A pochi giorni dalla notizia del premio Vox Canonica, pubblichiamo l’intervista a Suor Maia Luisi FFB, officiale presso il Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e figura di elevata competenza nel campo delle scienze canonistiche.
Tra vocazione giuridica, missione religiosa, acute osservazioni intorno alle riforme di Papa Francesco, Suor Maia ci offre uno spaccato della complessità del diritto che anima la vita della Chiesa.
Grazie Suor Maia per aver accettato quest’intervista. La sua preparazione e il suo impegno ecclesiale sono un esempio per chi vuole approcciarsi al mondo del diritto canonico. Può dirci come è nata questa passione?
La passione per il diritto, o meglio, per la giustizia, mi ha sempre accompagnato fin dagli anni del Liceo. Durante il primo anno di Giurisprudenza, ho accolto la chiamata del Signore e sono entrata come postulante nella Fraternità Francescana di Betania: nel 2001 ho professato i voti religiosi per la prima volta, e nel 2002 ho discusso, già da suora, la tesi di laurea. La passione per la giustizia civile, negli anni successivi, durante la mia formazione teologica, si è così quasi “naturalmente” diretta verso la giustizia nella Chiesa e, dunque, verso il Diritto Canonico. Grazie al Fondatore dell’Istituto, p. Pancrazio Gaudioso, al tempo anche Superiore Generale, ho potuto iscrivermi alla Pontificia Università della S. Croce e conseguire la Licenza e il Dottorato.
Lei appartiene alla Fraternità Francescana di Betania, appunto un nuovo Istituto di vita consacrata, ed è Officiale del Pontificio Consiglio per i testi Legislativi. Possiamo definire la sua una testimonianza vivente del cambiamento dei tempi e dell’azione riformatrice di Papa Francesco?
Sicuramente ancora oggi non è così usuale vedere una donna “nei Sacri Palazzi”, o almeno in alcuni Dicasteri: mentre in altri la presenza femminile è solida (per esempio il Dicastero per i laici, la famiglia e la vita, oppure la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata, e altri Dicasteri), nel nostro Pontificio Consiglio sono l’unica presenza femminile, e prima di me c’è stata, negli anni passati, solo una signora con funzioni di bibliotecaria e archivista. Sicuramente questo è un segno dei tempi, ma sono fiduciosa che tali “segni” saranno sempre più consistenti fino a divenire abituali.
Insieme a Sua Eccellenza Mons. Juan Ignacio Arrieta avete appena pubblicato il nuovo Codice Penale Vaticano. Quali sono le principali novità?
Come è noto, il nostro lavoro è stato quello di raccogliere tutte le modifiche al Codice Penale vigente in Vaticano che sono state introdotte dal 1929 in poi, anno in cui lo Stato Vaticano ha recepito il Codice Penale allora vigente in Italia. Lo scopo è stato quello di rendere fruibile agli operatori del diritto vaticano, ai giuristi e a i cultori della materia la normativa penale vigente oggi nello Stato della Città del Vaticano, presentando dunque questo Codice che è il risultato dell’integrazione del Codice Penale detto “Zanardelli”, vigente in Vaticano dal 1929, con le numerose modifiche promulgate fino ad oggi. Evidentemente, il Codice Zanardelli era, per forza di cose, un testo sfasato rispetto ai tempi e ai mutamenti della società, ed era necessario un lavoro di compilazione che raccogliesse tutte le modifiche, le abrogazioni, le innovazioni promulgate fino ad oggi.
Concretamente in cosa è consistito il vostro lavoro?
Il punto di partenza è stato questo: era necessario adattare un testo che evidentemente era ormai distante dalle esigenze dei tempi, rendendolo armonico con la dottrina sociale della Chiesa, con la normativa canonica e con gli impegni assunti dalla S. Sede nell’ambito di convenzioni internazionali.
Nel corso degli anni infatti il legislatore vaticano ha abrogato, sostituito, modificato e integrato un rilevante numero di articoli del testo originale, ottenendo alla fine un testo notevolmente diverso da quello di partenza. Abbiamo perciò corredato gli articoli del codice con note redazionali, che mostrano i testi via via abrogati, le leggi di riferimento o i richiami al Codice di Diritto Canonico.
Inoltre, abbiamo creato un sistema di segni e di richiami grafici che rende più agevole l’utilizzo del testo in ciò che non è applicabile alla realtà vaticana. Come afferma il card. Parolin, nella Prefazione al volume, lo scopo del lavoro è “far conoscere e rendere operativa in questo settore la legislazione dello Stato della Città del Vaticano, in modo che vengano apprezzati gli sforzi della Santa Sede per onorare, malgrado evidenti ristrettezze, i doveri che ha davanti alla società e alla comunità internazionale”.
