Il nativum ius Ecclesiae di richiedere tributi per finalità ecclesiali

nativum ius
Masolino da Panicale, Guarigione dello storpio e risurrezione di Tabita (particolare), 1424 – 1425, affresco, Firenze, Chiesa del Carmine, Cappella Brancacci

L’esercizio di imposizione nei confronti delle altre persone fisiche e giuridiche viene consentito soltanto in caso di grave necessità (can 1263).

Al riguardo, la previsione canonica indica in modo chiaro che la corrispondente applicazione deve avvenire in limiti molto ristretti, restando suo ideale le spontanee oblazioni e il possesso di beni che permettano agli ecclesiastici di essere nella condizione di beneficare i fedeli.

Il sistema privilegiato nella tradizione della Chiesa rimane, infatti, quello del patrimonio ecclesiastico che consente ai titolari degli Uffici di essere benefattori piuttosto che beneficati.

Un “patrimonio virtuoso”, quindi, lontano da logiche di accumulo e senza pretese compromissorie, in rapporto strumentale con le finalità spirituali della Chiesa.

In tale contesto, va ricordato il nativum ius Ecclesiae di richiedere ai fedeli quanto necessario per le finalità apostoliche (can. 1260), cui corrisponde il dovere del populus Dei di sovvenire alle necessità della Chiesa, affinché possa disporre di quanto necessario per il culto divino, per le opere di apostolato, di carità e per l’onesto sostentamento dei ministri (cann. 222 e 1254 § 2).

In proposito, proprio il richiamato can. 1260, circoscrive il diritto della Chiesa di esigere i tributi solo nei confronti dei fedeli cattolici (can. 11) e, come detto, delle persone giuridiche canoniche (can. 1263).

Si tratta di un vero ius exigendi che comprende da un lato il diritto di imporre tributi, di chiederli e di riceverli; dall’altro, il dovere (e non la facoltà) di contribuire alle correlate necessità materiali.

In realtà, il legislatore canonico della prima codificazione disponeva per la Chiesa il diritto, indipendentemente dallo Stato, di imporre tributi ai fedeli per provvedere al necessario culto divino, alla honesta sustentatio dei chierici e degli altri ministri di culto.

Pertanto la Chiesa, come societas perfecta, rivendicava il potere di esigere dai fedeli, independens a civili potestate, quanto necessario per i propri fini ecclesiali.

La nuova codificazione non ha conservato l’espressione «independens a civili potestate», ma ha previsto il «diritto nativo di esigere dai fedeli quanto necessario per le finalità che le sono proprie».

Non a caso nella formulazione del citato can. 1260 è stata utilizzata la locuzione «ius exigendi», in luogo di previsioni più generiche, come quelle proposte in sede di lavori preparatori ovvero «ius petendi» o «ius exquirendi».

 

 

“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”

(San Giovanni Paolo II)

 

 

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Giuseppe Rivetti

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