S.E.R. Mons. Antoni Stankiewicz
È tornato alla Casa del Padre S.E.R. Mons. Antoni Stankiewicz, già Decano dell’Apostolico Tribunale della Rota Romana dal 2004 al 2012
«Facciamo dunque l’elogio degli uomini illustri, dei nostri antenati per generazione. Di altri non sussiste memoria; svanirono come se non fossero esistiti; furono come se non fossero mai stati, loro e i loro figli dopo di essi. Invece questi furono uomini virtuosi, i cui meriti non furono dimenticati. Nella loro discendenza dimora una preziosa eredità, i loro nipoti. La loro discendenza resta fedele alle promesse e i loro figli in grazia dei padri. Per sempre ne rimarrà la discendenza e la loro gloria non sarà offuscata»[1].
Con le parole del libro del Siracide salutiamo l’anima di S.E.R. Mons. Antoni Stankiewicz, che ieri ha reso l’anima al Padre.
Non è difficile tessere l’elogio di uomini e grandi personalità del passato, personaggi illustri della storia, talora però risulta complicato tesserlo per coloro i quali conosciamo. La pratica dell’elogio di persone che hanno vissuto i nostri stessi giorni, le nostre stesse vicende, richiede un cammino di liberazione dalla meschinità, cioè quella piccineria che elenca i particolari fastidiosi o antipatici e dimentica l’insieme della persona e della sua vicenda. È necessario liberarsi dall’invidia e dalla gelosia, da quei risentimenti tristi di chi si irrita per ogni qualità attribuita ad altri, di chi interpreta ogni elogio per gli altri come una lode che gli è dovuta e gli è negata [2]. Decano dell’Apostolico Tribunale della Rota Romana dal 2004 al 2012 Mons. Antoni Stankiewicz ha rivestito, nel mondo del Diritto canonico un’importanza duplice: da giudice e da insigne giurista, dando particolare contributo allo studio dell’error iuris.
Il tratto significativo del suo essere sacerdote e giurista era certamente identificabile nella modalità di applicazione del Diritto: con saggezza e grande umanità non ha mai anteposto la lettera della Legge alla persona, incarnando così quel principio caritativo di æquitas canonica raccomandato e normato nel Codice di Diritto canonico, il Decano è stato in grado di guidare la Rota romana portandola ad intersecare, nelle sue sentenze, la disciplina giuridica con altre ausiliarie, per la comprensione piena e determinata della norma giuridica particolarmente in materia matrimoniale, come sono la teologia e la psicologia. Guardando all’esempio della figura di Mons. Stankiewicz emerge, dunque, non già un giurista astratto ma un uomo concreto capace di risolvere secondo verità e giustizia i casi concreti della vita, una sorta – mi si passi l’espressione mutuata dal mondo costantinopolitano – di vero e proprio antecessor contemporaneo.
Un giurista, ma prima ancora un sacerdote e vescovo, sempre alla ricerca della Caritas in veritate. Di lui, lo abbiamo già ricordato, va sottolineato soprattutto lo sforzo nella ricerca delle discipline giuridiche matrimoniali, in periodi complicati per la Chiesa, come quello immediatamente successivo al Concilio Ecumenico Vaticano II, o nella delicatissima fase antecedente e susseguente, dunque anche e soprattutto interpretativa, alla promulgazione del Codice del 1983. particolarmente rilevante anche la sua attività accademica, che ha saputo articolare su più livelli, ed in particolare nel campo del Diritto romano e con esso della altrettanto profonda conoscenza della lingua latina; deve essere inoltre evidenziata la capacità del medesimo di sapere trasmettere la conoscenza di realtà giuridiche assai complesse in modo chiaro e approfondito, ricordando il dictum romano: rem tene verba sequentur. Ma l’elemento che permea l’attività di Mons. Stankiewicz è certamente rintracciabile nelle sue stesse sentenze, sunti del suo sapere giuridico e umano.
Il modo più significativo per tessere tessere l’elogio meritato di un così illustre giurista, è certamente quello di citare una sua storica ed innovativa sentenza, emanata il 27 febbraio 2004. Questa, infatti, è l’unica relativa ad una causa in cui il matrimonio è stato accusato di nullità per esclusione della dignità sacramentale. Essa pone un punto fermo nel fervente dibattito dottrinale e giurisprudenziale, delineando esplicitamente il corretto schema interpretativo della esclusione della dignità sacramentale nel giudizio di nullità matrimoniale. Nella parte in iure, il Ponente precisa che due possono essere le modalità di escludere la sacramentalità: 1) con atto positivo di volontà assoluto e prevalente; 2) con un semplice atto di volontà. Il Ponente, richiamando sia la giurisprudenza tradizionale, sia quella più recente in tema di esclusione della sacramentalità, sembra riconoscere dignità autonoma al capo di nullità [3]. Oltre alle due modalità di esclusione, indicate da Mons. Stankiewicz, interessante è quanto dice a livello probatorio. Il Decano spiega che nel Diritto matrimoniale canonico vige la praesumptio iuris di conformità della volontà interna con la manifestazione esterna nella celebrazione delle nozze; infatti il consenso interno dell’animo dei nubenti si presume conforme alle parole o ai gesti posti in essere nella celebrazione del matrimonio. Sottolinea il Ponente, con la chiarezza che lo caratterizza, che, in sede di giudizio di nullità matrimoniale, la negazione della simulazione, resa dal presunto simulante in sede di interrogatorio, rafforza la richiamata praesumptio iuris.
