Intervista al giudice rotale Mons. Felipe Heredia Esteban

giudice heredia esteban
Il Prelato Uditore della Rota Romana mons. Felipe Heredia Esteban con mons. Georg Gänswein

Nel percorso di formazione dei giuristi, è bene conoscere anche alcune figure cardine, che, col loro esempio e i loro discorsi, danno corpo e anima al diritto canonico.

Oggi la Redazione di Vox Canonica presenta un’intervista al Prelato Uditore del Tribunale Apostolico della Rota Romana mons. Felipe Heredia Esteban, che offre la sua esperienza e le sue considerazioni a quanti, specialisti e non, si interrogano sul diritto canonico, sul ruolo del giudice, sull’importanza dell’amministrazione della giustizia in ambito ecclesiastico, nonché sulle sfide dell’età contemporanea e della secolarizzazione.

Partendo dalle origini. Può dirci come è nata la Sua passione per il diritto canonico e la giustizia e descrivere il percorso di studi che ha intrapreso?

L’origine della mia dedizione al diritto canonico è nella proposta che mi fece l’allora Vescovo della mia Diocesi (Calahorra y la Calzada – Logrono). Era il 1983, avevo terminato i miei studi ecclesiastici nel Seminario diocesano e, poiché non avevo l’età canonica richiesta per ricevere gli ordini sacri, il Vescovo ritenne opportuno per il futuro della Diocesi e per la mia formazione accademica che dedicassi alcuni anni allo studio del diritto civile e canonico. Pertanto, sono stato inviato all’Università di Navarra dove ho ottenuto la licenza in entrambi i diritti (1987).

Dopo l’ordinazione sacerdotale ricevuta con l’imposizione delle mani di San Giovanni Paolo II a Roma nel 1987, il Vescovo mi propose di fare il dottorato in legge a Friburgo di Brisgovia (Germania) e allo stesso tempo di realizzare un’esperienza pastorale con la popolazione emigrata di lingua spagnola in quella Arcidiocesi. Infine, ho difeso la mia tesi di dottorato all’Università di Navarra.

Nel 1992 sono tornato nella mia diocesi dove ho lavorato come segretario del tribunale ecclesiastico e professore di diritto canonico nel seminario diocesano. In seguito sono stato nominato Vicario Giudiziale e ho collaborato come docente nelle Università di La Rioja e Navarra.

Potrebbe parlarci della Sua esperienza quale giudice del Tribunale della Rota della Nunziatura Apostolica di Madrid. Ha notato sostanziali differenze nel modo di approcciarsi alla giustizia tra Spagna e Italia?

Sono stato nominato giudice del Tribunale della Rota della Nunziatura Apostolica in Spagna nel novembre 2007, dove ho lavorato per quattro anni, la mia esperienza è stata molto positiva.

Ho insegnato anche allo studio rotale e all’università “San Pablo Ceu”. Non c’è differenza nel modo di applicare la giustizia tra la Rota spagnola e la Rota romana; prima di tutto, perché la giustizia non è un concetto astratto e indeterminato in balia della discrezione del giudice.

Nella Chiesa, come in ogni società umana, la giustizia è delimitata dall’ordine giuridico stabilito dal legislatore e dal diritto naturale.

Quando il giudice applica la legge al caso concreto, gode di una certa libertà nella valutazione della prova, ma è sempre vincolato dalla legge positiva e naturale come fonte di giustizia per il caso concreto. Quindi, l’applicazione della giustizia è la stessa in tutti i tribunali della Chiesa.

Inoltre, l’unico tribunale che stabilisce la giurisprudenza è la Rota Romana, e tutti i tribunali inferiori devono essere guidati dai criteri ispirati da questo tribunale apostolico.

Cosa risponderebbe a chi critica l’esistenza dei tribunali nella Chiesa?

I tribunali ecclesiastici rendono un grande servizio alla Chiesa; esistono a beneficio dei fedeli che reclamano “ciò che è giusto” su una questione controversa, e non possiamo dimenticare che la salvezza delle anime è la legge suprema nella Chiesa (can. 1752).

Quindi, le critiche costruttive dovrebbero essere sempre le benvenute, anche se è vero che, data l’ignoranza su questi temi, spesso le critiche sono del tutto infondate, sostenute da correnti ideologiche disinteressate a conoscere la realtà.