Nel codice ci sono molti testi che sono stati abrogati, nel tentativo di adeguare la normativa alla natura unica dello Stato della Città del Vaticano. Non sarebbe stato più facile scrivere un Codice ex novo?
La promulgazione di un codice ex novo spetta, naturalmente, al Supremo Legislatore e cioè al S. Padre. Noi ci auguriamo che questo lavoro possa aiutarlo in una eventuale nuova promulgazione.
Spesso si tende a confondere il diritto penale dello Stato Città del Vaticano con la materia penale trattata dal Codice di Diritto Canonico: può spiegare le differenze e i punti di contatto tra questi ambiti?
Evidentemente, l’ambito di applicazione è totalmente diverso, il Codice Penale vaticano, per esempio, non tratta di materie specificatamente “religiose” come i sacramenti, o le norme relative agli Istituti di Vita Consacrata, bensì, si occupa dei reati previsti in qualsiasi Stato contro la giustizia o l’ordine costituito. La grande differenza con i Codici degli altri Stati è che il Diritto canonico è sempre la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo nello Stato: questo vuol dire che pur trattandosi di norme e di pene di carattere secolare, il giudice penale vaticano, nell’applicare la legge, deve tener conto di tutto il complesso di valori e dei criteri tipici dell’ordinamento canonico.
Da lungo tempo si parla di una “costituzione” per la Chiesa universale, ma il progetto della “Lex Ecclesiae fundamentalis” è stato da tempo abbandonato. Oggi i tempi non sono maturi per tornare a considerare di lavorare a questo testo?
È un argomento che aprirebbe una parentesi molto vasta: sarebbe necessario inquadrare il progetto di Lex Ecclesiae Fundamentalis nel contesto storico in cui nacque, capire il corso degli eventi e adattare il tutto alla nostra società attuale. Prendo allora in prestito le parole che J. Hervada disse a tal proposito, rispondendo a chi affermava che la promulgazione di una Legge Costituzionale ecclesiale avrebbe frenato il “dinamismo carismatico” del Popolo di Dio:
“Benché sia certo che una buona tutela dei diritti dei fedeli cristiani rappresenta la maniera migliore di facilitare il dinamismo carismatico, senza che ci sia una proliferazione di pronunciamenti ecclesiastici non necessari a riguardo del carattere genuino o falso dei doni dello Spirito Santo, tutto questo sistema giuridico faciliterà ai Pastori l’assolvimento dell’importante compito di valutare i carismi e di scegliere i carismi migliori. Sappiamo, d’altra parte, molto bene che il segno più evidente del carattere genuino di un carisma non è la retorica sul tema del dinamismo ecclesiale, ma sono i frutti di umiltà, lealtà, apostolato e santità, che sono prodotti dalle persone, dai gruppi o dalle istituzioni che affermano di possedere questo o quel carisma”.
E in Vaticano invece? Potrebbe essere più facile?
La legislazione vaticana sta facendo passi da gigante per adeguarsi agli standard richiesti dalle relazioni internazionali: sicuramente un miglioramento nella sistematicità dell’ordinamento vaticano sarebbe molto proficuo. Ma sono certa che stiamo camminando in questa direzione.
Chiudiamo con un invito: cosa direbbe ai giovani canonisti che si avvicinano al diritto della Chiesa?
Per me, fin dai primissimi momenti in cui mi sono approcciata al Diritto Canonico, sono stati fondamentali l’esempio e la guida dei docenti della Pontificia Università della S. Croce. Per me non è stata solo un’istituzione dalla quale ho ricevuto una formazione universitaria, ma soprattutto una comunità di persone, con un suo stile di famiglia, dove ho appreso l’entusiasmo per la verità, resa amabile dalla serietà professionale, e dal comune desiderio di professori e studenti di continuare sempre ad imparare.
Ai giovani canonisti dico: sotto la guida dei miei maestri, mi è stato possibile riscoprire il diritto quale oggetto della virtù della giustizia. Auguro a tutti coloro che amano il diritto di capire che il vero canonista non è chi sa il CIC a memoria, ma chi ricerca la res iusta nella Chiesa, determinandola di volta in volta nella sua concretezza, esercitando costantemente quell’intellectus fidei che fa capire come “dare a ciascuno il suo”, tenendo sempre presente che il fine ultimo del diritto canonico, e pertanto la sua legge suprema, è la salus animarum.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit”
(San Giovanni Paolo II)
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