Il tempo presente, segnato da crisi sociali e politiche profonde, martoriato dalla pandemia, si fa propizio per parlare di una delle figure più brillanti della Chiesa, il Cardinale e Santo Roberto Bellarmino, vissuto al tempo doloroso in cui crisi politiche e sociali portarono alla scissione della cristianità occidentale, quando intere Nazioni si distaccarono dalla Sede Apostolica.
San Roberto Bellarmino svolse un ruolo di fondamentale importanza nella Chiesa degli ultimi decenni del secolo XVI e dei primi del successivo, l’ecclesiologia cattolica, le questioni circa la Rivelazione, la natura della Chiesa, i Sacramenti e l’antropologia teologica; sono queste le tematiche affrontate e che accentuano l’aspetto istituzionale della Chiesa, a motivo degli errori che allora circolavano su tali questioni, in particolare nell’opera che rimane emblematica tra quelle del Bellarmino, le Controversiæ.
In queste ultime, inoltre, chiarì anche gli aspetti invisibili della Chiesa come Corpo Mistico e li illustrò con l’analogia del corpo e dell’anima, al fine di descrivere il rapporto tra le ricchezze interiori della Chiesa e gli aspetti esteriori che la rendono percepibile. Il titolo è facilmente comprensibile osservando l’epoca in cui il Cardinale visse, quella della Riforma, alla quale ribatté con schiettezza e argomenti fondati solo sulla Tradizione e sulla ragione. Teologo, dunque, senza dubbio, ma anche fine ed esperto giurista, autore di innumerevoli opere dedicate al diritto, per le quali ricordiamo le Disputationes o anche varie altre argomentazioni (De membris Ecclesiae; De laicis, ac politissimum de magistratu politico; De Romano Pontifice; De potestate Pontificis temporali).
Bellarmino partendo dal presupposto dell’autonomia dell’ordine naturale della creazione, retto da un proprio diritto o “legge naturale”, giunge alla distinzione delle due sfere dei poteri, ecclesiastico e civile, atteso che tanto la Chiesa che lo Stato a suo dire sarebbero Società perfette all’interno delle reciproche funzioni: oltre a ciò egli afferma l’originalità dell’organizzazione civile nei confronti di quella ecclesiale. Inibito ogni potere diretto al Romano Pontefice in campo civile, la giurisdizione ecclesiastica in ambito temporale risulta da lui circoscritta ad una sorta di potere indiretto di intervento in ordine et spiritualia, vale a dire nelle questioni strettamente connesse con la vita cristiana e con i mezzi che ne consentono la libera esplicazione.
Il Bellarmino dimostra quindi una sostanziale contrarietà formale alla concezione monistica del potere, tanto teocratica che curialistica per un verso, quanto cesaropapistica o propria della visione tipica dell’imperium medievale. In merito all’ordinamento dello Stato, il Cardinale mantiene l’idea tradizionale, divenuta salda dottrina, della derivazione d’ogni forma di potere civile da Dio ma, cosa abbastanza innovativa, fa del popolo il soggetto immediato e diretto di siffatto potere. Il fatto, poi, che il popolo deleghi il potere ad un sovrano non toglie che esso lo conservi potenzialmente e possa quindi riprenderlo in atto, anche tramite il tirannicidio (comunque limitato estremamente da specifiche condizioni).
Tale dottrina prende il nome di origine divina mediata dal potere politico e si fonda sul principio bellarminiano dell’autonomia dell’ordine naturale fondato sulla creazione, prescindendo dalla rivelazione. Da fine giurista il suo pensiero ha interessato anche la costituzione interna della Chiesa fino ad arrivare ad una riformulazione nuova di una concezione sostanzialmente giuridico-formale per la quale l’appartenenza alla Chiesa e l’ortodossia risultano essere legate all’elemento istituzionale e visibile della Chiesa stessa. Sotto i pontificati di Gregorio XIV (1590-1591), Innocenzo IX (1591-1592) e Clemente VIII (1592-1605) il lavoro di Bellarmino all’interno degli organi di Curia e della Compagnia di Gesù divenne indefesso. Fra il 1592 e il 1595 ebbe l’incarico di Rettore del Collegio romano, in virtù del quale partecipò alla congregazione generale dei Gesuiti del 1593 e prestò servizio nella commissione incaricata della redazione conclusiva della Ratio studiorum. Fra il 1595 e il 1597 ricoprì il ruolo di provinciale dell’Ordine a Napoli; tornato a Roma, fu rettore della Penitenzieria apostolica all’inizio del 1599. Nel frattempo era stato nominato consultore della Congregazione dell’Indice (1587) e di quella del S. Uffizio (1597). A questo periodo risale comprensibilmente un rallentamento della sua attività pubblicistica, che si concentrò essenzialmente nella stesura del catechismo ufficiale della Sede apostolica, la Dichiaratione più copiosa della dottrina cristiana (1598), seguita un anno dopo da una Dottrina christiana breve. L’autorevolezza intellettuale di Bellarmino e il suo ascendente su Clemente VIII ebbero naturalmente un notevole peso sulle scelte teologiche della Curia romana. Casi celebri furono l’abrogazione, dietro suo consiglio, della cattedra di Teologia platonica della Sapienza, decisa dal Pontefice subito dopo la morte del titolare, Francesco Patrizi, nel 1597, e la condanna di Giordano Bruno sulla base di un elenco di otto proposizioni estrapolate dai suoi scritti che fu stilato da Bellarmino nel gennaio 1599. Degli ultimi anni di vita di Bellarmino restano, oltre al materiale prodotto in seno alle Congregazioni, sei volumetti di spiritualità pubblicati con cadenza annuale fra il 1615 e il 1620, dei quali il primo e più noto, il De ascensione mentis in Deum per scalam rerum creatarum, riprende il tema bonaventuriano della contemplazione di Dio attraverso le opere del creato.
Il 22 dicembre 1920 il Pontefice Benedetto XV riassumendo l’iter per la sua beatificazione, promulgò il Decreto dell’eroicità delle sue virtù; successivamente il 13 maggio 1923, durante il pontificato di Pio XI, fu celebrata la sua beatificazione e dopo sette anni, il 29 giugno 1930 fu canonizzato. Più breve è stato quindi il processo di canonizzazione e ancora più rapida la nomina a Dottore della Chiesa, conferitagli il 17 settembre 1931, sempre da parte di Pio XI. È commemorato Patrono degli avvocati canonisti.
“Cum charitate animato et iustitia ordinato, ius vivit!”
(San Giovanni Paolo II)
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