Collegialità nella Chiesa, un principio spesso dibattuto e che esprime unità seppur nella diversità, affrontiamo il tema partendo dalla storia senza tralasciarne il lato giuridico
Definizione del Principio
Il principio di collegialità esprime l’unità in un unico corpo misterico, mediante l’incorporazione dei Vescovi ordinati validamente e lecitamente e che mantengano la comunione con il collegio stesso, a capo del quale è posto il Romano Pontefice.
L’unità dell’ordo episcoporum non si riflette soltanto nel coordinamento ma anche nella collegialità. Elemento proprio dell’ordo episcoporum è che esso sia costituito in un organo collegiale deliberativo o decisionale.
Si confonde frequentemente la collegialità con il coordinamento, anche se si tratta di due principi differenti.
La possibilità di agire come organo collegiale, di riunirsi in Concilio o in sinodo o in altre forme di aggregazione, indica in senso proprio il principio giuridico che presiede il funzionamento del Collegio episcopale, inteso come organo della costituzione gerarchica della Chiesa.
Sviluppo storico e documenti del Magistero
La dottrina della collegialità trae ispirazione dalla visione di Cipriano.
Il vescovo di Cartagine, infatti, prende come riferimento i testi evangelici che parlano del conferimento a Pietro dell’autorità e della missione apostolica – autorità e missione che in altri passi sono conferite anche agli altri apostoli – come espressione simbolica dell’unità dell’episcopato.
Nel De catholicae ecclesiae unitate Cipriano scrive:
Anche gli altri apostoli erano senz’altro pari a Pietro, ma il punto di partenza è l’unità, per indicare che la chiesa di Cristo è una sola. […] Tale unità dobbiamo mantenere con fermezza e garantire specialmente noi vescovi che siamo di guida nella chiesa, per dare la prova che anche l’episcopato stesso è unico e indiviso. […] L’episcopato è uno solo e ciascuno ne detiene una parte in pienezza.
Nel Medioevo ci furono non pochi problemi legati a questo principio ed ai suoi relativi sviluppi.
Molto problematica era l’affermazione del fondamento sacramentale dell’autorità dei vescovi che, in virtù del sacramento dell’Ordine, formano un collegio.
Basti ricordare che la dottrina medievale dell’Episcopato rivela una notevole difficoltà a individuare nel sacramento dell’Ordine la radice di questo ministero, con la conseguenza che il suo carattere era ritenuto proveniente dalla giurisdizione che ha la sua origine dal Papa.
Anche questa definizione teologica del ministero ordinato dominata dalla prospettiva sacerdotale ed eucaristica, insieme ad altri fattori, è all’origine del silenzio del concilio di Trento sull’origine dell’autorità episcopale.
Il Principio di Collegialità ha da sempre ottenuto particolari attenzioni da parte degli studiosi, forse perché questo Principio si configura come un unicum nel panorama dei sistemi costituzionali. Questo perché gli studiosi partono dalla domanda: qual è la suprema autorità nella chiesa?
Nel corso dei secoli molti hanno affermato (Tomás de Torquemada, Caetano, Card. Staffa, Goutierez) che questo unico soggetto sia il Romano Pontefice, questo però si scontra con la dottrina della “Missio Canonica” del Concilio Vaticano II.
Altri hanno sostenuto che il Collegio dei Vescovi (Rahner, Congar, Ratzinger) sia l’unico soggetto a possedere la suprema autorità della chiesa, inglobando il Romano Pontefice come capo del Collegio dei Vescovi, perché il Romano Pontefice agisce sempre come capo del Collegio.
La risposta più attendile dottrinalmente a questa domanda è quella che fornisce il Concilio Vaticano II all’interno della Lumen Gentium (il concilio non voleva entrare del tutto nella questione, che rimane ancora oggi aperta) esistono di fatto due soggetti che hanno potestà suprema e questo potrebbe essere spiegato affermando che: la Chiesa è una realtà misterica che non ha categorie umane.
Ma volendo approfondire la questione dovremmo affermare che: esistono due soggetti inadeguatamente distinti proprio perché come abbiamo detto il Romano Pontefice è posto a capo del Collegio ed è sempre presente in esso, ed entrambi godono della suprema autorità nella Chiesa, un po’ come le cupole di Michelangelo e del Brunelleschi che sono formate da due cupole (entità distinte) che si fondono per creare un’unica cupola.
Primato e collegialità sono gli aspetti strutturanti della costituzione gerarchica della Chiesa, non si capisce il primato senza la collegialità e viceversa. Essi, infatti, sono complementari e non sono in contrapposizione. Non possiamo avere una visione dualistica del governo ecclesiastico. La teologia dell’episcopato risale alla Lumen Gentium completando il lavoro del Concilio Vaticano I, e successivamente si approfondisce con Giovanni Paolo II che promulga il 21 maggio del 1998 la lettera apostolica in forma di «motu proprio» Apostolos Suos che riguarda le Conferenze Episcopali.
