La benedizione delle corone nel corso del matrimonio secondo il rito orientale, celebrato nell’eparchia di Piana degli Albanesi (Fonte: teaeventi.it)
Il can. 828
Per i cattolici di rito orientale gli elementi costitutivi della forma canonica ordinaria per la valida celebrazione del matrimonio sono disciplinati dal can. 828 CCEO. Essi sono: il ritus sacer, la presenza del ministro competente e la presenza di almeno due testimoni.
Il ritus sacer
Prescritto per la prima volta per la validità della forma ordinaria della celebrazione del matrimonio con il motu proprio Crebrae allatae sunt del 22 febbraio 1949 [1], il rito sacro della celebrazione del matrimonio vede nella benedizione nuziale l’atto centrale dello stesso. Per ritus sacer si intende l’intervento del sacerdote che assiste e benedice il matrimonio (can. 828 § 2 CCEO) [2]: in tal modo è posta in risalto la dimensione divina e divinizzante del sacramento in esame [3]. Occorre rilevare, altresì, che non si tratta di una qualsiasi benedizione augurale del sacerdote [4], ma di quella del ministro della Chiesa per trasmettere, in virtù dell’opera dello Spirito Santo, la grazia sacramentale: egli assiste al matrimonio per chiedere la manifestazione del mutuo consenso degli sposi e riceverla in nome della Chiesa e benedice il matrimonio per invocare lo Spirito Santo sugli stessi che li trasforma in immagine dell’unione tra Cristo e la sua Chiesa [5].
Il ministro competente
Il CCEO prevede che solo il sacerdote, in virtù dell’ordinazione, può benedire il matrimonio: non ogni sacerdote, ma solo quelli che a norma del diritto hanno la facoltà di compiere questo atto. Dunque, ex can. 828 § 1: “sono validi soltanto i matrimoni che si celebrano alla presenza del Gerarca del luogo o del parroco o di un sacerdote al quale, dall’uno o dall’altro, è stata conferita la facoltà di benedire il matrimonio”. Il Codice delle Chiese Orientali, diversamente dal CIC, non ammette la possibilità di conferire delega al diacono e al laico per benedire il matrimonio, in quanto il ruolo del sacerdote è attivo e la sua funzione non è certamente esercitabile o sostituibile da chi non è insignito dell’ordine sacro.
I testimoni
Terzo elemento formale richiesto a pena di invalidità del matrimonio è la presenza di almeno due testimoni: essi, da un lato, sono chiamati a testimoniare che il matrimonio sia stato celebrato a norma del diritto e, dall’altro, testimoniano il sacramento e il nuovo stato di vita degli sposi nella comunità ecclesiale. In forza del ruolo che rivestono, a differenza della legislazione latina, per adempiere il ruolo di teste non solo bisognerà avere uso di ragione in relazione alla funzione svolta ma occorrerà anche avere fede sulla sacramentalità del matrimonio.
Le differenze tra il CIC e il CCEO in materia di forma del matrimonio
Sono evidenti, pertanto, le differenze relative agli elementi essenziali della forma canonica ordinaria tra il CIC e il CCEO: il ritus sacer, richiesto ad validitatem nel CCEO e le caratteristiche che i soggetti legittimamente deputati alla funzione di assistere alla celebrazione del matrimonio in nome della Chiesa devono avere [6].
Tali differenze generano diversità in merito a talune questioni che caratterizzano entrambe le discipline codicistiche. Circa i matrimoni celebrati senza sacerdote, fermo restando che in entrambi i casi vige il principio dell’inseparabilità tra matrimonio valido e sacramento nell’unione tra due battezzati, anche il CCEO riconosce la validità di unioni simili per non mortificare il diritto dei fedeli al matrimonio per mancanza di strutture amministrative e pastorali adeguate. Nel caso di fedeli orientali affidati all’Ordinario latino a norma del can. 916 § 5 CCEO, l’Ordinario latino, e solo questi, sarà considerato come il proprio gerarca: ciò, tuttavia, non comporterà che, in forza del can. 1127 § 2 CIC, possa dispensare dalla forma canonica i fedeli orientali, a lui affidati, per contrarre matrimonio con un acattolico battezzato latino o orientale oppure con un non battezzato, in quanto il fedele orientale non perde il suo status di fedele iscritto alla propria Chiesa sui iuris, restando soggetto alle norme del CCEO. È ammessa, invece, la possibilità di delegare a un diacono latino la facoltà di assistere e benedire il matrimonio dei fedeli di cui al can. 916 § 5 CCEO [7], in quanto egli è ontologicamente e legalmente idoneo a benedire matrimoni.
La riforma di Papa Francesco: la Lettera apostolica De concordia inter Codices
Papa Francesco, conscio delle differenze esistenti tra i due corpi normativi, ha affermato che “le discrepanze inciderebbero negativamente sulla prassi pastorale, specialmente nei casi in cui devono essere regolati rapporti tra soggetti appartenenti rispettivamente alla Chiesa latina e a una Chiesa orientale”. Ciò ha spinto il Romano Pontefice ad introdurre uno strumento normativo per armonizzare l’applicazione delle rispettive codificazioni, tenendo salde le peculiarità che caratterizzano ciascun ordinamento giuridico, al fine di raggiungere una disciplina concorde che offra certezza nel modo di agire pastorale nei casi concreti.
