L’evoluzione normativa sui delitti riservati
Nel 2001 il Santo Padre Giovanni Paolo II aveva promulgato un documento di grande importanza, il Motu Proprio Sacramentorum sanctitatis tutela che attribuiva alla Congregazione per la Dottrina della Fede la competenza per trattare e giudicare nell’ambito dell’ordinamento canonico una serie di delitti particolarmente gravi, per i quali la competenza era precedentemente attribuita anche ad altri Dicasteri o non era del tutto chiara.
Unitamente alla stessa si è avuta la pubblicazione un altro documento, segnatamente le Norme de gravioribus delictis Congregationis pro Doctrina Fidei reservatis, suddiviso in Normae substantiales e Normae processuales.
Dopo quasi un decennio dalla promulgazione del m.p. Sacramentorum sanctitatis tutela, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha avvertito la necessità di produrre alcuni emendamenti alle citate Normae de gravioribus delictis. L’esperienza ha naturalmente suggerito l’integrazione e l’aggiornamento di tali Normae, in modo da poter sveltire o semplificare le procedure per renderle più efficaci, o tener conto di nuove problematiche. Dopo un attento studio da parte della Sezione disciplinare della Congregazione per la Dottrina della Fede, Papa Benedetto XVI con decisione del 21 maggio 2010, approvava le riforme da apportare alla normativa in parola, disponendone la promulgatio.
L’intervento legislativo di Papa Francesco sul piano sistematico
Undici anni dopo, Papa Francesco ha promulgato una nuova versione delle Norme sui delitti più gravi riservati alla Congregazione per la Dottrina della Fede, aggiornando e modificando il testo promulgato nel 2001 da Giovanni Paolo II, e rivisto nel 2010 da Benedetto XVI.
Bisogna prima di tutto evidenziare che le norme del 2021 non introducono alcun nuovo delitto riservato alla Congregazione per la Dottrina della fede. La tipizzazione dei delitti è infatti rimasta invariata.
Andiamo ora a vedere le novità più importanti introdotte nel testo normativo:
Il Papa ha armonizzato le Normae con il Libro VI del Codice di diritto canonico, che ricordiamo, è stato promulgato con il Motu Proprio Pascite gregem Dei del 23 maggio 2021 ed è entrato in vigore l’8 dicembre 2021.
Si può vedere come la nuova disciplina inglobi i numerosi provvedimenti di vario genere emanati soprattutto dal 2016 a oggi, ad esempio il Motu Proprio Come una madre amorevole, il Motu proprio Vos estis lux mundi e i due Rescripta ex Audientia SS.mi del 3 e 6 dicembre 2019. Ciò è finalizzato a una più sicura e incisiva protezione penale dei beni maggiori della Chiesa: la fede, la santità dei sacramenti, la vita delle persone più deboli che hanno limitati mezzi di protezione, ovvero minori e adulti con un abituale uso imperfetto della ragione.
Le novità procedurali in tema di delitti riservati
Le modifiche introdotte riguardano per lo più aspetti di procedura, volti a chiarire e facilitare il corretto svolgimento dell’agire penale della Chiesa per l’amministrazione della giustizia.
Si è compiuta una distinzione più chiara tra processo giudiziale (can. 1721 CIC e can. 1472 CCEO) e procedura per decretum extra iudicium (detta anche “extragiudiziale”: cann. 1342 § 1 e 1720 CIC e can. 1486 CCEO), che nel testo precedente non pareva sufficientemente evidenziata. Per esempio le norme del 2010 davano priorità al processo giudiziale lasciando quello extragiudiziale – anche detto “amministrativo” – come eccezione. Ora anziché definire uno norma e l’altro eccezione, pur dando priorità al primo si fa entrare anche il secondo nella prassi.
Si è prevista la possibilità di deferire direttamente alla decisione del Papa, in merito alla dimissione o alla deposizione dallo stato clericale, insieme alla dispensa dalla legge del celibato e — nel caso — dai voti religiosi, anche i casi di particolare gravità di delitti contra fidem (art. 2).
Si nota anche la modifica dei termini per la presentazione dell’appello dopo la sentenza di prima istanza (da un mese a 60 giorni), così da uniformare la procedura giudiziale a quella extragiudiziale, atteso che la precedente normativa che differenziava i termini ha spesso indotto in errore, con conseguenti ricadute negative sul diritto di difesa.
Si è stabilita la necessità di un «patrono» che assista l’accusato nella fase processuale, così da garantire ulteriormente il diritto di difesa dell’accusato. Ciò era già presente nel Regolamento del Collegio per l’esame dei ricorsi in materia di delicta graviora (art. 6).
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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