Nell’allocuzione alla Rota Romana, il Santo Padre ha chiesto ai giudici rotali di valutare gli effetti potenzialmente disastrosi delle loro decisioni nel contesto delle dichiarazioni di nullità matrimoniale, giacché queste si ripercuotono anche sui figli delle coppie in questione. Che cosa può dirci al riguardo?

Il tribunale ecclesiastico nel giudicare una causa di nullità matrimoniale deve cercare solo la verità sul vincolo, cioè deve riferirsi al momento storico concreto dello scambio di consenso tra i contraenti (origine-causa del matrimonio) e alla luce delle prove, applicando i criteri di valutazione stabiliti dalla legge e dalla giurisprudenza, acquisire la certezza morale richiesta nel caso concreto.

Pertanto, la ricerca della verità e l’applicazione della giustizia sono le due coordinate indispensabili che definiscono il ministero del giudice ecclesiastico.

Le conseguenze positive o negative che la dichiarazione di nullità matrimoniale può avere sulla prole, in linea di principio, non possono influenzare il giudizio imparziale e obiettivo che, secondo la valutazione delle prove nel caso, il giudice è obbligato a fare, non solo per l’imperativo del diritto positivo ma anche per il diritto naturale di cui gode ogni essere umano di conoscere la verità sull’esistenza o meno di un vincolo così sacro come il matrimonio.

La verità è sempre una condizione per la libertà.

Il Codice stesso richiede che i bisogni della prole siano protetti quando viene emessa una dichiarazione affermativa di nullità, anche se non è competenza diretta del tribunale ecclesiastico occuparsi di questi bisogni.

Saranno altre istituzioni della Chiesa ad essere direttamente coinvolte nell’assistenza pastorale che la prole richiederà in queste situazioni.

Le sentenze del giudice ecclesiastico non possono prescindere dalla memoria, fatta di luci e di ombre, che hanno segnato una vita, non solo dei due coniugi ma anche dei figli. Dopo questa toccante affermazione di papa Francesco, vorrei chiederLe, se quando giudica una causa, dopo essere entrato a conoscenza di momenti significativi ed intimi di una famiglia o una coppia, la storia e le persone Le rimangono inevitabilmente impresse nella memoria, o è possibile avere un approccio più distaccato.

Il giudice ecclesiastico esercita il suo ministero cercando sempre la verità storica dei fatti, l’applicazione della giustizia esige l’imparzialità come garanzia di obiettività, quindi il giudice non può lasciarsi influenzare da altre circostanze, anche se sono importanti, ma estranee al fatto controverso che in realtà si sta giudicando.

D’altra parte, è evidente che il ministero esercitato dal giudice ecclesiastico è guidato dall’amore per Dio e e per il prossimo e, di conseguenza, deve professare un amore appassionato per la verità e la giustizia.

In questo senso, egli svolge il suo lavoro consapevole della sua responsabilità non solo davanti alla legge rivelata e positiva ma anche davanti a Dio stesso, davanti al quale dovrà rendere conto del suo servizio.

Si avvicinerà ai contraenti come un osservatore rispettoso che, lontano da ogni parzialità, cerca il trionfo della verità come principio guida della giustizia per il bene dei coniugi, della famiglia e della Chiesa, che ha come unico scopo la salvezza delle anime.

Vi è stato un testo che Le è stato d’aiuto nei Suoi anni di formazione o che semplicemente possa aiutare chi si approccia alla materia?

Un libro interessante per avvicinarsi al contenuto del diritto oggi è l’opera del professor Javier Hervada, intitolata Qué es el derecho? La moderna respuesta del realismo jurídico.

Potrebbe lasciare un messaggio ai nuovi canonisti che si approcciano al diritto della Chiesa?

Il mio consiglio a un canonista in questo momento storico appassionante segnato dal relativismo giuridico e dalla sua sempre maggiore distanza dalla realtà naturale sarebbe lo studio profondo e rigoroso delle fonti del diritto.

In questo momento, più che di difese apologetiche del diritto, abbiamo bisogno di giuristi convinti della necessità del diritto come garanzia di un ordine sociale giusto e della protezione dei deboli.

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”

(S. Giovanni Paolo II)

 

 

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Chiara Gaspari

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