Aggiunge poi il Decano che, pur essendo ammessa la prova contraria, tanto riguardo alla presunzione di diritto quanto alla negazione della simulazione, tuttavia la prova deve essere idonea a superare tale doppio ostacolo, affinché il giudice raggiunga la certezza morale sulla esclusione della dignità sacramentale del matrimonio, e pertanto «firma ac persuasiva esse debet… Quam ob rem exclusio rationis sacramenti in iudicio canonico certis invictisque argumentis probari debet». Tali elementi possono essere attinti dalla confessione giudiziale del simulante, avvalorata dalle prove extragiudiziali, nonché da documenti e testimoni degni di fede; ancora, dalla causa remota e proxima della simulazione, ben distinte dalla causa contrahendi e, da ultimo, dalle circostanze precedenti, concomitanti e successive alle nozze. Avverte, infine, il Ponente che, se le contraddizioni delle parti o dei testi siano tali da non potersi superare i dubbi circa l’esclusione della sacramentalità, troverà applicazione il favor iuris per la validità del matrimonio ai sensi del can. 1060 C.I.C. Alla luce dei principi sopra enunciati, il Decano apre la parte in facto affermando chiaramente che i giudici di prima istanza sono pervenuti frettolosamente alla certezza morale sulla nullità del matrimonio per esclusione della sacramentalità, certezza morale che però pare essere più soggettiva che oggettiva. Dunque il Ponente afferma ciò perché i giudici di prima istanza sembrano aver così concluso, non tenendo in alcuna considerazione la praesumptio iuris sopra richiamata e rafforzata, nel caso de quo, dalla negazione della simulazione ad opera del convenuto, asserito simulante. Dall’analisi dell’indole dell’asserito simulante, Stankiewicz, a fondamento della contestata esclusione della sacramentalità, non individua una apta causa simulandi remota et proxima.
Come già più sopra accennato la sentenza del 27 febbraio 2004 costituisce davvero un punto fermo, non solo per la chiarezza dell’orientamento in essa delineato, ma anche perché tale risultato è conseguito all’esito di un iter meticoloso ed attento tanto al Magistero pontificio e alla riflessione teologica, quanto alla giurisprudenza rotale in materia, di cui S.E. Mons. Stankiewicz riesce ad armonizzare gli indirizzi tracciati dalla giurisprudenza tradizionale e più recente con le preoccupazioni espresse da Giovanni Paolo II nelle Allocuzioni del 2001 e del 2003, con ciò offrendo luminosa prova di grande saggezza ed equanimità. In altre parole va dato merito al Decano di essersi fatto carico di dare sviluppo, in tema di esclusione della sacramentalità, al percorso pastorale e giuridico tracciato da Giovanni Paolo II, dapprima con la Familiaris Consortio e successivamente con le citate Allocuzioni. Come già più sopra rilevato, nell’Allocuzione alla Rota Romana del 2003, dopo un richiamo ai possibili equivoci scaturenti da un improprio rilievo conferito alla sacramentalità del matrimonio e alla necessità della fede riconnessa a tale dimensione, si evidenzia quanto segue: il nubente deve essere soltanto bene dispositus e deve avvicinarsi alla realtà naturale della coniugalità con retta intenzione.
Possiamo quindi salutare Mons. Stankiewicz con la sapienza del Siracide: le virtù necessarie per fare apprezzare gli uomini che hanno fatto la nostra storia e quelli che la stanno facendo, liberandoci dalla meschinità e dall’invidia per essere magnanimi, vigili per evitare la critica amara e il lamento deprimente, inclini invece alla riconoscenza, disponibili alla riconciliazione per non essere impigliati nel risentimento senza sbocchi, praticando uno sguardo credente non solo sul passato, ma anche sul presente. Requiem.
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Note
[1] Sir 44: 1-13.
[2] M.E. Delpini, Omelia per la celebrazione degli Arcivescovi defunti, 30 agosto 2020.
[3] A. Stankiewicz, De Iurisprudentia Rotali recentiore circa simulationem totalem et partialem, in Monitor Ecclesiasticus, vol. CXXII (Jul. – Dec. 1997), III-IV, 425 ss.
“Cum caritate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(S. Giovanni Paolo II)
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