Il Santo Padre, inoltre, continua il suo lavoro con l’esortazione Apostolica Pastoris Gregis del 2003 e con il Direttorio sui Vescovi Apostolorum Successores del 2004. I principali aspetti che possono dedursi da questi documenti sono:
1) Sacramentalità – non è un aspetto giuridico ma ontologico sacramentale, garanzia della successione apostolica.
2) Universalità – non è la federazione dei vescovi diocesani, il collegio è ontologicamente prima della chiesa particolare, infatti esiste la chiesa particolare perché esiste la dimensione universale.
3) Organicità – si viene incorporati in un organo, non si riceve un ufficio ma è incorporazione ad un organo. Doveroso riportare qui piccoli estratti dell’attuale CIC per contestualizzare questo paragrafo.
L’istituzione divina
Can. 330 – Come, per volontà del Signore, san Pietro e gli altri Apostoli costituiscono un unico Collegio, per analoga ragione il Romano Pontefice, successore di Pietro, ed i Vescovi, successori degli Apostoli, sono tra di loro congiunti;
Il Capo
Can. 331 – Il Vescovo della Chiesa di Roma, in cui permane l’ufficio concesso dal Signore singolarmente a Pietro, primo degli Apostoli, e che deve essere trasmesso ai suoi successori, è capo del Collegio dei Vescovi, Vicario di Cristo e Pastore qui in terra della Chiesa universale;
La potestà suprema del Collegio dei Vescovi
Can. 336 – Il Collegio dei Vescovi, il cui capo è il Sommo Pontefice e i cui membri sono i Vescovi in forza della consacrazione sacramentale e della comunione gerarchica con il capo e con i membri del Collegio, e nel quale permane ininterrottamente il corpo apostolico, insieme con il suo capo e mai senza il suo capo, è pure soggetto di suprema e piena potestà sulla Chiesa universale.
Principi Teologico – Giuridici
Il collegio episcopale non è da intendersi in senso strettamente giuridico come potrebbe esserlo un gruppo di eguali che demandano il loro potere a un presidente, ma va inteso come un gruppo stabile la cui struttura e attività devono essere dedotte dalla rivelazione.
Il collegio infatti è un’istituzione divina il cui capo è il Romano Pontefice, successore di San Pietro; i membri di questo collegio sono i vescovi successori degli apostoli, questo parallelismo non si trova nell’identità, bensì si basa sull’uguaglianza e come tale il collegio dei Vescovi continua e perpetua ininterrottamente il collegio Apostolico.
I vescovi sono membri del collegio ad una duplice condizione; che abbiano ricevuto una valida consacrazione episcopale e che abbiano l’effettiva comunione gerarchica con il capo e con i membri del collegio episcopale, il collegio episcopale, inoltre, suppone necessariamente un capo, senza del quale il collegio non può esistere. Il capo può compiere alcuni atti che non competono in alcun modo ai vescovi come per esempio convocare un Concilio Ecumenico oppure approvare le norme di azione ecc.
Il soggetto della piena e suprema potestà è duplice nella Chiesa universale: il Romano Pontefice e il Collegio episcopale. Essi però non sono separati né sono separabili, perché il Romano Pontefice per diritto divino è anche membro del collegio episcopale e capo di quest’ultimo, dunque il collegio non esiste né può esistere senza di lui. Detto questo dobbiamo sottolineare che i due soggetti sono completamente distinti proprio perché il capo può agire in maniera autonoma senza il collegio, al contrario però, il collegio non può agire senza il proprio capo.
L’esercizio della Potestà
I Vescovi esercitano la potestà piena e suprema su tutta la Chiesa in duplice forma: la prima in forma solenne, quando sono riuniti collegialmente nel Concilio Ecumenico o Universale (cfr Can. 337 § 1).
La seconda, in forma non solenne, se sparsi in tutto il mondo, operano insieme con azione congiunta, indiretta o accettata come tale dal Romano Pontefice in modo da risultare un vero atto collegiale (cfr Can. 337 § 2).
Inoltre, spetta al Romano Pontefice, tenuto conto delle necessità della Chiesa, scegliere di promuovere la forma concreta di tale azione collegiale dei vescovi, per il governo pastorale della Chiesa (cfr Can. 337 § 3). Volendo portare degli esempi del secondo tipo, potremmo citare le consultazioni fatte a livello mondiale dai vari papi negli ultimi due secoli:
Pio IX per la proclamazione del dogma dell’Immacolata Concezione
San Pio X per la compilazione del Codex Iuris Canonici
Pio XII per la proclamazione del dogma dell’assunzione di Maria Santissima al cielo
Paolo VI e Giovanni Paolo II per la revisione del Codex Iuris Canonici
Bibliografia
Concilio Vaticano II, Lumen Gentium.
Nota esplicativa previa , Lumen Gentium.
Cipriano De catholicae ecclesiae unitate (Episcopatus unus est cuius a singulis in solidum pars tenetur) (nn. 4-5).
Maffeis, Collegialità Episcopale e Comunione Ecclesiale.
Del Pozzo, Puntualizzazioni di diritto costituzionale canonico sulla collegialità episcopale “affettiva” ed “effettiva”.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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