinamenti giuridici, compreso quello italiano, in quella funzione rieducativa della pena che riconosce al condannato il diritto di avere una seconda chance, determina una profonda rielaborazione delle ragioni che giustificano il diritto penale della modernità ma anche una rigorosa delimitazione dai suoi confini.
La vera funzione della pena
Il papa avverte e denuncia una certa sopravvalutazione della pena, a cui la società sempre più spesso affida la risoluzione di problemi che necessiterebbero di approcci ben più complessi.
La ricerca del capro espiatorio è ovviamente la strada più semplice e più comoda da imboccare per chi detiene il potere in ogni tempo e in ogni tipo di società, così come la tendenza a rendere invisibile il disagio, confinandolo in più carceri o in carceri sempre più grandi, o come accade in questi giorni espellendolo dai confini nazionali e dalle strutture di accoglienza, è strategia che rassicura gli elettori ma non elimina alcun problema.
Queste principali prese di posizione di papa Francesco in materia penale toccano alcuni aspetti che appaiono cruciali anche per l’ordinamento.
Il sovraffollamento delle carceri, l’abuso della custodia cautelare, il populismo penale, lo sdoganamento della vendetta e la riduzione dei diritti del reo sono tutte questioni con cui gli operatori giuridici e i cittadini sono chiamati a fare i conti.
Peraltro, non si è mai fermata l’attività di chi si batte per ottenere l’adeguamento delle pene al tipo di illecito, per sostenere lo sviluppo in senso umano e meno crudele del diritto penale, per giungere ad una funzione della pena quale espressione del principio di misericordia.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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