L’introduzione del can. 1108 § 3 CIC
Con l’art. 6 della lettera apostolica in forma di motu proprio De concordia inter Codices del 31 maggio 2016 ed entrata in vigore il 15 settembre 2016 [8], Francesco ha aggiunto un terzo paragrafo al can. 1108 CIC, stabilendo che “solo il sacerdote assiste validamente al matrimonio tra due parti orientali o tra una parte latina e una parte orientale cattolica o non cattolica”. In tal modo si tenta di preservare le peculiarità proprie del teste qualificato, come disciplinato dal CCEO, risolvendo la questione circa la possibilità o meno per un diacono, delegato dall’assistente competente vi offici a norma del can. 1111 § 1 di assistere validamente ad un matrimonio misto tra due cattolici orientali sudditi dell’Ordinario del luogo o del parroco latini ovvero tra un cattolico latino e un cattolico orientale o tra un cattolico, sia esso latino che orientale ma suddito dell’Ordinario del luogo o parroco latini, e un orientale cattolico [9].
Ulteriori modifiche in materia di forma del matrimonio canonico
Fermo restando l’eccezione stabilita dal can. 144 CIC circa la supplenza da parte della Chiesa e quella ex can. 1116 §§ 1 e 2 in merito alla forma straordinaria, Papa Francesco ha modificato ulteriori disposizioni in materia di forma canonica:
- viene riformulato il can. 1109, che stabilisce la competenza per la valida assistenza alle nozze, mediante l’introduzione della formula “purché almeno una delle due parti sia ascritta alla Chiesa latina”. In particolare, la riforma ha chiarito l’interpretazione del canone in esame, grazie allo spostamento della particella “dummodo” prima del riferimento ai non sudditi, nel senso che il requisito dell’ascrizione alla Chiesa latina di almeno una delle parti è richiesta solo per il matrimonio di nubendi che non siano sudditi dell’Ordinario del luogo o del parroco competenti per territorio, mentre nel caso in cui si tratti di due sudditi, la loro iscrizione ad una Chiesa diversa da quella latina non impedisce di poter assistere validamente a tale matrimonio;
- dove mancano sacerdoti e diaconi, il Vescovo diocesano, previo il voto favorevole della Conferenza Episcopale e ottenuta la licenza della Santa Sede, può delegare dei laici perché assistano ai matrimoni, 1112 § 1 CIC (art. 9);
- in aggiunta a quanto stabilito dal § 1 nn. 1 e 2 del can. 1116, il § 3 prevede che l’Ordinario del luogo può conferire a qualunque sacerdote cattolico la facoltà di benedire il matrimonio dei fedeli cristiani delle Chiese orientali che non hanno piena comunione con la Chiesa cattolica se spontaneamente lo chiedano, purché nulla osti alla valida e lecita celebrazione del matrimonio. Il medesimo sacerdote, tuttavia, con la necessaria prudenza, informi della cosa l’autorità competente della Chiesa non cattolica interessata;
- il § 1 del can. 1127 in materia di matrimoni misti è stato integralmente sostituito dal testo seguente: “Relativamente alla forma da usare nel matrimonio misto, si osservino le disposizioni del can. 1108; se tuttavia la parte cattolica contrae matrimonio con una parte non cattolica di rito orientale, l’osservanza della forma canonica della celebrazione è necessaria solo per la liceità; per la validità, invece, si richiede l’intervento di un sacerdote, salvo quant’altro è da osservarsi a norma del diritto”. Se l’abrogato canone richiedeva, per la validità di un matrimonio misto contratto da una parte cattolica con una non cattolica di rito orientale, l’intervento di un ministro sacro, la riforma richiede, invece, l’intervento di un sacerdote: in tal modo, è stata esclusa la presenza del diacono ed è stato favorito il riconoscimento di unioni del genere anche da parte delle Chiese orientali acattoliche, per le quali la parola “ministro sacro” includeva anche il diacono e poteva creare problemi.
Note
[1] PIO XII, motu proprio Crebrae allatae sunt, 22 febbraio 1949, in AAS, 41 (1949), pp. 89-119.
[2] U. NAVARRETE, Questioni sulla forma canonica ordinaria nei Codici latino e orientale, in Periodica, 3, 1996, pp. 489-514.
[3] H. ALWAN, La benedizione e il ministro del sacramento del matrimonio nel diritto orientale, 31 luglio 2014, articolo consultabile sul sito www.iuscanonicum.it.
[4] J. PRADER, Il matrimonio in Oriente e in Occidente, Pontificio Istituto Orientale, Roma, 20032.
[5] D. SALACHAS, Il sacramento del matrimonio nel Nuovo Codice di Diritto Canonico delle Chiese Orientali, Dehoniane, Bologna, 2003.
[6] J. GRANADOS, Una sola carne in un solo Spirito: teologia del matrimonio, Cantagalli, Siena, 2014, pp. 262-270.
[7] L. LORUSSO, I matrimoni degli orientali in ambito latino, in P. GEFAELL (a cura di), Cristiani orientali e pastori latini, Giuffré, Milano 2012, p. 308-336.
[8] J.I. ARRIETA, All’insegna delle esigenze pastorali poste dalla mobilità umana. Armonizzazione dei due Codici della Chiesa, in L’Osservatore Romano, 16 settembre 2016, p. 5.
[9] F. CATOZZELLA, Le modifiche in materia di forma canonica del matrimonio introdotte dal Motu Proprio De Concordia inter Codices, in Stato, Chiese e pluralismo confessionale, Rivista telematica (www.statoechiese.it), 6, 2017, pp. 1-40.
“Cum charitate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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