Ambrogio Lorenzetti, Allegoria del buon governo, 1338-1339, Sala dei Nove, Palazzo Pubblico, Siena
Peculiarità di un ordinamento in comparazione con gli ordinamenti secolari
Un limite inevitabile del processo sta nel fatto che esso, malgrado sia il migliore strumento per accertare o dichiarare fatti o situazioni giuridiche, è pur sempre uno strumento umano.
E, come strumento umano, è soggetto alla ragionevole presa di coscienza che il giudice, nell’emettere una decisione, che sarà deputata a cristallizzarsi come principio giuridico nel tempo e nello spazio, è interpellato da un impulso che travalica ogni forma di comune sentire.
Questo impulso si traduce appunto nella certezza morale, la quale sarà la sola categoria giuridica in grado di far ottemperare al giudice una pronuncia che sia certa ed inoppugnabile.
Una comparazione con gli ordinamenti secolari è d’obbligo, dal momento che in detti ordinamenti non esiste il principio della certezza morale, bensì essi si fermano al principio del libero convincimento del giudice, che lo porterà alla redazione della sentenza.
Come è conveniente osservare, ancora una volta il diritto canonico va oltre e sorpassa di gran lunga qualsiasi ordinamento civile sulla questione circa la quale invece sarebbe necessario che anche questi ordinamenti dovrebbero cominciare ad interrogarsi.
Questa riflessione permetterebbe di superare gli inerpicati sentieri cui sta conducendo la giustizia interpretativa degli ultimi tempi e colmare le farraginose lacune prodotte da una continua produzione normativa che rischia di far allontanare sempre di più il diritto da principi così semplici ed essenziali che invece erano i punti cardine sui quali lo stesso diritto attraverso i secoli ha issato una bandiera di umanità stravolgente e coinvolgente tutto l’uomo con i suoi valori radicati nel suo essere più profondo.
Il libero convincimento del giudice negli ordinamenti statuali
Partirei da un’analisi degli ordinamenti secolari, nei quali non si troverà mai il concetto di certezza morale a fondamento dei pronunciamenti dei giudici, in modo particolare a fondamento delle sentenze che sono l’atto conclusivo dell’iter processuale lungo o breve a seconda dell’articolazione che lo stesso processo segue.
Per rendere l’idea, e consegnare al lettore un esempio che possa essere calzante, la domanda che affiora sulle labbra anche dell’uomo della strada di fronte all’istituto giuridico del giudizio abbreviato in materia penale nell’ordinamento italiano o dell’altro rito della applicazione della pena su richiesta delle parti (cosiddetto patteggiamento), sicuramente potrebbe riguardare il probabile convincimento del giudice di fronte a riti che, essendo deflattivi del dibattimento, pur sempre inficiano uno svolgimento giudiziario che porta ad un sicuro giudizio apodittico di colpevolezza.
In questi casi, il libero convincimento del giudice inevitabilmente viene colpito da un vulnus che viene inferto ad una certezza la quale inevitabilmente non potrà che far imboccare una via condannatoria rispetto ad un sereno percorso processuale scandito da tappe più lunghe ed articolate sicuramente, ma in realtà più garantiste di una riuscita finale almeno veritiera.
In altri termini: il libero convincimento del giudice di fronte alla scelta di un rito deflattivo potrà essere “puro”? Oppure imboccherà sempre una via risolutoria in senso negativo? Ed ancora, se un libero convincimento sarà negativo sin dall’inizio, non viene mortificato anche il principio della presunzione di non colpevolezza che si potrà cristallizzare soltanto alla fine di un iter procedimentale accompagnato anche dagli eventuali mezzi di gravame messi a disposizione dall’ordinamento?
La certezza morale nel processo canonico
Il diritto canonico ha un sostrato morale che lo connota ed è una categoria imprescindibile; su questo fondamento esso si muove per la salvezza delle anime in un’ottica di equità, anche e soprattutto per accertare o dichiarare fatti attraverso lo strumento processuale.
La certezza morale canonica può essere analizzata attraverso alcune fonti giuridiche e giurisprudenziali che ne connotano l’alto livello applicativo all’esito dell’iter processuale.
Tra queste fonti spiccano le Allocuzioni alla Rota Romana di Papa Pio XII del 1 ottobre 1942 e del Papa Giovanni Paolo II del 2 febbraio 1980. Ad esse si aggiungono l’Istruzione Dignitas Connubii del Pontificio Consiglio per i Testi Legislativi e il Motu proprio Mitis Iudex Dominus Iesus di Papa Francesco del 2015.
Brevemente, è opportuno conoscere quanto affermato in questi documenti al fine di comprendere appieno l’importanza giuridica della certezza morale all’interno del processo canonico, che supera di gran lunga il libero convincimento del giudice nei processi civili.
Ebbene, Pio XII si esprimeva così a proposito della certezza morale: «Tra la certezza assoluta e la quasi-certezza o probabilità sta, come tra due estremi, quella certezza morale della quale d’ordinario si tratta nelle questioni sottoposte al vostro foro… Essa, nel lato positivo, è caratterizzata da ciò che esclude ogni fondato o ragionevole dubbio e, così considerata, si distingue essenzialmente dalla menzionata quasi-certezza; dal lato poi negativo, lascia sussistere la possibilità assoluta del contrario, e con ciò si differenzia dall’assoluta certezza. La certezza, di cui ora parliamo, è necessaria e sufficiente per pronunziare una sentenza” (Pio XII, Allocutio ad Sacram Romanam Rotam, die 1 oct. 1942 in AAS 34 [1942], 339-340,1)».
A questo alto insegnamento magisteriale, Giovanni Paolo II ha espressamente attinto per ribadire nella Allocuzione del 1980, che a nessun giudice è lecito pronunziare una sentenza a favore della nullità di un matrimonio, se non ha acquisito prima la certezza morale sull’esistenza della medesima nullità. Non basta la sola probabilità per decidere una causa.
Ed infine anche Papa Francesco nel solco della riforma messa appunto con Mitis Iudex Dominus Iesus, ha confermato quanto asserito dai suoi predecessori.
Infatti, nell’articolo 12 della Ratio Procedendi di M.I.D.I. si legge: «per conseguire la certezza morale necessaria per legge, non è sufficiente una prevalente importanza delle prove e degli indizi, ma occorre che resti del tutto escluso qualsiasi dubbio prudente positivo di errore, in diritto e in fatto, ancorché non sia esclusa la mera possibilità del contrario».
Perché, in caso contrario prevale il disposto del canone 1060 CIC, e cioè il principio secondo il quale il matrimonio gode sempre del favore del diritto.
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Bibliografia
– Arroba Conde M. J., Diritto processuale canonico, settima edizione, Ediurcla 2020.
– Arroba Conde M. J. – Izzi C., Pastorale giudiziaria e prassi processuale nelle cause di nullità del matrimonio, Edizioni San Paolo, Cinisello Balsamo 2017.
– Siracusano D. – Tranchina G. – Zappalà E., Elementi di diritto processuale penale, Giuffrè editore, Milano 2004.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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